Quattro obbiettivi nella lotta contro la guerra. Contributo collettivo di Marx21 al movimento per la pace

Dalla nebbia che è calata con l’inizio della guerra in Ucraina, che non è solo mediatica ma fatta anche di ambigua interpretazione degli avvenimenti, non è ancora emersa una indicazione chiara sul programma su cui organizzare un vasto movimento di lotta contro la guerra.

Dobbiamo constatare prima di tutto che la debolezza di un movimento contro una guerra che ha la sua origine sostanziale nella politica Usa di espansione ad est della Nato (e di minaccia alla sicurezza della Russia), dipende da presupposti che danno per scontata la condanna unilaterale dell’azione della Russia ed una rappresentazione della crisi ucraina preparata e sedimentata nel tempo. Ciò depotenzia l’orientamento e la stessa combattività di quanti sono contro la guerra, contro la NATO e contro le forniture militari all’Ucraina.

Ma come si fa a combattere duramente un nemico che ha la possibilità di accreditare la tesi di una Russia espansionista, minacciosa verso l’Europa e di un Putin “criminale” e “macellaio”? E come si fa a combattere questa battaglia quando tutti dimenticano che in un contesto analogo ma rovesciato (la crisi dei missili a Cuba) Kennedy minacciò la guerra nucleare?

La questione che si pone non è solo di natura interpretativa. Si tratta di capire come l’azione contro la guerra va attrezzata e soprattutto su quali punti si deve lavorare per determinare lo sviluppo di una coscienza di massa. Ogni ritardo su questo fronte è un vantaggio per i nemici della pace.

La devastazione politica e culturale, figlia della sconfitta delle posizioni antimperialiste e della sinistra di classe in Italia, ha prodotto un pesante arretramento nel livello di coscienza generale. E così la fetta maggioritaria di popolazione che è contraria alla guerra non sa cosa fare per impedire una escalation militare. Il tema è proprio quello di accrescere una consapevolezza generale che si trasformi in lotta contro la guerra.

Questo passaggio non riguarda la cerchia degli addetti ai lavori. Non si tratta di dare “la linea” a qualche gruppo di soliti noti. Ma dello sviluppo di una consapevolezza di massa che non ha carattere ideologico, ma oggettivo. Prendere coscienza di ciò è l’elemento dirompente che può mettere in moto le forze necessarie a battersi contro una guerra che è ormai arrivata alle nostre porte.

La maggioranza degli italiani è contro la guerra. Ma su quali elementi può avvenire un risveglio di massa che si opponga a ciò che sta avvenendo? Su questo punto bisogna aprire una riflessione in un tempo ragionevole che non ci porti a chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati.

Avanziamo perciò un’ipotesi di lavoro collettivo basata su quattro punti che, una volta chiariti, possono diventare il centro di una battaglia comune, che sottoponiamo alla discussione.

1. Quando inizia la guerra?

L’attuale guerra non è cominciata il 24 febbraio con l’intervento militare delle truppe russe in Ucraina, ma almeno 8 anni prima con il colpo di stato del 22 febbraio 2014. Su indicazione dell’assistente al segretariato di stato americano Victoria Nuland (“Fuck the EU!”), Kiev straccia l’accordo firmato il giorno prima – alla presenza dei ministri degli esteri di Francia, Germania, Polonia e Russia – per l’organizzazione di elezioni presidenziali entro dicembre, depone il legittimo presidente Janukovi

ed instaura una giunta fortemente condizionata dal nazismo ucraino. Il 24 febbraio 2014 la lingua ucraina viene imposta come unica lingua ufficiale del Paese. Il 16 marzo la Crimea sceglie con un referendum popolare il ricongiungimento alla Russia com’era fino al 1954, mentre si sviluppa un movimento popolare antifascista nelle regioni del Donbass, contro cui la giunta golpista schiera esercito e corpi speciali paramilitari. In violazione degli accordi di Minsk, che avrebbero dovuto concedere una vasta autonomia alle regioni di Doneck e Lugansk, il governo ucraino procede nell’offensiva militare in Donbass. In otto anni sono almeno 14.000 i morti (dati OSCE) e decine di migliaia i feriti e mutilati. Dal 2014 al 2022 USA ed alleati riforniscono l’Ucraina di tonnellate di armi moderne, addestrano l’esercito e le milizie paramilitari, riempiono il paese di basi militari e laboratori per la guerra chimico-batteriologica, preparandosi a dare il colpo finale alle repubbliche secessioniste del Donbass. Il presidente Biden si fa diretto promotore dell’ingresso dell’Ucraina nella NATO, mentre respinge tutte le proposte della Federazione russa di un accordo sul controllo degli armamenti e la sicurezza collettiva.

