Imperialismo e lotta di classe. Editoriale

di Marco Pondrelli

La settimana che ci lasciamo alle spalle è stata segnata dal perdurare delle tensioni in Ucraina. C’è però un secondo avvenimento che ha ottenuto scarsa considerazione da parte dei media e che invece merita di essere ricordato: mi riferisco alla manifestazione per la gkn. Le due cose possono sembrare distanti ma in realtà hanno una radice comune.

Per quanto riguarda il primo punto, l’operazione militare speciale russa sta continuando e dalle notizie che filtrano dalla censura nostrana si capisce che l’avanzata russa non è impantanata, né tantomeno bloccata da una fantomatica resistenza popolare. Il posizionamento alla periferia di Kiev è un’arma di pressione politica più che di strategia militare. Il centro delle operazioni rimane la parte russofona dell’Ucraina, qui la conquista di Mariupol è un importante obiettivo raggiunto da Mosca. L’obiettivo che Putin e la Russia vogliono raggiungere non è, come qualche improvvisato commentatore sostiene, arrivare a Lisbona ma garantirsi la propria sicurezza che può essere ottenuta solo attraverso il raggiungimento di due obiettivi: fine dell’espansione ad est della Nato e de-escalation militare con particolare riferimento al dispiegamento di armi e missili nei Paesi dell’ex Patto di Varsavia.

La posizione oltranzista di Biden sta prolungando la guerra con il reale rischio di un allargamento del conflitto. L’Amministrazione statunitense ha l’obiettivo di indebolire Mosca per incunearsi nel rapporto sempre più stretto con Pechino ma questo non è l’unico scopo della politica di Biden. Nel nuovo ordine mondiale di cui il Presidente statunitense ha parlato è chiaro che l’Europa continuerà ad essere una propaggine degli Stati Uniti: la paura strategica di Washington è sempre stata quella di un asse fra Europa (leggasi Germania) e Russia, un’alleanza che in prospettiva potrebbe guardare alla Cina saldando un asse euroasiatico destinato a diventare egemone emarginando il ruolo degli USA. Per bloccare questa operazione l’Ucraina, come già notò Brzezinski nel 1997, è centrale.

In questo quadro l’Europa mostra un’unità di facciata che, come nel caso della Nato, nasconde forti divisioni. Il governo Draghi ha portato l’Italia su posizioni che storicamente non gli sono mai appartenute, ovverosia nel ruolo più ferocemente (e stupidamente) antirusso. La prima considerazione è che mentre la Russia sta pagando il costo delle sanzioni ma si era preparata alle stesse, l’Italia continua ad ascoltare l’orchestra che suona sul ponte del Titanic. La medaglia di atlantisti non paga i conti alla fine del mese: sostenere gli interessi di una Paese (gli USA) quando questi sono palesemente in contrasto con i nostri ricorda una colonia più che un alleato. Il ruolo di colonia è confermato da quello che sta succedendo in questi giorni con Telecom che sta discutendo l’offerta di kkr: dopo avere regalato agli USA la nostra politica estera vogliamo svendere anche un’azienda strategica per il nostro sviluppo e per la nostra sicurezza.

Sorprende in questo quadro l’asservimento totale della stampa italiana: ogni voce di dissenso viene derisa o additata come nemica del popolo. Siamo in un periodo maccartista in cui anche il direttore di ‘Avvenire’ viene accusato di essere filo-putiniano; la discussione e l’analisi sono state sostituite dalla propaganda di guerra.

Nell’editoriale di domenica scorsa Francesco Galofaro sottolineava le conseguenze economiche devastanti per il nostro Paese ed è questo è il tema che lega la crisi internazionale con la manifestazione della gkn. L’Italia pre-covid non si era ancora ripresa dalla crisi del 2008; con la pandemia siamo ulteriormente crollati, la ripresa del 2021 non è riuscita a riportarci alla situazione pre-covid ed ora ci aspetta un’ulteriore frenata. Inoltre, il Presidente del Consiglio si è impegnato a portare al 2% del Pil le spese per la difesa. Chi pagherà questi aumenti? Ricordiamo il caso greco: mentre aumentava la denutrizione infantile, mentre aumentava la povertà aumentavano anche le spese militari. Il prezzo della guerra lo pagheranno, come sempre, i lavoratori. Il risultato sarà un aumento della povertà ed un acuirsi delle tensioni sociali a cui seguirà il tentativo di trasformare la questione sociale in un problema di ordine pubblico.

Il governo italiano continuerà a garantire l’ingresso di capitali stranieri in Italia e le politiche di austerità. In un simile contesto la scelta della guerra del nostro governo si spiega anche con motivazioni interne, gli stessi giornalisti che oggi sono alla caccia dei filo-Putin fra breve daranno la caccia a chi protesta contro il caro vita o contro i licenziamenti.

Stiamo andando incontro ad un periodo difficile, la guerra porta con sé la repressione del dissenso interno e le limitazioni degli spazi democratici. I comunisti e la sinistra devono ripensarsi strategicamente dentro questo quadro: non bastano le battaglie di pura testimonianza è necessario fare di più. Assieme alla questione comunista si pone il tema di un’alleanza sociale e politica più ampia che sappia parlare a quella parte di popolo critico e preoccupato per questi accadimenti. La voce del Papa, prontamente censurata dai media, si è levata contro l’aumento delle spese militari: questo dimostra che un pezzo del mondo cattolico può essere alleato in questa battaglia, così come una parte di quella che una volta si sarebbe chiamata borghesia illuminata non solo è contraria alla guerra ma anche interessata a difendere l’economia italiana dagli attacchi stranieri. In questa alleanza il mondo del lavoro deve avere un ruolo centrale, le lotte che si sono spontaneamente prodotte in alcune zone d’Italia (ad esempio a Pisa) contro l’invio di armi fanno ben sperare, così come gli studenti protagonisti dell’occupazione della facoltà di Lettere alla Sapienza che hanno chiesto la cessazione della collaborazione dell’Università con aziende produttrici di armi come Leonardo.

Ci sono pezzi del mondo politico che danno voce a queste preoccupazioni: è possibile oggi riunirle in un’alleanza che non sia un semplice cartello elettorale ma un ampio fronte costituzionale? La maggioranza che sostiene Draghi è ampia, quasi tutti i partiti presenti in Parlamento lo sostengono e chi, come Fratelli d’Italia, si colloca all’opposizione plaude alla scelta del governo sull’aumento delle spese militari. Le forze politiche che si oppongono a questo governo devono aprire un confronto. Per fare questo è importante andare oltre i singoli interessi, vincere questa battaglia vorrebbe dire spostare l’equilibrio in avanti. Se a questo si unisse la nascita di un mondo multipolare la possibilità di rilanciare una seria presenza comunista in Italia si rafforzerebbe.

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