di Fausto Sorini
All’indomani dell’intervento sovietico in Cecoslovacchia un giornalista chiese a Louis Althusser che cosa pensasse della posizione di condanna del Pcf (di cui il grande filosofo era membro). Egli rispose (cito a memoria): “ Il problema non è condannare o approvare, ma spiegare perchè è avvenuto. E questo il Pcf non lo fa”.
Questo è il metodo con cui Marx21 cerca di porsi anche nei confronti della crisi ucraina. Senza farsi intimidire da una campagna politica e mediatica in corso per cui ogni tentativo di spiegare – senza allinearsi all’isteria anti-russa – viene bollato come “putiniano” e messo al bando.
Per questo ci interessano le valutazioni, di segno anche diverso, che cercano di spiegare le scelte anche più dirompenti della Russia di Putin; soprattutto quando vengono da chi pure non ha mai respinto, diversamente da noi che siamo comunisti, una sua collocazione euro-atlantica. Ma che avverte che, nel frangente attuale, sono in gioco i destini del genere umano, della sicurezza e convivenza pacifica tra le nazioni, ivi compresi quelli del popolo ucraino.
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Nel 2014 un colpo di Stato in Ucraina destituì con violenza il presidente Yanukovic, designato da elezioni regolari internazionalmente riconosciute e poi costretto a fuggire all’estero per non essere ucciso. Il golpe fu organizzato da formazioni neo-naziste sostenute sul campo dall’Ambasciata americana di Kiev e sostenuto, in piazza Maidan, da rappresentanti dell’amministrazione Usa e dell’Ue.
All’indomani di quegli eventi Romano Prodi sostenne, in una intervista al Corriere della Sera (26.05. 2015): “Isolare la Russia è un danno. Il problema è avere chiara l’idea di dove devi arrivare. Se vuoi che l’Ucraina non sia membro della Nato e della Ue, ma sia un Paese amico dell’Europa e un ponte con la Russia, devi avere una politica coerente con questo obbiettivo. Se l’obiettivo è portare l’Ucraina nella Nato, allora crei tensioni irreversibili”.
Ma la storia delle relazioni tra la Nato e Mosca era cominciata assai prima. Dopo la caduta del Muro di Berlino (1989) i leader dei maggiori paesi Nato avevano promesso a Mosca che l’Alleanza atlantica non sarebbe avanzata verso Est «neppure di un centimetro». Una promessa smentita dai fatti, visto che da allora ben 14 paesi dell’ex Patto di Varsavia sono passati alla Nato.
Il segretario generale della Nato, Stoltenberg, polemizzando ancora recentemente con Mosca, ha ripetuto quella che per anni è stata la linea difensiva di Washington sull’allargamento a Est della Nato: «Nessuno, mai, in nessuna data e in nessun luogo, ha fatto tali promesse». Ciò è stato però smentito dal settimanale tedesco Der Spiegel (15 febbraio 2022) con uno scoop clamoroso, ripreso da Italia Oggi (22 febbraio 2022) che cita un documento scovato nei British National Archives di Londra dal politologo americano Joshua Shifrinson.
Nella stessa riunione, rivela Der Spiegel, il rappresentante degli Stati Uniti, Raymond Seitz, dichiarò: «Abbiamo promesso ufficialmente all’Unione sovietica nei colloqui 2+4, così come in altri contatti bilaterali tra Washington e Mosca, che non intendiamo sfruttare sul piano strategico il ritiro delle truppe sovietiche dall’Europa centro-orientale e che la Nato non dovrà espandersi al di là dei confini della nuova Germania, né formalmente né informalmente».
Tali impegni, ricorda Der Spiegel, erano stati assunti anche dall’ex segretario di Stato Usa James Baker, che cercò poi di smentire, ma fu a sua volta smentito da diversi diplomatici, compreso l’ex ambasciatore Usa a Mosca, Jack Matlock, il quale precisò che, da parte di Usa, Germania, Francia e Gran Bretagna, erano state date «garanzie categoriche» a Mosca sulla non espansione a est della Nato.