L’attuale guerra in Ucraina nasce quindi come reazione alla ininterrotta serie di provocazioni che, ad opera dei dirigenti ucraini, gli Usa portano alla Federazione russa.

2. Quando inizia l’attacco alla Russia?

Ma l’attacco alla Russia è iniziato già all’indomani della fine dell’URSS: con i tentativi di smembramento e balcanizzazione della Federazione russa, alimentando i movimenti separatisti (Cecenia, Daghestan); con l’espansione ad Est della NATO, fino ad abbracciare le repubbliche ex sovietiche del Baltico e i Paesi ex socialisti dell’Europa centro-orientale e balcanica; con l’organizzazione di ‘rivoluzioni colorate’ nei paesi dell’ex Urss, alcune delle quali riuscite (Georgia 2003, Kirghizistan 2005 ed Ucraina 2014), altre fallite (Azerbaigian 2005, Bielorussia 2004 e 2005 e Kazakistan 2022), e lo stanziamento di basi militari nelle repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale (Uzbekistan, Tagikistan 2001).

La Federazione russa durante la presidenza El’cin era stata piuttosto accondiscendente verso la politica imperiale dell’unipolarismo USA. Con il bombardamento NATO di Belgrado della primavera del 1999 e la minaccia di balcanizzazione del Caucaso deve prendere atto della dura realtà e comincia a reagire, sotto la presidenza Putin, alla sua disgregazione e colonizzazione da parte dell’imperialismo USA e dei suoi satelliti dell’Europa occidentale. Ciononostante la Russia mantiene relazioni non ostili con gli USA e con la NATO, al punto da essere accolta come ottavo membro del G7 e concedere nel 2001 il suo spazio aereo per l’attacco americano all’Afghanistan, in nome della lotta al terrorismo.

Nella seconda metà del primo decennio del 2000 la Federazione russa comincia a rispondere ai colpi e alle provocazioni ispirati dagli USA (Georgia 2008). Ma è soprattutto la capacità russa di contrastare militarmente le manovre anglo-americane per sovvertire il governo siriano di Bashar al Asad ad accrescere le preoccupazioni dei falchi americani. Perché rappresentavano il segno di un cambio di atteggiamento russo alla pretesa di dominio del mondo da parte di chi ricorre ad una guerra massiccia contro paesi sovrani e popoli.

È qui che comincia quella “guerra mondiale a pezzi” di cui parla papa Francesco dal 2014 (centenario della I guerra mondiale).

3. Qual è la posta in gioco?

Il 25 febbraio 2022, nel suo primo discorso al Parlamento sulla crisi ucraina, il presidente del consiglio Draghi parla di uno scontro con la Russia che abbraccia un’intera fase storica: “La crisi di portata storica che l’Italia e l’Europa hanno davanti potrebbe essere lunga e difficile da ricomporre, anche perché sta confermando l’esistenza di profonde divergenze sulla visione dell’ordine internazionale mondiale che non sarà facile superare”. Il 6 aprile, il segretario della NATO Stoltenberg dichiara alla riunione dei ministri degli Esteri dell’Alleanza che “la guerra può durare mesi o persino anni”. Tutti i discorsi, i comunicati, le sanzioni adottate dall’Occidente portano ad una chiara scelta strategica: condurre la Russia alla sua disfatta attraverso la guerra e degradarla sul piano mondiale a Paese paria, assoggettato, incapace di contrastare sul piano politico, militare, economico e finanziario il dominio USA. Per questo si usa ogni strumento mediatico per demonizzare il governo e il parlamento russo, per fare identificare nell’opinione pubblica i russi con i nazisti (come fu fatto negli anni 90 nei confronti dei Serbi e di Milosevic definito dall’Espresso “Hitlerosevic”): perché con i nazisti non si può instaurare nessuna trattativa, ma solo portare la guerra fino alla loro eliminazione totale. Per questo motivo il partito della guerra (che vede tra i più attivi il segretario del PD Enrico Letta, che schiaccia il suo partito sulla linea degli oltranzisti atlantici) spinge per tagliare qualsiasi legame con la Russia, anche culturale, politico e perfino commerciale, anche a costo di bloccare l’importazione di gas e mandare in rovina la manifattura italiana, oltre a lasciare al freddo la popolazione.

Il “partito della guerra a oltranza” non prevede una pace possibile, basata su un accordo complessivo sulla sicurezza in Europa ma mira a un nuovo ordine mondiale basato sulla cancellazione della Russia come stato sovrano ed indipendente. Nella guerra mondiale a pezzi, il conseguimento di questo obiettivo consentirebbe agli USA di potersi concentrare totalmente contro quello che compattamente tutto l’establishment politico USA indica come il nemico strategico, la Repubblica Popolare Cinese.

