di Marco Pondrelli
Mentre l’Italia è presa nella morsa del grande dibattito se Salvini sarà o meno ministro, il mondo è sull’orlo dell’abisso. Il sabotaggio dei due gasdotti North Stream rischia di portarci ad un punto di non ritorno. Ovviamente la stampa italiana ha dato grande risalto alle posizioni ucraine e come a Zaporizhzhia ci sta spiegando che i russi si sono auto-bombardati. È incredibile come tanti opinionisti che di fronte a chi si permette di sollevare qualsiasi dubbio su un determinato argomento lanciando l’accusa di ‘complottismo’, riescano poi a convincersi di complotti così assurdi come la Russia che auto-sabota le proprie infrastrutture. La domanda a cui nessuno riesce a rispondere è perché la Russia anziché danneggiare una propria infrastruttura costata 20 miliardi di dollari non chiude semplicemente i rubinetti.
Bloccare il North Stream, cosa a suo tempo promessa da Biden, vuole dire colpire pesantemente non solo la Russia ma anche la Germania. Washington vuole rafforzare la Polonia in chiava antitedesca, il Baltic Pipe che porterà il gas norvegese in Polonia unisce due fra gli stati più oltranzisti nell’avversione alla Russia. Purtroppo i costi di questa operazione saranno pagati dal popolo russo e dai popoli europei, l’obiettivo degli Stati Uniti è impedire che un domani possa riproporsi un asse Germania (Europa)-Russia che potenzialmente guardi alla Cina attraverso la via della seta.
Nel discorso alla Nazione, di cui abbiamo ampiamente parlato su questo sito, Putin attraverso due atti, referendum e richiamo di 300 mila riservisti, aveva gettato la palla nel campo occidentale. L’escalation controllata è un messaggio mandato ai paesi considerati cobelligeranti, la sintesi è che dopo l’avanzata ucraina la Russia è pronta al dialogo o al conflitto prolungato ed anche all’uso del nucleare. La risposta degli Stati Uniti è purtroppo un passo ulteriore verso il baratro, non solo si organizzano operazioni terroristiche come quella di sabotare i due gasdotti russi, ma si invitano i propri connazionali a lasciare la Russia facendo capire che si considera molto probabile l’estensione del conflitto.
Mai come oggi il mondo è stato sull’orlo dell’abisso, neanche nell’ottobre ’62 durante la crisi dei missili a Cuba, il conflitto nucleare era così vicino. ‘I sonnambuli’ è il titolo di un libro di Christopher Clark sulla Grande Guerra, l’Autore con questo termine si riferisce alle classi dirigenti europee incapaci di percepire il dramma che esse stesse stavano producendo. La Russia ha già da tempo esposto in modo inequivocabile le proprie linee rosse, la più importante è che l’Ucraina non deve far parte della Nato. Quando si sentono in televisione persone che sostengono che non si può limitare la libertà di un Paese di aderire o meno al Patto Atlantico, il pensiero non può che correre al libro di Clark, chi è schiavo della propria ideologia o ciecamente ubbidente ai desideri di Washington si sta assumendo una grave responsabilità, non solo politica ma anche etica e financo umana.
Recentemente Veltroni si è chiesto dove siano finiti i pacifisti, premesso che l’ultima volta che abbiamo sentito l’ex Segretario del Pd fare certe affermazioni era perché voleva l’intervento militare in Libia, ci permettiamo di ricordare al politico/regista che parlare di pace in Italia vuole sentirsi definire putiniani e finire sulla prima pagine di qualche giornale italiano con tanto di foto segnaletica. I pacifisti in Italia sono la maggioranza e non essendo la politica a rappresentarli oggi lo sta facendo il Papa. Sarebbe utile per il politico italiano più americano di tutti leggersi quello che da anni scrive Manlio Dinucci sui pericoli di guerra, a partire dalla decisione italiana di ospitare sul nostro territorio nel nuove bombe B61-12 che abbassando pericolosamente la soglia del conflitto nucleare.
Davanti a questo rischio il dibattito politico in Italia è imbarazzante. Si parla di tutto ma non dei problemi reali, un appello però ci sentiamo di farlo ugualmente: abbia il buon gusto, chi sta trascinando il mondo in una drammatica spirale di guerra di non farlo in nome dell’antifascismo.
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