di Marco Pondrelli
Sono state molte le voci, alcune anche insospettabili, che si sono levate per condannare l’intervento russo in Ucraina. Non è per un vuoto esercizio di saccenza che mi preme ricordare che la guerra non è scoppiata il 24 febbario ma otto anni fa ed è scoppiata a seguito del colpo di Stato a Kiev. Gli anni seguenti sono stati segnati da pericolosi rigurgiti neonazisti. In passato il nostro sito ha recensito ed ha presentato il libro di Sara Reginella significativamente intitolato ‘Donbass, la guerra fantasma nel cuore dell’Europa‘. Si ricordino tutti coloro che definiscono questa come la prima guerra in 70 anni di storia europea che, oltre a quelle che è successo in Jugoslavia negli anni ’90, nelle province orientali dell’Ucraina le popolazioni vivevano già in uno stato di guerra.
A queste preoccupazioni per la Russia si è aggiunta la minaccia dell’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Non reggono le argomentazioni di chi sostiene che se un Paese autonomamente decide di entrare in un’organizzazione internazionale lo può fare, a chi sostiene questa tesi va ricordato quello che successe a Cuba nell’ottobre del 1962. Fra le voci critiche verso le Russia vi è anche chi sostiene che Mosca era stata rassicurata, la Nato non si sarebbe espansa ulteriormente verso i suoi confini. Questa più che come una rassicurazione suona come una provocazione, la stessa cosa fu detta nel ’90 e sappiamo come è andata a finire è per questo motivo che Putin continua a richiedere impegni scritti.
L’intervento della Russia è stato la risposta a questa continue provocazioni degli Stati Uniti e dei paesi più oltranzisti della Nato. L’opzione militare non è stata certo presa a cuor leggero da Mosca, i rischi e i costi che questa operazione comporta sono alti. Al momento possiamo individuare tre scenari futuri.
Il primo è uno scenario che possiamo definire ‘crimeano’, un’annessione delle Repubbliche orientali che potrebbe portare anche al dissolvimento dell’Ucraina così come la conosciamo. In questo scenario alcune regioni chiederebbero di entrare nell’Ungheria ed altre nella Polonia, resterebbe una mini-Ucraina pronta a fare il suo ingresso ‘trionfale’ nella Nato.
Il secondo scenario è quello afghano. Se la Russia avesse intenzione di occupare stabilmente l’Ucraina andrebbe incontro ad enormi rischi. Innanzitutto dovrebbe fare i conti con una guerriglia sostenuta dagli USA proprio come successe in Afghanistan ed inoltre pagherebbe costi altissimi in termini economici e di vite umane. Si potrebbe addirittura arrivare ad una destabilizzazione interna al potere russo.
Il terzo scenario è quello georgiano. Nel 2008 quando la Russia intervenne per difendere la popolazione dell’Ossezia del sud non occupò il Paese né si è annesse la regione. In uno scenario simile la Russia garantirebbe le popolazioni russofone, impedirebbe l’ingresso del Paese nella Nato (non potendo aderire a questa organizzazione nazioni con contese regionali aperte sul proprio territorio) ed inoltre instaurerebbe a Kiev un governo non amico ma quantomeno neutrale. Questo scenario (che è quello che molto probabilmente è nella testa del potere russo) porterebbe a quella finlandizzazione dell’Ucraina che prima dello scoppio della crisi era stata evocata da Kissinger. In un simile scenario non è escluso che Zelinsky possa resistere al suo posto, l’attuale Presidente ha vinto le elezioni promettendo la fine delle ostilità, se l’Ucraina non ha rispettato gli accordi di Minsk è stato per l’opposizione degli elementi neonazisti presenti nel governo. Nelle idee di Mosca denazistificare il Paese vuole dire colpire duramente questi gruppi, a quel punto Zelinsky, o chi per lui, avrebbe la strada spianata per costruire un Paese neutrale e pacifico.
Quale dei tre scenari si produrrà è difficile da dire, però la situazione si chiarirà nei prossimi giorni. La Russia sta correndo un grosso rischio, probabilmente questa scelta è stata condizionata anche da ragionamenti di politica interna ma in ogni caso essa si basa su calcoli razionali che vengono sempre accompagnati dalla richiesta di dialogo ed in questo quadro il ruolo della Cina è fondamentale. Per Mosca è importante sapere di poter contare su quello che è sempre più un ‘alleato’, pronto ad offrire il suo sostegno ad un ipotetico tavolo di pace.
Sarebbe sbagliato seguire la retorica del mainstream italiano e parlare di un’Europa unita, l’Unione europea non ha una politica estera ed i singoli stati, pur dandosi un minimo di coordinamento, si muovono in maniera autonoma, se Francia, Germania ed Italia sarebbero stati pronti ad aprirsi maggiormente alle ragioni russe Polonia, Repubbliche Baltiche ed Olanda sono per una linea ancora più dura. Se l’Italia fosse uno Stato sovrano con una politica estera autonoma dovrebbe lavorare, o meglio avrebbe già dovuto lavorare, per costruire una via diplomatica e per chiedere la dissoluzione di uno strumento di morte quale è la Nato ma purtroppo il governo Draghi, autodefinitosi europeista e atlantista, segue la volontà statunitense, anche quando questa va contro i nostri interessi. Dopo la sospensione dell’apertura del North Stream 2 il prezzo del gas è aumentato, questo aiuta la ripresa italiana?
Per concludere una riflessione sulla sinistra che, salvo rare ed apprezzabili voci, si è schierata contro l’intervento russo e non si è fatta problemi a scendere nelle piazza in cui sventolavano le bandiere dei nazisti ucraini, veramente per questa sinistra oggi la garanzia di pace passa dall’intervento della Nato? Se da un lato queste sono posizioni inaccettabili, dall’altro dobbiamo condannare anche la politica del ‘né né’, sono discorsi che abbiamo già sentito ai tempi della guerra in Jugoslavia e in Libia. Ci aspettano mesi ed anni molto difficili in cui l’attacco e la repressione anche ideologica saranno sempre più forti, non è il momento di nuovi bertinottismi.