di Marco Pondrelli
Le considerazione che possono essere fatte sul governo appena insediato sono tante, a partire da una chiara mancanza di risposte sulla crisi economia e sociale che sta colpendo il nostro Paese. L’Italia, seppure in buona compagnia, viaggia spedita verso la recessione che, ricordiamolo, colpisce un Paese che prima di essere spossato dalla pandemia si doveva ancora riprendere dalla crisi del 2008. L’unica strada percorribile è la ricerca della via diplomatica nel conflitto ucraino, che permetterebbe di riportare la pace e garantire la sicurezza della Russia, questo aprirebbe la strada al superamento delle sanzioni e al rilancio dell’economia.
Sono temi che abbiamo già affrontato e su cui torneremo, perché c’è un altro punto affrontato dalla neo-Premier che merita una riflessione, è quello delle riforme istituzionali in particolare la proposta di semipresidenzialismo. A fronte di questa proposta non si può che constatare che peggio di questo governo c’è solo l’opposizione del pd, Letta si è detto contrario evidentemente conoscendo poco la storia del suo Partito.
Partiamo da lontano. Nel 1996 l’allora Segretario del PDS Massimo D’Alema diede vita ad una bicamerale per le riforme che presentò alle Camere una proposta di riforma costituzionale che prevedeva il semipresidenzialismo. Il progetto venne affondato da Berlusconi (che in commissione lo aveva appoggiato) e si limitò a produrre alla fine della legislatura la pessima riforma del Titolo V della Costituzione. Ancora peggio furono le modifiche costituzionali di Matteo Renzi allora segretario del pd, il combinato disposto delle riforma costituzionale e della nuova legge elettorale (l’unico caso di legge elettorale votata ed abrogata senza mai essere stata utilizzata) dava come risultato quello che era stato definito il Sindaco d’Italia (espressione che per primo usò Mariotto Segni). Questa riforma bocciata da un referendum popolare (a cui Letta diede indicazione di votare ‘sì’) avrebbe dato al Presidente del Consiglio un potere ben superiore a quello del Presidente francese. In Francia, dove vige il semipresidenzialismo, l’Eliseo deve rapportarsi ad un governo che viene eletto dall’Assemblea nazionale. Sono molti i casi in cui un Presidente ha coabitato con un governo di differente matrice politica, nel caso della riforma Renzi il Capo del Governo avrebbe avuto la sua maggioranza ed in caso di dimissioni si sarebbe andati alle elezioni anticipate, sarebbe venuta nei fatti meno la distinzione fra potere legislativo ed esecutivo.
Occorrerebbe infine ricordare a Letta che dal suo Partito proviene Giorgio Napolitano che trasformò di fatto l’Italia in una repubblica presidenziale (o in una monarchia?), trascinando l’Italia nella guerra in Libia (contro la volontà del Parlamento e contro i nostri interessi) e imponendo il peggior governo della storia repubblicana.
L’opposizione alle proposte di semipresidenzialismo non può partire da questa premesse. Per noi le riforme istituzionali non devono essere figlie di un ristretto confronto fra costituzionalisti, perché la democrazia è tale se è ‘democrazia sociale’. Le modifiche alla carta costituzionale e alle leggi elettorali per quanto possano sembrare distanti dagli interessi del mondo del lavoro sono legati ad esso. Nel ’92-’93 l’attacco ai lavoratori fu duplice, si colpì la scala mobile e la legge proporzionale; oggi i comunisti devono chiedere una nuova indicizzazione dei salari e una legge elettorale proporzionale che rimetta al centro della nostra democrazia il Parlamento. Va combattuto con forza il dogma della governabilità a cui può essere sacrificata la rappresentanza, una democrazia funziona se garantisce la pluralità e da forza e voce alla classi più deboli.
Recentemente alcuni sindacalisti sono stati arrestati con l’accusa di concussione (provvedimento poi annullato dal tribunale del riesame) per avere organizzato uno sciopero, è un attacco ai fondamenti della nostra democrazia che non può rimanere tema da aula di tribunale. Il Parlamento non può essere impermeabile di fronte alle lotte sociali. Negli ultimi 30 anni mentre la politica si indeboliva venivano erosi i diritti e i salari dei lavoratori e delle lavoratrici.
Al primo punto del nostro programma, prima del giudizio che si può dare di Conte, Bersani o Fratoianni occorre rimettere al centro una grande battaglia sociale di cui la difesa della Costituzione (ma sarebbe meglio dire il ripristino) è parte fondamentale. Una democrazia non è solo riconoscimento formale dei diritti, la democrazia alla quale noi pensiamo è una democrazia che accompagna alla tutela del lavoro (articolo 36 ‘il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro‘), una rappresentanza politica dello stesso. Gli anni ’60 e ’70 sono stati anni di grande lotte che hanno prodotto un avanzamento della classe operaia ma allo stesso tempo erano anni di partecipazione popolare, anche nei piccoli comuni se necessario si istituivano le assemblee di frazione per permettere la partecipazione ad ogni livello.
Alle proposte della Meloni sul semipresidenzialismo non si risponde con le farisaiche argomentazioni sentite in Parlamento ma con la lotta e la partecipazione.
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