L’inadeguatezza del governo ed i nostri compiti. Editoriale

di: Francesco Maringiò

Dalla fine delle restrizioni per la pandemia le attività istituzionali tra l’Europa e la Cina sono riprese a ritmo incalzante, con delegazioni cinesi giunte copiose nel vecchio continente (ed in Italia) negli ultimi mesi ed i principali leader europei volati alla volta di Pechino. Da Scholz a Macron, da Sanchez alla Von der Leyen, da Orban a Vucic e così via. Meno l’Italia, che solo questa settimana ha inviato il Ministro degli Esteri Tajani, per chiedere un rilancio del partenariato strategico tra i due paesi, preludio per il ritiro dell’Italia dalla Belt and Road Initiative.

Parliamoci chiaramente: l’Italia è entrata nella Via della Seta grazie al lavoro fatto dai 5 Stelle nel primo Governo Conte, con la Lega che tentò in extremis di far saltare il banco, apparecchiato (con grande impegno) anche dal “suo” sottosegretario Geraci. Ma da lì in avanti è stato un percorso ad ostacoli, con pezzi della maggioranza che boicottavano l’applicazione del Memorandum in combutta con il PD che, assieme a Fratelli d’Italia (all’epoca entrambi all’opposizione), sparavano a zero sull’unica iniziativa diplomatica italiana che, negli ultimi anni, rendeva il paese protagonista di un’iniziativa internazionale. 

L’adesione alla Via della Seta aveva infatti destato clamore perché, dopo anni, l’Italia cercava di costruire una propria iniziativa autonoma in grado di tutelare i propri interessi. Che poi era molto meno di quanto Francia e Germania, per esempio, fanno da tempo e molto meglio di noi.

Ne è prova la visita di Scholz prima e Macron poi a Pechino con il meglio dell’industria nazionale.

Ma il nostro governo ha troppa paura di fare la fine di Conte per pensare agli interessi generali del paese. Come ricordava Bettini, inchiodando (involontariamente?) il suo partito a responsabilità gravissime, «Conte non è caduto per i suoi errori o ritardi, ma per una convergenza di interessi nazionali e internazionali che non lo ritenevano sufficientemente disponibile ad assecondarli e dunque, per loro, inaffidabile». Ed invece l’affidabilissima Meloni, dopo essersi piazzata in pole position sulla linea degli oltranzisti della guerra ucraina, oggi pensa di portare in dono agli Usa un cadeau speciale, quello della rottura con la Cina. E se questo andrà a detrimento dei nostri rapporti con Pechino e metterà in braghe di tela le nostre imprese, poco conta. Leggiamo sulla stampa questo passaggio che è sintomatico dell’aria che tira: “A Domani risulta che ai timori per eventuali contraccolpi negativi su export e investimenti manifestati da un gruppo di imprenditori italiani incontrati domenica a cena Tajani abbia replicato: «Ma non avete capito in quale contesto geopolitico operiamo?»”. Che è come se il ministro avesse detto: “tengo padrone”!

Proprio in queste ore, la Presidente Meloni è in India per partecipare al G20 e lì cercherà di dare corda al tentativo occidentale di “intruppare” il continente indiano in un’alleanza con l’occidente che, facendo piccole concessioni ad alcuni paesi del così detto Sud globale, prova a mettere in scena l’isolamento di Cina e Russia. Un refrain che dura da tempo e che con la guerra ucraina è aumentato di intensità ed inefficacia (vedi alla voce: votazioni all’Onu). Non è ancora chiaro che l’attuale fase multipolare sarà caratterizzata da disordine ed incertezza, almeno fino a quando non si giungerà alla strutturazione di un sistema multipolare, che potrà nascere solo quando l’Occidente farà sostanziali passi in dietro nel controllo e gestione unilaterale di alcuni organismi e meccanismi internazionali. Ma fino ad allora la fase sarà molto fluida, caratterizzata da medie potenze che accentueranno il loro essere “non allineati”, altre che saranno sempre più “swings states” (oscillanti tra vari schieramenti) o “allineati con tutti”, come l’Arabia Saudita, storico alleato Usa ed oggi neo membro dei BRICS+. In questo mondo, un governo che pensa che si possa isolare la Cina attuando un progressivo allontanamento delle economie europee (in profonda crisi) o la si possa far arretrare tecnologicamente o anche che sia indolore far saltare un memorandum firmato solo pochi anni prima solo per compiacere a Washington, proprio mentre il resto del mondo è pronto a celebrare il decimo anniversario del progetto delle Nuove Via della Seta, dimostra tutta la sua inadeguatezza. E non comprende che questo assetto attuale ed il tentativo di costruire un blocco occidentale in guerra col mondo intero, lascerà sul campo una sola vittima nell’immediato: l’Europa. 

Ecco perché sulle pagine di Marx21, tutti i giorni, trovate informazioni ed analisi sul mondo che cambia. Non per esterofilia o per vezzo intellettuale, ma perché attorno allo scontro voluto dall’unipolarismo atlantico (cioè l’imperialismo) col mondo multipolare imperniato sull’asse russo e cinese si basa la contraddizione principale della nostra epoca, che è la base sulla quale si articola, a livello mondiale, la lotta di classe oggi. È solo partendo da questa consapevolezza che si coglie il senso e l’urgenza della nostra azione: quella della lotta contro le frazioni belliciste dei paesi occidentali, che alimentano la spinta alla guerra e le politiche imperialiste. Che restano il nostro avversario strategico principale. 

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