Se il lavoro non è un diritto ma un lusso. Editoriale

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di Marco Pondrelli

Come dice Marco Paolini ‘l’indignazione degli italiani dura meno dell’orgasmo; poi di solito subentra il sonno’, questa settimana ci sono state due notizie che avrebbero dovuto indignare e costringere, sopratutto la sinistra, ad una profonda riflessione. Oltre a 3 morti sul lavoro in un solo giorno, il Rapporto mondiale sui salari dell’Organizzazione internazionale del Lavoro afferma che i salari reali degli italiani dal 2008 ad oggi sono calati dell’8,7%, i dati peggiori dell’intero G20 (ma non era la Cina che sfruttava i lavoratori?).

Dal 2008 l’economia mondiale ha subito tre grossi shock, il primo è stata la crisi americana dei mutui Subprime, seguita poi dalla pandemia e dal conflitto ucraino con conseguenti autosanzioni da parte dell’Unione europea. Come sempre le crisi sono pagate solo da una parte della popolazione, alla quale viene spiegato, da super ricchi, di avere vissuto sopra le proprie possibilità. Queste sono cause indiscutibili del calo dei salari ma va aggiunto che il mondo del lavoro è stato duramente attaccato dall’inizio degli anni ’90.

Dagli accordi di luglio del ’92-’93 ad oggi sono calati salari e diritti, le conseguenze sono gli incidenti sul lavoro e la crescente povertà. Quando un lavoratore o una lavoratrice sa che da un momento all’altro e senza alcun motivo può essere mandato o mandata a casa, difficilmente si batterà per migliorare le proprie condizioni di sicurezza o per chiedere più salario. Come nell’Ottocento chi non accetta lo sfruttamento può essere rimpiazzato senza problemi.

La sinistra dovrebbe riflettere su questo, perché negli ultimi 30 anni non è stata la vittima di questi cambiamenti ma spesso e volentieri l’artefice. La precarizzazione del lavoro è stata presentata come un’innovazione, una grande riforma di sistema (pensiamo al pacchetto Treu), poi successivamente si è detto che il nemico dei nuovi precari non era il padrone (parola che oramai non si può più usare) ma i lavoratori ‘garantiti’ o i pensionati, chi ha una pensione di 1000 euro al mese è il colpevole dei 600 euro guadagnati da neo assunto. La sinistra in alcuni casi ha interpretato questo ruolo per compiacere gli ‘amici imprenditori’, in altri ha sostituito alla questione sociale battaglie di altro tipo, dedicando ad esempio i propri sforzi ai diritti, legittimi, degli omosessuali ma dimenticando il mondo del lavoro.

Anche il sindacato ha le sue colpe e difronte a questo scenario non si può rimpiangere la concertazione, che ne è la causa, ma occorre riscoprire la conflittualità. Anziché partecipare ad una manifestazione che nei fatti sosteneva il riarmo europeo Maurizio Landini dovrebbe andare in piazza per la pace. Chi pagherà lo stravagante e pericoloso riarmo targato Von Der Leyen? Il fatto che una parte delle spese militari non sia conteggiato sul deficit non vuole dire che esso non sia debito, sarà un debito che contribuirà a restringere ulteriormente lo stato sociale.

Oggi più che mai è necessario unire la lotta per la pace a quella per una maggiore giustizia sociale; l’incontro di Multipopolare che si è tenuto il 29 marzo a Roma va in questa direzione e ci dispiace avere dovuto leggere, accanto alle solite penose critiche di rossobrunismo, tanti distinguo. Il malessere sociale continua a crescere, il rischio è che se la sinistra continua ad aspettare Godot esso si incanali a destra dando forza ad istanze antidemocratiche.

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