Nuovo patto di stabilità e nuova austerità. Editoriale

debito europa

di Marco Pondrelli

Passato il 25 aprile i partiti italiani potranno smettere di fare finta di litigare per ritrovarsi d’accordo sul rispetto del credo europeo. È stato approvato il nuovo patto di stabilità, è vero che i gruppi politici italiani presenti all’Europarlamento non hanno votato questo accordo, sostenuto anche dal governo italiano, ma volente o nolente questa modifica diventerà operativa. Senza entrare nello specifico di tutto il nuovo Patto, per l’Italia il punto fondamentale è il rischio (più che rischio una certezza) della procedura per deficit eccessivo che richiederà una correzione dei nostri conti dello 0,5%. Secondo quanto scritto da Gianni Trovati su ‘il sole 24 ore’ del 24 aprile si ‘calcola in 18,2 i miliardi’ la cifra necessaria per lasciare tutto com’è, cioè per replicare nel 2025 le misure introdotte dall’ultima legge di bilancio solo per quest’anno.

Durante il periodo pandemico il Patto di Stabilità fu sospeso ma non cancellato, ora lo si modifica. Possiamo anche concordare che le modifiche siano migliorative ma chiarendo che le misure precedenti erano irrealistiche e irrealizzabili. Oggi quello che alcuni temevano è diventata realtà, l’aggravamento dei conti porta i cosiddetti ‘paesi frugali’ ad accusarci di avere vissuto sopra le nostre possibilità e ora partirà l’assalto a quel poco di industria italiana (come l’ENI) che si era salvata dalla ventata privatrizzatrice tra gli anni ’90 e inizio 2000.

Non ci stupisce che questo patto sia stato accettato da un governo ‘sovranista’, proprio perché, come dicevamo in apertura, il credo europeista (assieme a quello atlantista) unisce la politica italiana. Chi all’opposizione sbraitava sulla sovranità del nostro Paese ora lo sta svendendo. Ci attendono anni molto difficili in cui sarà il mondo del lavoro a pagare il costo di queste politiche ordoliberiste.

Le nuove regole sulla finanza pubblica colpiranno un Paese che sta già pagando un prezzo altissimo a causa del conflitto ucraino. Gli Stati Uniti hanno raggiunto il loro obiettivo strategico separando Europa e Russia, la nostra industria a causa del prezzo più alto dell’energia non è più competitiva con quella statunitense, molte aziende preferiscono produrre negli USA anziché in Europa. I nostri ‘alleati’ ci stanno dissanguando e la nostra classe politiche è felicissima di impoverire il nostro Paese.

Quando si dice che servono 18 miliardi per ‘lasciare tutto com’è’ vuole dire che se siamo fortunati la sanità non peggiorerà. Ad oggi chi non ha assicurazioni private o chi non si può permettere di pagare rischia di essere escluso anche dalle liste d’attesa, inoltre ci sono milioni di italiani che non si curano perché non hanno i soldi per farlo. La sanità è sicuramente il settore dove la sofferenza è più sentita ma non è l’unico. L’unico settore che non conoscerà crisi e tagli sarà quello della difesa. L’obiettivo del 2% nell’immediato e del successivo 4% sarà un’ulteriore scure che si abbatterà sulla spesa sociale.

La politica non si premura di rappresentare le istanze della classe lavoratrice, a destra come a sinistra si parla agli imprenditori, ignorando che negli ultimi 30 anni oltre il 10% del PIL si è spostato da salari e stipendi a rendite e profitti. Una sinistra degna di questo nome metterebbe un’azione ridistribuiva al centro dei suoi obiettivi politici e saprebbe riunire il mondo del lavoro attorno alla lotta per la pace e per i salari.

Questa difficoltà non deve farci perdere la volontà di lottare, se vogliamo tradurre in azione politica i valori antifascisti occorre partire dall’attuazione dei principi costituzionali e mettere al centro dell’agire politico le rivendicazioni sociali del mondo del lavoro.

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