La storia degli ultimi 30 anni racconta però un altro film: Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, ricorda Der Spiegel, sono entrate nella Nato nel 1999, poco prima della guerra contro la Jugoslavia. Lituania, Lettonia ed Estonia, confinanti con la Russia, lo hanno fatto nel 2004. Quando anche l’Ucraina, dopo il golpe del 2014, ha dichiarato di voler fare altrettanto (inserendolo addirittura nella Costituzione, nel 2019), ciò ha determinato il punto di rottura con Mosca, che a quel punto era pronta a reagire, in nome della difesa della propria sicurezza, ad una ulteriore espansione della Nato ai suoi confini, e dopo 30 anni di mancate promesse.
Per molto meno Kennedy aveva annunciato l’attacco nucleare all’Unione Sovietica se essa non avesse ritirato i suoi missili da Cuba. E vi è da chiedersi come reagirebbero oggi gli Stati Uniti se la Russia (o la Cina) collocassero armi strategiche in Messico, in Canada o a Cuba, a ridosso dei confini Usa, con la possibilità di annientare in due o tre minuti le principali città americane, senza alcuna possibilità di difesa.
Diciamolo con le parole di Sergio Romano, già ambasciatore italiano presso la Nato e poi a Mosca nel 1985-1989: “la collocazione che intravedevo come desiderabile per l’Ucraina era quella della neutralità, il paese doveva diventare neutrale. È stato completamente irragionevole prospettare la possibilità dell’ingresso dell’Ucraina nella NATO. Perché la NATO è un’organizzazione politico-militare congegnata per fare la guerra. Farla quando in gioco sono gli interessi del dominus dell’Alleanza atlantica: gli Stati Uniti. Ora, se Washington punta all’ingresso dell’Ucraina nella NATO vuol dire che la guerra può essere portata alle frontiere della Russia. Questa è comunque la percezione di Mosca di cui non si può non tener conto. Ritengo che si tratti di una preoccupazione in qualche modo fondata e non l’ ‘ossessione’ di Putin”.
Ha ben sintetizzato, nei giorni scorsi, Barbara Spinelli: “gradirei citare il discorso del Segretario generale Nato, signor Wörner, a Bruxelles il 17 maggio 1990. Allora lui diceva: ‘Il fatto che noi siamo pronti a non schierare un esercito della Nato fuori dal territorio tedesco offre all’Urss una stabile garanzia di sicurezza’. Dove sono queste garanzie?”.
Si è spinto oltre Monsignor Luigi Bettazzi, già vescovo di Ivrea e voce autorevole fin dagli anni ’70 del progressismo cattolico, che ha dichiarato nei giorni scorsi al TG3: “la NATO non ha più senso e l’Europa non dovrebbe farne parte perchè non c’è più il Patto di Varsavia”: un tema che difficilmente ritroveremmo oggi nelle riflessioni di certa “sinistra” o di certo “pacifismo” che paragona Putin a Hitler, invoca sanzioni alla Russia e l’invio di armi e combattenti all’ ”Ucraina che resiste”. Armi e combattenti che in verità – come ci hanno spiegato gli analisti di Limes ed alcuni generali ed esperti militari italiani, che non amano la propaganda di guerra – finirebbero, tramite i circuiti più oltranzisti della Nato, nelle mani dei peggiori mercenari, collegati alle organizzazioni neo-naziste, che non esitano ad esporre al massacro migliaia di civili, anche bambini, utilizzandoli come scudi umani al fine di poter scatenare ancora più odio e disperazione irrazionali senza sbocchi nella popolazione.
