
di Marco Pondrelli
La liberazione della città di Artyomovsk (o Bakhmut nell’accezione ucraina) da parte della Russia dopo una lunga battaglia, è un elemento che va analizzato attentamente. La stampa mainstream aveva tessuto le lodi della grande resistenza ucraina che stava piegando l’esercito russo, poco prima della caduta della città il contrattacco ucraino concentrato sulla ali russe aveva esaltato i nostri cronisti da salotto, pronti a celebrare l’ingresso del battaglione Azov a Mosca. Purtroppo le cose sono andate diversamente ma nella migliore tradizione del ventennio, come insegnava l’Istituto Luce, le ritirate diventano ripiegamenti tattici, per cui oggi i nostri ex esperti pandemici divenuti nel frattempo strateghi militari ci spiegano che Artyomovsk, per difendere la quale sono morti migliaia di soldati ucraini, non ha alcuna importanza ma anzi si sta prefigurando una trappola per i russi, che rimaranno circondati.
Proviamo ad abbandonare queste miserie umane e ad analizzare quello che è successo e che potrebbe succedere. Sembra che in Ucraina ci sia stata una spaccatura fra l’esercito propenso ad abbandonare la città e Zelensky, il quale voleva difenderla fino all’ultimo uomo. Lo stesso contrattacco a cui si è fatto cenno è servito per dare la possibilità a Zelensky di posare davanti ai flash dei fotografi potendo dire che i russi erano in difficoltà, che questo show sia costato centinaia se non migliaia di morti inutili poco importa al guitto ucraino.
Come ha fatto notare il Generale Fabio Mini l’importanza della città è stata accentuata, se i russi fossero stati convinti del ruolo strategico di questa conquista non avrebbero impiegato la Wagner ma truppe d’élite, quello che la Russia ha ottenuto oltre ad un avanzamento territoriale è stato di logorare l’esercito ucraino. In ogni caso ora si apre una nuova fase, cosa farà Kiev? L’esercito potrebbe decidere di ripiegare sulla linea difensiva più arretrata che fa perno su Chasyv Yar, oppure potrebbe lanciare proprio qui la tanto annunciata controffensiva.
Anche sulla controffensiva occorre un’analisi lucida e non da tifosi da curva sud, il problema ucraino oggi non sono solo le armi ma anche i soldati, per dirla con Bertolt Brecht il carro armato è potente ma ‘ha bisogno di un carrista’, la guerra dal 2014 sta logorando Kiev e prima o poi l’Occidente dovrà fare i conti con la propria ipocrisia, se bisogna combattere il nuovo Hitler basta farlo mandando le armi o ci vuole qualcosa di più? A prescindere da queste considerazioni la controffensiva non è da escludere, ma è difficile pensare che essa possa ottenere risultati strategici anziché solamente tattici. La Russia durante la precedente offensiva ucraina ha perso territorio ma ha compattato le proprie linee per cui è improbabile che un attacco possa ridare all’Ucraina tutti i territori persi, Crimea compresa.
Di fronte a quella che è diventata una guerra di logoramento l’Occidente risponde, come abbiamo sottolineato nel nostro ultimo editoriale, chiudendo ogni prospettiva di dialogo. Oramai non solo il giornalismo mainstream ma anche la stragrande maggioranza dei politici sono vittime della loro stessa propaganda, nessun dialogo perché il nuovo Hitler va sconfitto, l’Ucraina liberata e la Russia messa in ginocchio. La verità è che a fronte delle promesse di una Russia che sarebbe crollata a breve, sia da un punto di vista militare che economico le cose stanno andando diversamente. Mosca pur con tanti problemi sta reggendo, segno che l’avvio dell’Operazione Militare Speciale non è stata una scelta impulsiva ma una mossa calcolata, dall’altra parte gli stati europei e anche gli Stati Uniti iniziando ad avere dei problemi.
Su ‘il sole 24 ore’ del 18 maggio Luca Veronese scriveva che ‘i gravi problemi nelle catene di approvvigionamento stanno lasciando senza farmaci migliaia di malati negli Stati Uniti’, in Italia le cose non vanno meglio, il malessere sociale continua a crescere. Continuiamo a credere che non vada fatta cadere la prospettiva di pace su cui la Cina sta lavorando, a cui si sommano gli sforzi del Vaticano. Continuare ad inviare le armi e dire no al dialogo ha due conseguenze: maggiori morti e crisi economica (se non recessione, vedi la Germania) in Occidente.
Proprio perché siamo convinti che l’unica soluzione sia la pace, ribadiamo il nostro sostegno alla raccolta firme referendarie contro l’invio di armi. Di fronte ad una politica che nella sua quasi totalità sostiene la guerra infischiandosene delle volontà della maggioranza degli italiani, la scelta referendaria è una grande possibilità.
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