La verità sulla guerra ucraina. Editoriale

Massimiliano Romanello e Francesco Maringiò (a cura di)

Proponiamo al lettore ampi stralci di un articolo comparso sul numero 5/2023 di Limes, “Lezioni Ucraine”. L’autore, dietro allo pseudonimo “John Florio”, ha il merito di confutare alcuni falsi miti della narrazione occidentale, «unilaterale, riduttiva ed auto-assolutoria», identificando la causa primaria della guerra in Ucraina nella penetrazione della NATO all’interno della sfera d’influenza post-sovietica.

La scelta dell’integrazione euro-atlantica ha infatti dato avvio ad una guerra per procura, che sta «distruggendo l’Ucraina nella speranza di indebolire la Russia», finanziata e prolungata da un Occidente ormai coinvolto in un impegno «materialmente impossibile, oltre che politicamente insostenibile» a causa degli elevati costi sociali ed economici. Ma che, tuttavia, rimane prioritario rispetto a qualsiasi piano di pace. Significativa in tal senso la visita di Boris Johnson a Kiev, il 22 aprile del 2022, che segna un vero e proprio spartiacque, con la decisione di porre fine alle trattative e proseguire lungo la via del conflitto.

In un esempio di realismo politico assai raro al giorno d’oggi, l’autore evidenzia come la riconquista dei territori perduti risulti assai improbabile per l’esercito di Kiev, dati i rapporti di forza attualmente presenti sul campo. Ciò sta aprendo una «voragine difficilmente colmabile» tra gli interessi occidentali e gli obiettivi della classe dirigente ucraina. Se da un lato, argomenta Florio, l’Ucraina punta su un sostegno militare a tempo indefinito, per recuperare la propria integrità territoriale e ripristinare i confini del 1991, dall’altro il prolungamento del conflitto si scontra con gli interessi strategici di lungo periodo degli Usa, intenzionati ad opporsi al nascente blocco multipolare «insofferente all’egemonia americana» ed al processo di de-dollarizzazione tuttora in corso. Secondo la lucida analisi dell’autore, il conflitto ha infatti «accelerato, anziché impedito, il consolidamento di un blocco euroasiatico unificato ostile all’influenza e al potere americani». Fatto che pone quindi all’ordine del giorno la questione del definitivo ridimensionamento dell’egemonia e del dominio occidentale.

Buona lettura.

GEOPOLITICA COME RELAZIONE (APOLOGIA DI DIODOTO)

di John FLORIO

La ribellione di Mosca all’ordine internazionale americano, di cui l’aggressione all’Ucraina è il riflesso geopolitico più profondo, ha sprigionato in Occidente dinamiche analoghe a quelle descritte due millenni fa da Tucidide. La risposta al plateale atto di ribellione russo è stata quella di promuovere il collasso economico, politico e militare di Mosca, ovvero il regime change, ma anche per mandare un chiaro monito alla Cina nell’Asia-Pacifico.

Kiev nell’aprile 2022 stava per firmare un accordo con la Russia che avrebbe posto fine alle ostilità in cambio della neutralità ucraina (1). Toccò a Boris Johnson precipitarsi il 9 aprile «quasi senza preavviso» nella capitale per chiarire a Zelens’kyj, come ha rivelato una fonte vicina al presidente ucraino (2) (e come confermato da fonti americane (3)), che «anche se l’Ucraina è pronta a firmare alcuni accordi sulle garanzie con Putin, noi (l’Occidente collettivo, n.d.a.) non lo siamo» (4). Sin dall’inizio (ovvero dal rovesciamento nel 2014 del presidente democraticamente eletto, il filorusso Janukovyc) il compito «storico» assegnato a Kiev non era cercare la pace né il compromesso, bensì fiaccare e indebolire la Russia: se necessario anche con la guerra. «Con le armi e il denaro americano, l’Ucraina combatterà la Russia fino all’ultimo uomo», dixit il senatore Usa Lindsey Graham (5).