Questi ambienti operano per impedire che i settori più responsabili delle Forze Armate e della politica di Kiev (che per fortuna non sono tutti neo-nazisti) trattino con lo Stato maggiore russo una via d’uscita onorevole e il meno possibile onerosa per la popolazione civile. Una via d’uscita che non pregiudichi il futuro del Paese, riconosca la sua sostanziale sovranità politica (quindi non un Presidente fantoccio), la sua neutralità militare, e ne consenta negli anni una ricostruzione economico-sociale, di riconciliazione nazionale e di cooperazione pacifica con tutti i Paesi vicini. E che – nel tempo – riesca a sanare quelle ferite, quel contesto di guerra civile fra culture e nazionalità diverse, che il regime instauratosi dopo il golpe del 2014 ha provocato ed esasperato, perseguitando i comunisti (messi fuorilegge) e le popolazioni del Donbass; provocando negli ultimi 8 anni oltre 12.000 morti civili tra la popolazioni di quelle regioni, che i paladini a senso unico dei diritti dell’uomo hanno del tutto ignorato.
Ha fatto bene il ministro degli esteri russo Lavrov nella sua ultima conferenza stampa a ricordare: “Ogni vita umana è sacra, qualsiasi evento militare è accompagnato da vittime. Il nostro esercito ha ordini severi di distruggere solo le infrastrutture militari”. E rivolgendosi alla stampa occidentale: “perché non avete mai affrontato con lo stesso entusiasmo la situazione in Iraq o in Libia, in cui sono morti centinaia di migliaia di civili?”.
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E’ giusto chiedersi: come mai, dopo tanti anni, è fallito ogni tentativo di mediazione capace di impedire la precipitazione degli eventi e il conflitto militare?
Secondo Pino Arlacchi, già vice-segretario Onu, “è la Nato che sta alla base della crisi ucraina, e della sua soluzione. Durante i colloqui con Putin delle scorse settimane Macron e Scholtz avevano ribadito sottovoce, per non irritare gli americani, di non aver intenzione di aprire la NATO all’Ucraina. Ma per abbassare il prezzo della scelta avevano invitato Zelensky a fare il primo passo, dichiarando di avere rinunciato a chiedere di entrare nell’Alleanza Atlantica. Kiev aveva in un primo momento acconsentito, e si era spinta fino al punto da far dire al suo ambasciatore a Londra che si poteva addirittura mettere in campo l’idea della neutralità dell’Ucraina.
Ma quando la Russia ha preteso di ufficializzare e mettere per iscritto tutto il discorso, ecco la marcia indietro di chi sperava di poter proseguire con una logora manfrina. Sia gli europei sia Biden hanno detto Ni, pensando di poter protrarre la presa in giro di una potenza nucleare del calibro della Russia iniziata trenta anni addietro, con Boris Yeltsin, e continuata fino a tre giorni fa (cioè fino alla vigilia dell’intervento militare russo – ndr).
Se poi si considera, come dicono fonti bene informate, che su tale approccio diplomatico gli stessi Biden e Zelensky sarebbero stati messi in minoranza dai falchi delle rispettive amministrazioni, il cerchio si chiude. E tutto appare più chiaro.
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Si è detto che con la sua scelta Putin e il gruppo dirigente russo avrebbero compiuto una mossa azzardata, destinata a ritorcersi contro la Russia, che oggi sconterebbe un crescente isolamento internazionale. Ovvero: che, in conseguenza di una valutazione errata dei rapporti di forza a livello globale, la Russia avrebbe fatto il passo più lungo della gamba. A tale dilemma non vogliamo e non possiamo rispondere oggi in modo compiuto: mentre scriviamo gli eventi sono in pieno svolgimento e solo quando essi si saranno compiuti e si giungerà ad un compromesso politico diplomatico (tra Russia e Ucraina e su scala internazionale) sarà possibile una valutazione più ponderata e fattuale.
Vi sono però alcuni fatti, già accaduti su scala mondiale, che vanno almeno considerati.
