SCO: il vertice dell’altro mondo che parla a noi. Editoriale

di Francesco Maringiò

A Samarcanda, si è riunito il vertice dell’altro mondo. Quello contro cui vogliono farci entrare in guerra. A partire dai giornali italiani, che in questo scontro non risparmiano colpi neppure al Papa.

La lettura dei giornali italiani riserva sempre sorprese di un certo livello. Soprattutto in politica estera. Partiamo dal Foglio, che ieri non trova di meglio da fare che aprire il giornale con un attacco diretto a Papa Francesco. L’accusa, sostanzialmente, è quella di guidare una Chiesa ecumenica, ossia interessata al dialogo con tutto il mondo ed alla comprensione delle diversità. Un po’ troppo per il giornalista, che così tuona: «No, caro Papa: l’occidente non è l’origine di tutti i mali del mondo. Ed è molto meglio della Cina di Xi e del Nicaragua di Ortega». Tutto ciò è davvero kafkiano e verrebbe voglia di stringere la mano del prode giornalista per fargli i complimenti, se non fosse che l’articolo non è neanche firmato. Non proprio l’ardore di uno pronto a difendere le proprie idee fino in fondo.

Ma il premio di primo della classe, non può che andare a lui, capitan bretella, l’inviato di lusso prima di Rep ed oggi del Corriere, col vizietto del copia e incolla e che “clona articoli di giornali stranieri senza citare la fonte”, come smascherato da una freelance inglese. Il nostro eroe, all’anagrafe Federico Rampini, sente su di sé il peso di chi porta la responsabilità di spiegarci il mondo. Il problema è che spesso non ci prende. Come ieri, quando dalle colonne del Corriere ci illustrava il senso del vertice appena concluso a Samarcanda dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai.

«La Shanghai Cooperation Organization—quella che ha organizzato il summit di Samarcanda—è un’accozzaglia disomogenea: ne fanno parte anche India e Pakistan che sono fieri avversari fra loro; e New Delhi ha un’accesa rivalità con la Cina», ha chiosato. A questo punto lo preferiamo quando scopiazza dal New York Times, perché a loro certo non sfugge che è questo ad essere un punto di forza di quella organizzazione.

Ma facciamo un passo indietro. La Shanghai Cooperation Organization (Sco) è l’evoluzione dello Shanghai Five, nato nel 1996 ed imperniato sull’alleanza strategica di Cina e Russia che, nel 1997, porterà alla firma della prima “dichiarazione congiunta sul mondo multipolare e l’istituzione di un nuovo ordine internazionale”. L’alleanza si allargherà nel tempo (abbiamo parlato a lungo della sua genesi qui) fino al vertice di Samarcanda, in Uzbekistan, quando ad aderire a pieno titolo sarà anche l’Iran. Nella Sco, sin dal primo momento, sono stati coinvolti paesi che rappresentano modelli socio-politici ed interessi diversi: è questo il punto di forza che capitan bretella non coglie. Diversamente dall’occidente, che costruisce club geopolitici e militari imponendo una generale omologazione al sistema politico ed al modello economico della nazione egemone, questi paesi dell’Asia centrale dimostrano che esistono forme diverse per stare assieme e sviluppare relazioni. Certo, afferiscono paesi che hanno dispute territoriali e che nei momenti di tensione arrivano a veri e propri conflitti sul confine, ma la Sco fornisce una infrastruttura multilaterale e geopolitica in grado di comporre i diversi interessi ed individuare una soluzione. Da quando opera, questi paesi hanno ridotto la presenza di truppe sui confini ed avviato operazioni ed esercitazioni congiunte in chiave antiterroristica. Ed anziché costruire una alleanza militare che minaccia il mondo o si contrappone alle alleanze militari occidentali, si preoccupa di preservare la grande massa del continente eurasiatico da turbolenze e conflitti.

Di fronte ad un occidente che punta la gran parte delle sue fish sul tavolo da poker della guerra prolungata e generalizzata (dalla Russia alla Cina, passando per i colpi di stato in mezzo mondo) al vertice di Samarcanda si è ritrovato un pezzo di mondo che rappresenta oltre il 40% della popolazione mondiale ed il 25% del Pil del mondo, percentuale che sale ad oltre il 40% calcolandolo a parità di potere d’acquisto. Un mondo che viene sistematicamente escluso dal G7 e gli altri club esclusivi a guida americana e che viene indicato come avversario strategico, quando non nemico, delle nostre alleanze militari. Un mondo che andrebbe rispettato e non additato come antidemocratico. Glielo ha detto persino il Papa, ma i nostri campioni di giornalismo (addomesticati dai lauti stipendi, o anche tenuti a stecchetto dalla precarietà estrema di una professione in cui esistono i sommersi ed i salvati) continuano a non capirlo.

Ma il punto non è discettare sulle affinità e le divergenze tra capitan bretella e noi. Il punto è renderci conto che questi maître à penser stanno spingendo il piede sull’acceleratore dello scontro di civiltà. E non in un futuro lontano. «L’inverno – scrive Rampini – sarà cruciale per capire se abbiamo la tempra per resistere al ricatto energetico». Dobbiamo combattere e saper resistere al gelo del ricatto energetico: lo scrive chi trascorrerà l’inverno al caldo di un attico di New York e pretende cieca obbedienza alla dichiarazione di guerra al resto del mondo.

Per queste ragioni, su queste pagine, è stato promosso un appello per le elezioni che non scendeva in campo per attaccare manifesti e distribuire santini, ma richiamava l’attenzione di tutti sul tema della guerra e sulle sue conseguenze. A sette giorni dal voto, quei problemi sono tutti davanti ai nostri occhi.

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