La guerra finanziata dall’Occidente sta infatti «distruggendo l’Ucraina nella speranza di indebolire la Russia» (6). L’espulsione di Mosca dal sistema politico-finanziario globale, ha accelerato, anziché impedito, il consolidamento di un blocco euroasiatico unificato ostile all’influenza e al potere americani (7). Sprigionando dinamiche geopolitiche che rendono la promessa di sostegno illimitato nei confronti di Kiev ogni giorno più disallineata con gli interessi a lungo termine degli Stati Uniti. L’impegno a sostenere l’Ucraina, è materialmente impossibile, oltre che politicamente insostenibile, come dimostrano gli orientamenti (e le proteste) delle opinioni pubbliche nei maggiori paesi Ue (Italia inclusa (8)). La rigida postura assunta dai governi alleati nel tentativo di mantenere la linea anche a costo di infiggere gravi danni economici ai propri popoli sta crepando le nervature profonde delle società,

Il prolungato sostegno militare a Kiev comporta, anzitutto da una prospettiva americana (9), rischi strategici maggiori che il non raggiungimento di quello che in un primo momento era parso il suo obiettivo manifesto: la «sconfitta strategica» della Russia (Victoria Nuland). «Impedire a Mosca di ottenere anche il più modesto dei suoi obiettivi di guerra, indebolendo ulteriormente le sue capacità di resistere all’espansione della Nato» (10). La guerra ha iniziato a erodere la prontezza militare occidentale, senza che la base industriale in ambito militare possa tenere il passo con l’elevatissimo consumo di munizioni ed equipaggiamenti richiesto dell’Ucraina. La guerra sta inoltre infiggendo costi altissimi all’economia globale, avendo l’anno scorso determinato in Europa un aumento dei costi dell’energia con effetti a catena sulla competitività della manifattura europea. Contribuendo attivamente – nell’allegra spensieratezza dei suoi leader – all’ulteriore desertificazione industriale del continente (con la chiusura e il trasferimento in America o in Cina degli stabilimenti produttivi) (11).

Soprattutto, la guerra in corso sta pericolosamente polarizzando il sistema internazionale, spaccandolo in due blocchi geopolitici. Di cui quello occidentale è numericamente, demograficamente ed economicamente il più piccolo (12). Coagulando intorno alla Russia, in una guerra per procura a rovescio, «il diffuso scontento del resto del mondo nei confronti della hybris e dell’ipocrisia americana» (13).

Antagonizzando per miopia geopolitica la Russia, l’America è riuscita nell’inarrivabile risultato di spingerla tra le braccia di Pechino con un’inedita applicazione al contrario del divide et impera. Plasmando con le sue stesse mani un blocco insofferente all’egemonia americana ben più temibile che una Cina solitaria.

L’aperto sostegno di Washington a Kiev sta così accelerando, in una paradossale eterogenesi dei fini, la perdita di influenza degli Stati Uniti a livello globale, «rendendo evidente la fine della Pax Americana» (14). E incoraggiando la transizione in atto per sostituire il dollaro come valuta di riserva.

Risultato: una più prudente riflessione su obiettivi ed esiti del confitto è in corso a Washington.

A porte chiuse, nessuno si fa troppe illusioni sulla portata dei futuri successi ucraini. Aumentare la fornitura di assistenza militare all’Ucraina, «se aiuterà le forze ucraine a fare progressi sul campo di battaglia, ha poche possibilità di consentire a Kiev di ripristinare la piena integrità territoriale». Entro la fine dell’anno, «è probabile che emerga una situazione di stallo lungo una nuova linea di contatto» (15). Cui è molto probabile seguirà l’apertura a un cessate-il-fuoco. Non solo perché gli Usa non saranno in grado di assicurare (politicamente, prima che tecnicamente) livelli di assistenza militare di questa portata all’infinito, ma anche perché le dinamiche sprigionate dal «cuore di tenebra» della guerra ucraina stanno aprendo una voragine – sempre più difficilmente colmabile – tra i più ampi interessi occidentali e l’obiettivo di Kiev di proseguire a oltranza il confitto per ripristinare i confini del 1991.

La controffensiva, più realisticamente, rappresenterà l’estremo sforzo per Kiev di spostare un po’ più a est la nuova linea di contatto, nel tentativo di ridefinire a proprio vantaggio i confini di ciò che resta dell’Ucraina. È improbabile che l’offensiva – senza un diretto intervento di truppe Nato – assuma le fattezze della gloriosa reconquista annunciata da Zelens’kyj. .

Nulla di ciò di cui il suo popolo avrebbe bisogno – pace, sicurezza e ricostruzione economica – potrà essere ottenuto prolungando una guerra che non può essere vinta. Il costo del massimalismo politico abbracciato dalla classe dirigente post-Majdan si è del resto già rivelato altissimo: la scelta dell’integrazione euro- atlantica ha trasformato l’Ucraina da terra di frontiera in campo di battaglia, e quindi in landa desolata da cui sono fuggiti oltre 14 milioni di persone. Le forze militari di Kiev hanno pagato un tributo umano spaventoso (il numero dei caduti, dell’ordine di centinaia di migliaia, è tenuto rigorosamente segreto) L’economia ucraina è crollata di quasi il 30%, gran parte delle infrastrutture ucraine giace in rovina. Il rilancio del paese, in larghissima parte fondato sull’attrazione di capitali stranieri, non potrà infatti vedere la luce senza che sia stato scacciato lo spettro del confitto.

