
di Marco Pondrelli
I dazi imposti da Trump, pur non essendo una sorpresa, rappresentano un cambiamento del quadro politico, anche italiano, su cui è necessario riflettere. Partiamo da un punto centrale dell’analisi, il protezionismo statunitense non è un’invenzione di Trump. Politiche di questo tipo era già state introdotte da Obama, Biden aveva creato l’Inflation Reduction Act che altro non era che un fondo di circa 750 miliardi di dollari che aveva l’obiettivo di portare le aziende europee a delocalizzarsi negli Stati Uniti.
Rispetto a queste politiche occorre la capacità di cogliere i motivi che sono alla base delle scelte statunitensi. La globalizzazione voleva creare un mondo a guida americana in cui gli USA erano il centro del capitale finanziario e dei servizi mentre altri paesi sarebbero divenuti la fabbrica del mondo. In quest’ottica la Cina sarebbe stata inglobata dentro il sistema statunitense. Inutile sottolineare che i risultati sono molto diversi, oggi gli Stati Uniti sono un paese che importa merci ed esporta debito. Questo sistema regge solo per ‘l’esorbitante privilegio’ del dollaro che oggi viene messo in discussione dalla crescita dei paesi Brics, in primis la Cina.
Siamo difronte ad un passaggio storico che segna la fine della globalizzazione a guida americana. L’obiettivo di Trump (ma come detto anche dei suoi predecessori) è ricostruire un’industria manifatturiera, che questo sia fattibile, in che termini e a quali costi è difficile da dire, ma in ogni caso questa è la realtà con cui confrontarsi. Viene confermata l’idea che per gli Stati Uniti sarà difficile costruire alleanze internazionali per contenere la Cina, questo perché nelle idee della Casa Bianca tutti gli stati sono avversari. Un esempio è il Vietnam, che Washington tenta di irretire in funzione anticinese ma che ha un’importante attivo commerciale verso gli USA ed è stato quindi colpito dai dazi. Dall’altra parte il commercio cinese in Asia ha superato quello verso la Ue e verso gli USA, costruire una coalizione per contenere Pechino non è quindi semplice.
Se si guarda all’Unione europea e all’Italia il quadro è sempre più sconfortante, mentre Trump ci colpisce con i dazi noi ci apprestiamo a finanziare le industrie belliche americane con il piano di riarmo, che sarà nella sua parte maggioritaria destinato ad acquistare armi statunitensi. La Ue sembra incapace di cogliere i cambiamenti epocali che stanno percorrendo il mondo. Il 3 marzo Stefano Fassina ha scritto su ‘il fatto quotidiano’: ‘Chi attacca il presidente degli Stati Uniti ripropone lo status quo ante come condizione di natura, a-politica […] Vuol dire che Donald Trump fa gli interessi delle fasce popolari? No. Vuol dire che senza una risposta alternativa alle domande intercettate dall’efficace propaganda trumpiana si va a sbattere‘. Questa è la riflessione da cui partire, se la sinistra si convince di rianimare un sistema che non regge più si condanna non solo all’inesistenza ma anche e sopratutto a perdere definitivamente il rapporto con quelle classi sociali che vorrebbe rappresentare.
La crisi economica che viviamo e che potrebbe essere peggiorata dai dazi deve avere due risposte. La prima è quella di guardare ad Oriente. La Cina può essere una grande opportunità per l’Italia, la scelta ideologica e servile dell’attuale governo di uscire dal memorandum della via della seta si rivela oggi miope e sbagliata. Occorre ricostruire un rapporto con Pechino e rilanciare l’interscambio commerciale, la Cina non ha solo sconfitto la povertà ma ha costruito un’enorme classe media. Se le esportazioni italiane verso Pechino non sono decollate la colpa non è dei cinesi ma di chi in Italia non ha lavorato in questa direzione nascondendosi dietro lo spauracchio del pericolo rosso. Così come sono importanti i rapporti con la Cina sono importanti anche quelli con la Russia, gli USA mettono i dazi, drenano risorse attraverso i nostri acquisti di armi e ci vendono il loro (pessimo) gas a prezzi esorbitanti. Se vogliamo rilanciare il nostro sistema economico-produttivo dobbiamo guardare anche a Mosca, ricostruendo un dialogo e lavorando per la pace.
La seconda risposta è il rilancio dei consumi. Dagli anni ’90 abbiamo compresso i salari, questo ha migliorato la bilancia commerciale del nostro paese, infatti se da una parte le nostre merci erano più vantaggiose, dall’altra sono calate le nostre importazioni a causa della contrazione salariale. Quello che dobbiamo fare è ricostruire un mercato interno, aumentare i salari e fare crescere i consumi, ciò vuole dire un cambio radicale rispetto ad un sistema economico produttivo orientato al commercio estero.
È su queste basi che occorre costruire un blocco sociale, che abbia al centro il raggiungimento di questi obiettivi. Che ieri a Roma si sia svolta una grande manifestazione contro la guerra è positivo ma solo se considerato in quest’ottica, la nostra battaglia non è semplice ma il rischio è che il riflusso e le divisioni facciano vincere la destra trumpiana.
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