Crolla la produzione di droga in Afghanistan assieme al castello di bugie occidentali. Editoriale

di Marco Pondrelli

L’Occidente collettivo da anni ci ha abituati a lanciare grandi guerre in nome della libertà, nel 2001 l’emozione e l’indignazione per la distruzione delle torri gemelle permisero l’invasione dell’Afghanistan. Ufficialmente la coalizione occidentale aveva come obiettivo quello di catturare Osama Bin Laden e di spezzare il rapporto fra Al Qaida e talebani. In realtà, come oramai è ben chiaro a chi vuole essere informato, quella guerra come quelle successive era necessaria per creare destabilizzazione, continuando a spendere soldi a vantaggio dell’industria militare.

Spiegare che si sta facendo una guerra per destabilizzare una regione o per foraggiare i produttori di armi non aiuta a convincere l’opinione pubblica ad accettare i morti (civili e militari) e i costi del conflitto. Venuta meno l’indignazione per l’attentato dell’11 settembre si è passati ad altri argomenti, i nostri soldati uccidevano e venivano uccisi per portare la democrazia, per aiutare le donne e per costruire scuole. A queste amenità si aggiungeva la lotta al narcotraffico, Saviano affermò che i talebani erano i nuovi narcos, il fatto che durante il loro primo governo la produzione di droga fosse crollata non scoraggiò il nostro, perché secondo la sua ‘lucida’ analisi il taglio della produzione era solo un modo per fare alzare i prezzi per poi rilanciare la produzione. Le inesattezze contenute nell’articolo di Saviano sono state rilevate in modo molto puntuale da Nico Piro in un bell’articolo che potete trovare qui. Il dato che va sottolineato è che l’intervento occidentale corrispose ad un aumento della produzione di oppio. Non solo questa produzione riprese ma, come spiega Nico Piro, venne costruita la ‘filiera della droga’ per cui l’Afghanistan non si limitava a esportare oppio ma direttamente eroina.

La favola della lotta alla droga doveva convincere una refrattaria opinione pubblica ad accettare i costi di un conflitto impopolare. Purtroppo mentre le nostre televisioni ci riempivano di promesse sulla liberazione delle nostre città da questo flagello, il generale americano che guidava l’invasione occidentale nel 2002, Tommy Franks, dichiarò che la lotta alla droga non rientrava nelle finalità della missione, cosa ribadita nel 2003 dal portavoce della base di Bagram (conosciuta per le torture che si compivano al suo interno) Harrison Sarles che affermò: ‘non siamo una task force antidroga: questo non fa parte della nostra missione’.

È interessante capire cosa è successo rispetto alla produzione di droga dopo il ritiro occidentale. La notizia l’ha data ‘il sole 24 ore’ con un articolo che avrebbe dovuto trovare maggiore attenzione nel dibattito politico. Scrive Marco Masciaga: ‘quando tra il febbraio e l’agosto del 2021 in Myanmar e in Afghanistan sono saliti al potere da una parte i militari e dall’altra i talebani non sono cambiati solo i destini di quasi 100 milioni di persone. Ne è uscita trasformata anche la geopolitica del narcotraffico’ oggi l’Afghanistan non è più il primo produttore di oppio, essendo stato scavalcato in questa drammatica classica dal Myanmar. Meglio di tanti ragionamenti un numero rende bene l’ipocrisia dell’Occidente, in Afghanistan la produzione di eroina è crollata del 95%!

La narrazione occidentale al tempo del ritiro (o meglio della fuga) da Kabul lasciava già allora perplessi, se veramente 20 anni di occupazione militare avevano garantito democrazia e benessere economico perché il governo si è sciolto come neve al sole appena le truppe di occupazione hanno lasciato il Paese? Perché l’esercito afghano così bene addestrato non ha combattuto e il Presidente è scappato all’estero con le valigie piene di soldi.

Sarebbe oggi interessante aprire una riflessione sul traffico di droga, chi lo ha favorito: i talebani o gli americani? Non vogliamo attribuire ai talebani idee progressiste o socialiste, vogliano solo mettere in luce come, piaccia o meno, la loro è stata un guerra di liberazione nazionale contro un’occupazione ingiusta che ha portato guerra, torture, fame e povertà, ricordando che la droga non era solo destinata all’esportazione ma colpiva anche per il popolo afghano.

La domanda che ci poniamo è perché molti paesi trovano nella religione islamica la propria strada di emancipazione nazionale? Meglio ancora verrebbe da chiedersi perché l’Islam che in passato (Gheddafi, Nasser solo per fare due esempi) ha dimostrato di sapere farsi carico di istanze progressiste e socialiste oggi piega verso posizioni apertamente conservatrici? Per rispondere a questa domanda occorre studiare e conoscere la storia, l’Occidente ha sempre combattuto i tentativi di emancipazione dei popoli del sud del mondo rafforzando le parti più apertamente reazionarie. In molti ricordano la foto delle studentesse afghane che negli anni ’70 andavano all’Università in minigonna, perché quell’esperienza è stata attaccata? L’allora consigliere per la sicurezza del Presidente Carter, Zbigniew Brzezinski, lo spiegò in modo molto chiaro, andava colpita l’Unione Sovietica trascinandola in una guerra costosa, da un punto di vista umano, economico e politico.

La situazione in Afghanistan è ancora in divenire, noi ci auguriamo che un Paese martoriato trovi finalmente la pace e che essa sia propedeutica alla crescita economica e sociale, al momento non possiamo che prendere atto che sono stati i talebani a colpire la produzione di droga e non l’Occidente.

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