1.E’ credibile ritenere che la Russia abbia deciso l’intervento militare in Ucraina dopo una attenta valutazione e consultazione del partner cinese, che da tempo ha stabilito con la Russia di Putin una partnership strategica, di lungo periodo, sul terreno economico, politico e militare. Lo conferma il documento assai impegnativo sottoscritto il 4 febbraio scorso a Pechino tra Putin e Xi, alla vigilia delle Olimpiadi invernali. Un incontro in cui è presumibile che si sia parlato anche di Ucraina.
Ciò ha trovato conferma nell’atteggiamento assai comprensivo e solidale nei confronti della Russia che la Cina ha tenuto nel dibattito recente alle Nazioni Unite. La Cina si è astenuta, insieme all’India e agli Emirati Arabi, sulla mozione di condanna dell’intervento russo.
Nell’ Assemblea generale dell’Onu, nella votazione su una più blanda mozione che non “condanna”, ma “deplora” l’intervento russo, passata con 141 voti a favore, i contrari e le astensioni sono stati 40 (5 no, 35 astensioni) (*). E la nozione di “condanna” era stata tolta su richiesta di numerosi Paesi che hanno fatto sapere che altrimenti non l’avrebbero votata.
L’articolazione degli schieramenti non può essere valutata solo in termini numerici: il voto dell’India non pesa come quello del Lussemburgo. Più rilevante è che i 40 voti contrari o astenuti esprimono la maggioranza assoluta della popolazione del pianeta e un PIL (a parità di prodotto) pari a circa la metà di quello mondiale. Di più: la grande maggioranza dei Paesi del mondo si è pronunciata comunque contro ogni logica di sanzioni alla Russia o di invio di aiuti militari all’Ucraina. Una linea invece sostenuta, tra mille distinguo, dai Paesi della Nato e della Ue (ma non Turchia e Ungheria), e dai Paesi della “Nato asiatica”: Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Corea del Sud, che però hanno approvato sanzioni blande e nessun aiuto militare.
Dunque: un quadro che ci conferma che siamo entrati in una nuova fase della storia del mondo, dove arretrano il potere e l’influenza dei Paesi della triade imperialista (per dirla con Samir Amin) e il dominio unipolare Usa; e dove cresce la spinta al multipolarismo, con una solida tenuta dell’asse Cina-Russia, tutt’altro che isolato, nonostante la situazione di grave tensione internazionale e aggressività atlantica.
Più complesso è capire perchè, nonostante la crescente competizione e diversità di interessi economici tra Stati Uniti ed Unione europea (e tra le diverse nazioni europee), ci si trovi oggi di fronte ad una apparente (ma solo apparente) unanimità di vedute e collocazioni segnate da una isteria anti-russa; con alcuni Paesi europei, e segnatamente il governo italiano di Mario Draghi, in cui si possono ascoltare autorevoli (e demenziali) commenti di politici e giornalisti che tranquillamente paragonano Putin a Hitler. Tutta gente che negli ultimi decenni ha giustificato o taciuto lo sterminio di oltre duecentomila civili nelle guerre atlantiche contro l’Iraq, la ex Jugoslavia, l’Afghanistan, la Libia, le popolazioni del Donbass ucraino (dove in otto anni sono morti oltre 12.000 civili, nel silenzio dell’Occidente “democratico”).
Non vi è qui lo spazio per approfondire il tema dei contrasti economici tra Usa e Ue (e tra Paesi Ue), già trattato in diversi studi proposti da Marx21. Ci ritorneremo. Rimando per questo ad un testo approfondito apparso sull’inglese Daily Telegraph. Quel che è assodato – come ha più volte evidenziato il team di Limes – è che una politica di contrapposizione e di reciproche sanzioni tra Ue e Russia danneggerebbe assai più i Paesi europei che non la Russia (che può avvalersi di una serie di compensazioni concordate per tempo con la Cina e con altri Paesi, oltre che di enormi riserve monetarie, in crescita esponenziale per l’aumento del prezzo del gas e del petrolio). E il danno che ciò porterà ai Paesi Ue sarà pagato in primo luogo dai nostri popoli, dalle aziende più esposte nella cooperazione con l’area euro-asiatica e dai lavoratori ivi occupati. E chi trarrà vantaggio da questa situazione sarà soprattutto la concorrenza degli Stati Uniti.
