La condanna di Skala: cosa rimane della libertà di parola?

di Marco Pondrelli

Il nostro sito ha dedicato, grazie soprattutto al lavoro di Andrea Catone, molto spazio alla condanna di Joseph Skala a 8 mesi di reclusioni (con una condizionale di 5 anni), in base a una legge della Repubblica Ceca che vieta di negare o anche solo dubitare delle responsabilità sovietiche nella strage di Katyn. Nel corso di una trasmissione radiofonica del 2 luglio 2020 Skala aveva messo in dubbio che la strage fosse stata compiuta dai sovietici citando storici e ricercatori che la attribuiscono ai nazisti.

Il processo è stato una farsa in cui Skala e gli altri imputati non si sono potuti difendere chiamando degli storici a sostenere la loro tesi, esso è stato un processo politico degno della peggiore tradizione maccartista. Nel momento stesso in cui si presenta la guerra ucraina come uno scontro fra autocrazia e democrazia, nella Ue si vieta il dissenso o anche solo il dibattito storico. Quando gli europeisti si renderanno conto che gli spazi democratici sti stanno restringendo e che nell’Ucraina che tutti vogliono nell’Unione europea il dissenso è duramente represso?

Per trovare un esempio di quello che sta succedendo basta guardare all’Italia dove il dissenso rispetto alle politiche atlantiste, seppur maggioritario fra la popolazione, è marginalizzato, deriso o duramente attaccato, con fior fior di politici e giornalisti che teorizzano e praticano la censura.

Rispetto alle miserie dell’informazione italiana però il caso-Skala è ancora peggiore. La politica in questo caso interviene sul dibattito storico, è un voto parlamentare (e sulla cultura media dei parlamentari italiani, e non solo italiani, sarebbe interessante discutere) a stabilire la verità. Domenico Losurdo era critico rispetto alle leggi che volevano punire la negazione dell’Olocausto con sanzioni penali e non lo era perché fosse negazionista, ma semplicemente perché capiva che la lotta intellettuale andava combattuta su di un altro piano.

La storia è una disciplina revisionista, non perché debba negare dei crimini ma semplicemente perché costantemente occorre riguardare il passato, tutto deve e può essere discusso e ridiscusso. Questo è un approccio epistemologico che vale anche per altre discipline, se non si fosse potuto rimettere in discussione ciò che avevamo alle nostre spalle saremmo ancora convinti che la terra è al centro dell’Universo oppure che è piatta, allo stesso tempo sarebbe inutile scrivere ancora libri sulla ‘Divina Commedia’ o sulla pittura Rinascimentale. Anche la storia è una materia viva che non può essere limitata dal decisore politico.

Purtroppo in questo spicchio di mondo le cose funzionano in modo differente. Fedele alla scelta atlantista è probabile che a breve anche l’Italia riconosca l’Holodomor come carestia costruita a tavolino da Stalin, a tal proposito nessuno trovò da obiettare quando l’ambasciatore ucraino citò a riprova dei crimini sovietici i dispacci di Sergio Gradenico, omettendo però che quest’ultimo attribuiva agli ebrei la causa della carestia. Sarà quindi reato citare i tanti libri e saggi che sostengono che la carestia fu dovuta a cause naturali e che non fu ‘usata’ dai bolscevichi per regolare i conti con gli ucraini? Sarà reato mettere in discussione il lavoro di Robert Conquest che non convince neanche storici anticomunisti?

La condanna di Skala chiama in causa tutto questo, non è casuale che dopo un colpo di Stato o comunque dopo la trasformazione profonda di un sistema politico, la prima cosa che si cambiano sono i libri di storia e non certo quelli di matematica o di chimica. Lo si fa perché la storia è chiamata a giustificare il presente, una sorta di religione laica che legittima il potere. Negli anni ’80 vi fu una prolifica produzioni di testi storici, pubblicati in prevalenza in Canada e negli Stati Uniti, che volevano dimostrare che tutta la storia dell’Ucraina (a quel tempo Repubblica sovietica) era il tentativo di questa nazione di raggiungere la propria indipendenza contro l’oppressione russo-sovietica, l’idea di Holomodor come carestia indotta nata in Germania durante il nazismo, venne riscoperta in quel momento perché funzionale a sostenere questa causa politica.

La battaglia perché venga riconosciuta giustizia a Skala è quindi una battaglia che va ben oltre il caso singolo, l’Impero ha il suo linguaggio e i suoi miti fondativi, ci vogliono convincere che comunismo e nazismo sono stati i grandi totalitarismo del XX secolo (e forse credono che il comunismo sia stato peggio), ignorano, volutamente, che essi si sono duramente combattuti e ignorano, cosa ancora più grave, i crimini della cosiddetta democrazia liberale: i campi di sterminio in Africa, le riserve indiane negli Stati Uniti, gli avversari politici sciolti nell’acido, le pulizie etniche, gli stupri e le stragi. La stessa cancel culture negli USA critica le statue dedicate a qualche generale sudista della guerra civile ma non mette in discussione l’attuale sistema discriminatorio e razzista degli Stati Uniti.

Parafrasando Clemenceau potremmo dire che la storia è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai politici.

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