L’Italia e la pace nel fango. Editoriale

di: Francesco Maringiò

Proviamo a fare un giro del mondo raccontando i principali eventi di questa settimana e cercando di cogliere gli aspetti essenziali. Lo facciamo mentre intere province della Romagna sono ancora sotto l’acqua ed il fango. Ora è il tempo della solidarietà e della ricostruzione ma certamente non può essere il tempo del “ricostruiremo tutto come prima”: la straordinarietà degli eventi degli ultimi giorni parlano di una mancata risposta al cambiamento climatico ed anzi di un modello di sviluppo basato su una continua impermeabilizzazione del suolo, un suo eccessivo consumo, un continuo livello di inquinamento che ha rotto ogni equilibrio sostenibile tra uomo e natura. Da tragedie come queste se ne esce solo riprogrammando le priorità e cambiando modello di sviluppo, in altre parole: rimettendo la politica al centro di un modello di pianificazione ed indirizzo che utilizzi le risorse pubbliche per il bene della collettività e dell’ambiente, invece che per ingrassare i bilanci delle spese militari e degli interessi privati.

La scorsa settimana abbiamo prestato grande attenzione alla visita di Zelensky in Vaticano ed all’avvio dell’iniziativa diplomatica cinese con l’inviato Li Hui in missione a Kiev, Varsavia, Berlino, Parigi e poi Mosca. Il silenzio sull’incontro con Papa è stato rotto da quanti hanno voluto far sapere che non è stato possibile fare passi concreti: parlare di pace e negoziati era visto da Kiev come un segnale di debolezza sia nei confronti di Mosca, che sul fronte interno, che deve essere molto turbolento.

C’è una parte del mondo occidentale che è terrorizzata dall’idea che possano emergere soggetti capaci di esercitare una mediazione sul conflitto in corso. Soprattutto, sono terrorizzati che questo soggetto possa essere la Cina, come invece continua a sostenere, alla soglia dei 100 anni e di una lunga esperienza sul campo, Henry Kissinger in una lunghissima intervista su L’Economist (1). Kissinger è assolutamente isolato nel suo campo ed infatti il tour europeo di Zelensky in Europa è servito per garantirsi maggiori e nuovi armamenti. Al G7 in corso in Giappone sta prendendo piede la nuova “jet coalition”, composta da quanti vorrebbero fornire aerei da combattimento F-16 all’Ucraina. Al momento la coalizione è formata da Regno Unito e Paesi Bassi e forse Francia, ma di questo tema si parlerà nello specifico al prossimo vertice Nato di Vilnius. È la strategia dell’escalation per tappe successive: prima si è deciso di fornire Kiev di lanciarazzi, dicendo che avrebbero fermato i russi e sostenendo che non si sarebbero inviati carri armati. Dopo si sono inviati carri armati Leopard ed Abrams, sostenendo che questa scelta avrebbe così impedito l’invio di aerei. Oggi si è arrivati al punto di inviare aerei ed armi all’uranio impoverito. Quale sarà il prossimo step?

Chi alimenta questa escalation rappresenta oggi il principale ostacolo alla pace ed alla soluzione politica del conflitto ucraino.

Se sul fronte dello scontro con la Russia l’Occidente non mostra crepe (che in realtà sono profonde, ma certo non articolate in posizioni difformi) è sul fronte asiatico che il G7 mostra un compromesso più evidente tra le varie posizioni. Dopo il famoso “de-coupling”, il disaccoppiamento totale delle economie col tentativo di isolare economicamente e politicamente la Cina, ora la parola d’ordine sembra essere “de-risking”, ossia ridurre il rischio di dipendenza dalle catene di fornitura cinese da parte delle economie occidentali. Un’evidente mediazione tra la linea dei falchi (Stati Uniti e paesi dell’Est Europa) e manifatture europee (Germania e Francia in testa) interessate a mantenere buoni rapporti con Pechino e coinvolgerla nei principali dossier internazionali. L’Italia del governo Meloni invece di seguire la via dell’interesse economico pare seguire invece quello delle affinità ideologiche, allineandosi alle spinte di Polonia e Stati Uniti e mantenendo la linea del disimpegno sulla Belt and Road.

Alla mediazione sul fronte economico, continua comunque l’ipocrita unità nel G7 nel fare pressione politica ed ingerenza negli affari interni della Repubblica Popolare: il comunicato finale adottato è un concentrato di questioni interne per Pechino. Dalla vicenda di Taiwan ad Hong Kong, dallo Xinjing al Tibet, la dichiarazione dei capi di stato rende evidente il “do ut des” messo in campo tra Stati Uniti ed Europa, dove quest’ultima, in cambio di un allentamento della politica del “de-coupling”, aderisce integralmente alla campagna politica statunitense sulla Cina.

Proprio per queste ragioni la mossa di coinvolgere in questo G7 alcuni paesi chiave del così detto Sud Globale come Brasile ed India, nel tentativo di occupare uno spazio negoziale sui colloqui di pace per sottrarli così all’iniziativa cinese, pare molto problematica. Questi paesi hanno chiaro in mente come la politica occidentale miri a preservare un dominio imperialista sul mondo, di poche ed armatissime nazioni elette sulla stragrande maggioranza dei paesi a cui si cerca di limitare la crescita economica. Mai come oggi, dunque, il tema della pace e della guerra resta il fulcro centrale della politica contemporanea. Riconoscere l’articolazione delle posizioni in campo permette di definire chiaramente i confini tra coloro che lavorano per la pace e chi opera per trascinare il mondo nella barbarie di un conflitto mondiale.

Ps: Mentre chiudiamo questo editoriale ci giunge la notizia che Politicheskoe Prosveshenie (Educazione politica), la rivista teorica del Partito Comunista della Federazione Russa, ha tradotto in russo e pubblicato l’editoriale dell’ultimo numero di MarxVentuno “La guerra ucraina. Cause impatto conseguenze”. Vista la delicatezza del tema, soprattutto in Russia, la scelta di pubblicazione e valorizzazione del nostro lavoro da parte dei compagni del PCFR non può che onorarci.

NOTE

(1) https://www.economist.com/briefing/2023/05/17/henry-kissinger-explains-how-to-avoid-world-war-three

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