4) I compiti immediati e a medio termine

A) Indipendenza nazionale e fine del dominio americano

Il fattore principale da prendere in considerazione in questa vicenda dell’Ucraina è il ruolo che hanno assunto gli Stati Uniti, prima con l’operazione Maidan (2014) e adesso coinvolgendo gli atlantisti nello sforzo bellico contro la Russia. Sono ancora una volta gli USA a decidere sulle guerre, come è avvenuto in Jugoslavia, in Iraq, in Afghanistan, in Libia. Diventa quindi inutile parlare di pace se non si avvia una lotta contro l’imperialismo degli Stati Uniti che sono oggi l’avversario principale. Questo bisogna che gli italiani che vogliono uscire dalla guerra comprendano. Congiuntamente con la necessità di recuperare l’indipendenza nazionale. Lo slogan “Yankee go home” è di nuovo all’ordine del giorno e prioritario. E questo slogan non riguarda solo le basi americane in Italia, ma la dipendenza del nostro paese dalla politica USA. Patriottismo e antimperialismo vanno fusi in un’unica battaglia.

B) Un sistema di sicurezza europeo libero dalla Nato

Nella campagna di denuncia del ruolo degli Stati Uniti nella guerra c’è bisogno di un chiarimento di fondo sul fatto che quando si parla di NATO non si intende un sistema difensivo collettivo, ma uno strumento militare in mano americana a cui gli altri membri sono subordinati. È importante che ci sia consapevolezza sul fatto che le scelte servili dei governi italiani andrebbero condannate perché adottate in pieno contrasto con l’art. 11 della Costituzione.

Appare evidente, anche in questa vicenda, che la NATO rappresenta la strategia militare americana imposta all’Europa e quindi un sistema di sicurezza europeo passa da un’altra via: quella delle relazioni pacifiche e delle garanzie reciproche che si possono raggiungere solo se si rompe l’egemonia Usa e se gli Stati sovrani europei avviano un sistema di sicurezza e di cooperazione pacifica che comprenda l’insieme del continente.

C) Lotta ai governi guerrafondai

In altri tempi si sarebbe detto che bisogna trasformare la guerra imperialista in lotta rivoluzionaria. La condizione storica è oggi differente da quella della prima guerra mondiale quando fu lanciata questa parola d’ordine, ma rimane valido il concetto che in Italia la sconfitta dei governi guerrafondai e la nascita di governi autonomi dagli Usa è condizione necessaria per la pace. Tanto più se il governo diventa cobelligerante nella guerra in Ucraina inviando armi. La lotta contro i governi italiani che sostengono le guerre americane è l’obiettivo primario e un punto fermo per arrivare alla pace.

D) Lotta alle conseguenze economiche e sociali della guerra

La guerra in Ucraina sta cambiando le condizioni di vita dei lavoratori e di ampi settori della società italiana. L’aumento dei prezzi, non solo di quelli energetici, e la grave crisi economica che sarà esacerbata dalle spese militari e la politica selle sanzioni e degli embarghi rendono indissolubile il legame tra lotta contro la guerra e difesa degli interessi dei lavoratori e dei ceti più esposti all’aumento della miseria e dello sfruttamento. Soprattutto dopo una pesante crisi pandemica, ancora in corso, è indicativo che si utilizzino i soldi per armare l’Ucraina in una guerra nel cuore dell’Europa, invece di potenziare la sanità pubblica e la ricerca scientifica. Per questo, la mobilitazione di massa deve comprendere lo sviluppo di una coscienza degli interessi in gioco. Contro la guerra, ma anche per la difesa dei diritti dei lavoratori.

La situazione creata dagli Usa in Ucraina è al limite dello scoppio di una guerra mondiale. Una posizione genericamente pacifista, intesa solo come rifiuto della guerra, non è all’altezza della situazione che si è determinata se non si coniuga con la capacità di assumere la bandiera dell’indipendenza nazionale e della sconfitta dei governi che alimentano la guerra.

Per affrontare questa battaglia serve l’organizzazione di un movimento che sia espressione di un fronte che unisca le forze, che sia chiaro sugli obiettivi e determinato nella lotta. La pace si conquista se impariamo a combattere per raggiungerla. Per questo non si può seriamente pensare di arrivare al risultato senza che tutti coloro che condividono il medesimo punto di vista su alcuni obiettivi di fondo si uniscano e si organizzino di conseguenza. Uno schieramento che, ovviamente, sia aperto al confronto con tutte le forze che auspicano una soluzione politico-diplomatica della crisi in atto.

Cominciamo a discutere del che fare?