di Marco Pondrelli
La sfiducia al più breve governo della Quinta Repubblica francese dovrebbe accendere un campanello d’allarme non solo dalle parti dell’Eliseo ma anche nel resto d’Europa. La crisi francese ha radici profonde che sono allo stesso tempo economiche e politiche. Il governo dimissionario di apprestava ad una manovra lacrime e sangue, che avrebbe dovuto essere difesa da una compagine governativa senza sostegno popolare né parlamentare. I mali della società e dell’economia francese, come di quella italiana, sono riassumibili dalla parola diseguaglianza. Thomas Piketty nel suo (criticabile) libro ‘Il Capitale del XX secolo’, afferma: ‘la diseguaglianza della distribuzione dei patrimoni a livello mondiale osservabile oggi è paragonabile per ampiezza a quella osservata nelle società europee verso il 1900-10’. Questa diseguaglianza figlia del neoliberismo ha messo in ginocchio le società occidentali, impoverendo il lavoro e spostando risorse da salari e stipendi a profitti e rendite.
Alla base della vittoria elettorale delle forze definite ‘populiste’ e/o ‘sovraniste’ c’è questa crisi economico-sociale. È ridicolo in questo scenario pensare che il successo della Le Pen o di Melenchon sia dovuto al sostegno di Putin o che nasca nell’autonomia della politica. Domenica scorsa abbiamo dedicato il nostro editoriale alla crisi della democrazia, questa crisi è la base per la vittoria di Partiti o schieramenti che contestano radicalmente le politiche portate avanti dai partiti dell’establishment. Ovviamente questo ragionamento non significa riconoscersi nelle idee della Le Pen e nemmeno di Melenchon, questa è una semplice analisi dei fatti.
Oltre ai problemi sociali ed economici si somma per Parigi una difficoltà politica. Se le cause della crisi francese risalgono molto indietro nel tempo, esse esplodono oggi perché è in crisi l’asse con la Germania che aveva permesso alla Francia di evitare drammatiche manovra di riaggiustamento (chiamate dai nostri giornali con grande senso dell’ironia ‘riforme), che l’Italia ha conosciuto molto bene in passato. Il problema politico per la Francia è rappresentato proprio dalla crisi tedesca e quindi dell’asse franco-tedesco. Con Berlino in crisi (economica e politica) la polvere non può più essere nascosta sotto il tappeto. Per uno dei tanti paradossi con cui si muove la storia proprio chi ha voluto il nuovo patto di stabilità rischia di pagare il prezzo sociale più alto.
La crisi tedesca, è utile ripeterlo, nasce dal conflitto ucraino, voluto dagli Stati Uniti per colpire l’Europa sia per separarla dalla Russia, sia per mettere in crisi la sua industria. L’industria tedesca aveva due punti di forza: contenimento salariale e energia a basso costo, venuta meno quest’ultima iniziano le chiusure degli stabilimenti e per molte aziende si palesa la prospettiva allettante di trasferirsi negli Stati Uniti.
Di fronte a questo quadro occorre capire come e se l’Unione europea resisterà. Quello che possiamo dire è che la Ue così come l’abbiamo conosciuta è finita. L’equilibrio geopolitico si sta spostando ad est, verso la Polonia, è il neo-Intermarium divenuto Trimarium non è solo una minaccia alla Russia ma anche alla vecchia Europa. Questo progetto politico rappresenta un’ulteriore involuzione democratica, vedi la cancellazione della elezioni in Romania, e a fronte di élite politiche totalmente succubi ai voleri di Washington dovrà avere una forte risposta dalle masse lavoratrici.
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