Ciò sembra essere in verità ben compreso dalla maggioranza del nostro popolo. Secondo un sondaggio AreaStudi LegaCoop – Ipsos gli italiani chiedono un passo indietro a tutte le parti in causa: all’Ucraina il riconoscimento dell’autonomia del Donbass come previsto dagli accordi di Minsk (81%); l’88% sostiene che “non dovrebbe essere dato nessun sostegno militare alla guerra”; il 90% che gli USA dovrebbero ritirare gli armamenti nucleari dai paesi NATO.
Solo per il 19% l’Italia deve contribuire al rifornimento di armamenti alla “resistenza” ucraina.
E’ questo l’orientamento più profondo degli italiani, nonostante la propaganda di guerra dei media, (tolta qualche coraggiosa eccezione) e un Parlamento che quasi alla unanimità ha votato per inviare armi in Ucraina, eccetto 13 Senatori e 25 Deputati.
Quando si denuncia la distanza del Paese reale dalla politica e da questo sistema dei partiti che occupa le istituzioni della Repubblica, questo è il risultato.
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Su quale linea cercare allora “la soluzione” alla crisi Ucraina? “L’unica strada percorribile è un accordo che fornisca alla Russia le garanzie di sicurezza che richiede senza successo da trent’anni, in cambio della cessazione dell’attacco e di un impegno a lungo termine per il rispetto della sovranità dell’Ucraina.
Ciò può avvenire per iniziativa europea, può includere la ripresa degli accordi di Minsk, ed anche la creazione di uno status di neutralità dell’Ucraina. Non è più tempo di manfrine.
L’Ucraina ha diritto alla sua sovranità. La Russia non deve più sentirsi in pericolo. E l’Europa dovrebbe smetterla di scherzare con il fuoco solo per compiacere il suo padrone d’oltreatlantico”
(Pino Arlacchi, Fatto Quotidiano, 4 marzo).
Su questa linea cercheremo di operare nel movimento della pace: contrastando la disinformazione, illustrando le nostre analisi sul quadro mondiale, proponendo come base comune di una piattaforma unitaria e realistica il NO alle sanzioni e all’invio di armi sul campo di guerra, per una soluzione politico-diplomatica concordata tra le parti che preveda un’Ucraina neutrale, fuori dalla Nato e non militarizzata. Ovvero: più sicurezza e pace per tutti.
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(*) Oltre a Russia Siria Belarus Eritrea Corea del Nord, non hanno votato a favore della risoluzione, astenendosi:
Algeria Angola Armenia Bangadlesh Bolivia Burundi Africa centrale Cina Congo Cuba El Salvador India Iran Irak Kasakhstan Kirgyzstan Laos Madagascar Mali Mongolia Mozambico Namibia Nicaragua Pakistan Senegal SudAfrica SudSudan Srilanka Sudan Tajikistan Uganda Tanzania Vietnam Zimbabwe .
Da segnalare, tra gli astenuti, per il loro peso geo-politico e/o economico: India e Pakistan (potenze nucleari); Kazakhstan, Mongolia, Sudafrica con tutta l’Africa australe (Namibia, Angola, Mozambico, Zimbabwe, Congo, Tanzania, Madagascar); Iran, Irak ed Emirati Arabi in Medio Oriente; Algeria, Vietnam, Cuba, Nicaragua, El Salvador, Bolivia in America Latina.
Sempre in America Latina, va segnalato il Venezuela che non era presente al voto ma si è espresso in solidarietà con la Russia, in modo affine a Cuba. Mentre Brasile, Argentina e Messico, pur votando a favore della risoluzione, si sono espressi contro le sanzioni alla Russia e gli aiuti militari all’Ucraina. E così pure Turchia e Ungheria.