di: Francesco Maringiò
Il viaggio di Putin a Pechino è uno di quegli eventi che meritano di essere annotati negli annali politici perché indicativo dell’epoca che viviamo.
Per comprendere a fondo il senso di questo viaggio, bisogna fare un piccolo salto temporale all’indietro e tornare alla visita che il presidente cinese ha tenuto a marzo dell’anno scorso a Mosca. In quell’occasione, fuori dai discorsi ufficiali, il leader cinese ha rilasciato (a favore di telecamere) la seguente dichiarazione: “È in arrivo un cambiamento che non si è verificato negli ultimi 100 anni. E noi stiamo guidando questo cambiamento insieme”.
L’espressione “cambiamento che non si è visto/verificato negli ultimi 100 anni” è tipica del linguaggio politico cinese dell’ultimo periodo. Ma è stata quella circostanza a farci capire cosa intende realmente la dirigenza cinese, ossia che stiamo assistendo a cambiamenti talmente profondi in grado di definire un nuovo ordine globale, le cui forze motrici sono imperniate sulla Cina e sulla Russia.
Questo esercizio qui in Occidente è estremamente complicato perché questi anni caratterizzati da una crescente militarizzazione delle relazioni internazionali e da mentalità da nuova “guerra fredda“ ci impediscono di comprendere le ragioni del resto del mondo “iuxta propria principia” e di continuare a credere che il discorso pubblico e le strategie politiche del resto del mondo siano un calco di quelle occidentali. L’esempio più lampante di questo bias cognitivo è rappresentato dal continuo mantra che le classi dirigenti europee rivolgono a Pechino: “fate pressioni su Mosca per far terminare la guerra in Ucraina“. Come se ci fosse un rapporto di mera subalternità tra Mosca e Pechino, come del resto c’è tra Washington ed uno dei tanti Stati subalterni al suo dominio. Chi ragiona in questi termini ancora non ha capito che Pechino è cresciuta in popolarità e rispetto agli occhi dei russi anche perché non ha mai smesso (nemmeno negli anni nefasti sotto Eltsin) di considerare la Russia come un grande paese ed una grande potenza.
Ma questa visita è fondamentale anche alla luce di un’altra considerazione, per avere contezza della quale dobbiamo fare un passo indietro. E più precisamente al 7 luglio 2022 quando in un incontro tra Putin ed il leader del Partito Comunista della Federazione Russa, Gennadij Zjuganov, il presidente russo ha affermato: “per quanto riguarda l’idea socialista, non c’è nulla di male. Dovremmo approfondire questa idea, soprattutto nella sfera economica. Alcuni Paesi l’hanno concretizzata, con forme di regolamentazione del mercato, ecc. Questa idea sta funzionando in modo abbastanza efficace. Dobbiamo approfondire questo aspetto”. E durante l’incontro con Xi Jinping nel marzo scorso Putin ha affermato: “Siamo leggermente invidiosi del rapido sviluppo della Cina. – e rivolto a XI Jinping ha detto – sei riuscito a rendere più forte lo Stato. La Cina ha fatto un grande salto in avanti”. Che è una dichiarazione esplicita di interesse al modello di socialismo con caratteristiche cinesi.
E qui siamo al cuore della questione: la “grande guerra” ucraina non sta solamente ridisegnando gli equilibri in Europa, ma sta incidendo profondamente sulla trasformazione degli apparati produttivi russi. Come dimostra l’avvicendamento al ministero della difesa, l’economia di guerra in Russia sta aprendo una fase di profondi cambiamenti in quel paese. Se oggi appare evidente a molti la fallacia delle previsioni catastrofiste che prevedevano un rapido default dell’economia russa, ben presto diventerà evidente come questi profondi cambiamenti influenzeranno il corso della politica di Mosca.
Sono, queste, questioni strategiche sulle quali non faremo mancare su queste pagine nuove occasioni di confronto e di approfondimento.
Se lo stolto guarda all’incontro tra Putin e Xi Jinping come all’appuntamento tra due autocrati, il saggio lo scruta per scorgere i segnali che annunciano il nuovo mondo che sta nascendo.