Trovare una via d’uscita dal labirinto ucraino, però, non è facile. Qualsiasi ipotesi di trattativa è stata finora soffocata dal prevalere, in Occidente, di una visione unilaterale e riduttiva delle cause del confitto. Ovvero dall’idea che l’unico responsabile della carneficina in atto sia il sanguinario autoritarismo di Putin, la sua psicologia paranoica, le sue folli ambizioni imperiali.

Quello che sfugge all’attuale dibattito sulla guerra in Ucraina è «un apprezza- mento di come gli Stati Uniti reagirebbero – e hanno risposto – a incursioni di potenze straniere nella loro sfera di influenza» (16) (Vedi alla voce crisi dei missili di Cuba) la ragione dell’aggressione in Ucraina «non è probabilmente la megalomania espansionistica di Putin, ma esattamente quello che Mosca dice che sia: una reazione difensiva all’espansione dell’influenza militare di una potenza rivale in un paese confinante e strategicamente importante» (17).

L’aggressione militare all’Ucraina – spogliata di ogni ideologia – è infatti il plateale atto di ribellione di Mosca al disegno americano di cancellare la sua influenza dallo spazio post-sovietico attraverso l’allargamento della Nato.

Mosca segnalava sin dall’inizio come l’espansione di un’alleanza militare americana ai suoi confini rappresentasse un’intollerabile minaccia (psicologica, prima che strategica) alla sua sicurezza. E che fino all’ultimo – con la bozza di trattato consegnata a Washington il 17 dicembre 2021 – ha espresso apertamente i suoi timori e chiesto agli Stati Uniti «di intraprende tutte le misure per evitare un’ulteriore espansione a est dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico e negare l’ingresso all’Alleanza agli Stati della ex Unione delle Repubbliche Sovietiche» (18).

Come certificano, a scanso di equivoci, i piani del dipartimento di Stato Usa risalenti al 1993 (e recentemente declassificati (19)) che programmavano entro il 2005 l’ingresso nella Nato di Russia, Ucraina e Bielorussia. L’unica espansione nell’area è stata quella dell’Alleanza Atlantica, non del Cremlino, che nel 1991 si è volontariamente ritirato dall’Europa centro-orientale, permettendo la riunificazione tedesca, in base a precise (benché mai codificate) assicurazioni americane (20).

L’aver ignorato le ragionevoli preoccupazioni di sicurezza russe, considerandole irrilevanti o più semplicemente assurde «alla luce delle benevole dichiarazioni d’intenti occidentali» (21), ha gettato i semi dell’odierna catastrofe geopolitica, di cui gli architetti dell’attuale politica estera americana hanno «una responsabilità fondamentale» (22).

Si avvicina il momento in cui non sarà più possibile per l’Occidente continuare a presentare il confitto in termini dicotomici, come guerra tra barbarie e civiltà. Postura adottando la quale il mondo civilizzato a guida Biden si è autolimitato le opzioni diplomatiche, catapultandosi senza troppi pensieri lungo la via dell’escalation armata.

Quando la controffensiva ucraina avrà esaurito la sua spinta e raggiunto i suoi limiti, arriverà il momento di sedersi al tavolo della tregua. A quel punto fare concessioni agli interessi di sicurezza di Mosca nel suo «estero vicino» (leggi sfera di influenza) non sarà più una scelta, ma una necessità.

La politica, dopo tutto, è l’arte del possibile. E il suo strumento è il compromesso (non la lapidazione del diverso).

L’incomprensione e il rifiuto delle dinamiche della storia, lungi dal rafforzare l’egemonia americana, alla lunga rischiano di isolare l’Occidente dalla storia del mondo.

Note:

(1) T. CIRIACO, «Zelensky apre sulla neutralità di Kiev: “Possibile accordo su Crimea e Donbass”», la Repubblica, 28/3/2022.

(2) Possibility of talks between Zelenskyy and Putin came to a halt after Johnson’s visit – UP sources», Ukrainska Pravda, 5/5/2022; «Johnson’s position was that the collective West, which back in February had suggested Zelenskyy should surrender and fee, now felt that Putin was not really as powerful as they had previously imagined, and that here was a chance to “press him”», pravda.com.ua

(3) «According to multiple former senior U.S. offcials, (…) in April 2022, Russian and Ukrainian negotiators appeared to have tentatively agreed on the outlines of a negotiated interim settlement: Russia would withdraw to its position on February 23, when it controlled part of the Donbas region and all of Crimea, and in exchange, Ukraine would promise not to seek Nato membership and instead receive security guarantees from a number of countries», in F. HILL, A. STENT, «The World Putin Wants», Foreign Affairs, 25/8/2022.

(4) Si noti che Zelens’kyj abbandonò le trattative subito dopo la visita del primo ministro inglese, il 9 aprile, e non dopo la rivelazione dei crimini di guerra russi a Bucha. Tant’è che dopo aver visitato la località di Bucha, il 4 aprile 2022, Zelens’kyj riaffermò la propria determinazione a proseguire i negoziati. Cfr. I. KATCHANOVSKI, «The Russia-Ukraine War and the Maidan in Ukraine», School of Political Studies & Confict Studies and Human Rights Program University of Ottawa, 13/10/2022; si veda anche R. ROMANIUK, «From Zelenskyy’s “surrender” to Putin’s surrender: how the negotiations with Russia are going», Ukrainska Pravda, 5/5/2022.

(5) L. GRAHAM, dichiarazioni alla stampa, 10/5/2022.

(6) Cfr. D. RUNDELL, M. GFOELLER, «Time Is Running Out for a Negotiated Settlement in Ukraine», Newsweek, 3/5/2023.

(7) Come prevedeva Diodoto (in La guerra del Peloponneso, libro III), «se una città in rivolta comprende di non avere scampo, (…) quale città non intensificherà gli sforzi per prepararsi in modo più completo, quale non trascinerà l’assedio fino all’estremo respiro, se una resa sollecita o protratta conseguiranno lo stesso fatale risultato?».

(8) Secondo il sondaggio Ipsos del 22/3/2023, oltre alla nota contrarietà all’invio di armi, il 79% degli italiani è contrario a sostenere militarmente l’Ucraina «fino alla liberazione di tutti i territori occupati dalla Russia».

(9) «How Does the War in Ukraine End?», Council on Foreign Relations, 15/3/2023.

(10) G. ARANSON, «What Does it Mean to «Defeat Russia» in Ukraine?», The National Interest, 17/5/2023.

(11) G. FONTANELLI, «Inizia la fuga delle imprese verso gli Usa e l’Europa teme la deindustrializzazione», Domani, 18/1/2023.

(12) C. DEVONSHIRE-ELLIS, «The BRICS Has Overtaken The G7 In Global GDP», Silk Road Briefng, 27/3/2023.

(13) F. HILL, Lennart Meri Conference 2023, cit. Come ha notato Fiona Hill, già consigliera presidenziale di Obama, la reazione americana alla ribellione russa, lungi dal rafforzare gli Stati Uniti, «ne ha certificato il declino».

(14) Ibidem.

(15) R. HAASS, C. KUPCHAN, «The West Needs a New Strategy in Ukraine», Foreign Affairs, 13/4/2023.

(16) Vedi alla voce crisi dei missili di Cuba. E reazione di Washington all’installazione di missili nucleari sovietici sull’isola. Nonostante la loro «insignificanza strategica», gli Stati Uniti considerarono il dispiegamento di missili sovietici nell’emisfero americano «una provocazione inaccettabile», che metteva in dubbio la postura americana con gli alleati e con gli avversari (oltre che la rielezione di J.F. Kennedy). Washington ne forzò dunque la rimozione con un ultimatum all’Unione Sovietica e imponendo un blocco a Cuba, paese sovrano, che portò il mondo sull’orlo di una guerra nucleare. Cfr. B. SCHWARZ, C. LAYNE, «Why Are We in Ukraine?», Harpers, June 2023.

(17) B. SCHWARZ, C. LAYNE, op. cit.

(18) Corsivo nostro. Lungi dall’esprimere ambizioni a conquistare, occupare o annettere l’Ucraina (obiettivo impossibile per i 190 mila uomini che la Russia poi dispiegò nel suo attacco il 24 febbraio 2022), le richieste di Mosca erano relative a garanzie sulla non espansione a est della Nato, in particolare per quanto riguardava l’Ucraina.

(19) Memo declassifcato del dipartimento di Stato Usa, «Strategy for NATO’s Expansion and Transformation», 7/9/1993.

(20) Cfr. J. FLORIO, «Pensieri mossi dall’ambizione», Limes, «La Polonia imperiale», n. 2/2023, pp. 141-158.

(21) B. ABELOW, Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina, Roma 2023, Fazi Editore, p. 61.

(22) G. KENNAN, «A Fateful Error», The New York Times, 5/2/1997.

Unisciti al nostro canale telegram