di Marco Pondrelli
L’adagio in base al quale dei morti bisogna sempre parlare bene è offensivo innanzitutto per i defunti. Una cosa è la pietas umana altra è scordare o celare i tanti motivi per cui negli anni abbiamo lottato contro le politiche berlusconiane. Come sempre è però necessario accompagnare alle emozioni del momento un’analisi razionale e concreta della figura di Berlusconi.
Spesso quando si parla del periodo trascorso dal ’94 ad oggi, o almeno fino al governo Monti, lo si identifica come ‘berlusconiano’, in realtà le cose stanno in modo diverso. Possiamo dividere questo periodo in tre fase.
La prima va dal 1993 al 2001 in questi 8 anni Berlusconi governa 7 mesi. Egli fu l’interprete migliore della fine della cosiddetta Prima Repubblica, da una parte la politica finiva di essere mediata dai partiti, si creava un rapporto diretto fra leader e popolo. La forza di Berlusconi era quella di presentarsi come imprenditore di successo (dall’edilizia, all’informazione passando per il calcio), questo lo portò a costruire un sentimento di grande empatia con una parte di elettorato. Allo stesso tempo questa capacità comunicativa si accompagnava ad una grande spregiudicatezza politica, basti pensare all’accordo con il MSI/AN e con la Lega Nord, entrambe alleate con Forza Italia ma non fra di loro. Questa spregiudicatezza era fatta per vincere le elezioni non per governare, non aveva una prospettiva politica se non l’obiettivo di salvare le aziende del Cavaliere. Se da una parte Berlusconi incarnò il nuovo corso, americano, della politica dall’altra rappresentò la vera anima del nuovo sistema che stava per nascere, la lotta contro lo Stato sinonimo di inefficienza, con 15 anni di ritardo venne tradotto in italiano il concetto reaganiano per il quale lo Stato non era la soluzione ma il problema.
Il secondo periodo va dal 2000/2001 al 2011. In questa fase Berlusconi riesce a plasmare un blocco sociale forte attorno alla sua figura, dando rappresentanza e voce alla media e piccola borghesia. Quando D’Amato nel 2000 divenne presidente di Confindustria lo fece sbaragliando il candidato di Agnelli, dando seguito all’avanzata delle piccole e medie imprese che aveva segnato l’inizio degli anni ’90. La Lega di Bossi era stata punto di riferimento di questo mondo, non è casuale che nelle regionali del 2000 si ricreò l’alleanza del ’94 che portò alla vittoria del centro-destra e alle dimissioni del governo D’Alema. Questo blocco sociale nazionale ha resistito anche alla sconfitta del 2006, Berlusconi in quelle elezioni pur essendo molto indietro nei sondaggi riuscì a galvanizzare il proprio elettorato, portando alle urne chi fino a pochi mesi prima era deluso dal suo operato. Il compromesso che ha retto oltre 10 anni di storia italiana aveva da una parte le imprese sostenute da alcune leggi di favore (non ultima la Bossi-Fini sull’immigrazione) e da una tollerata evasione fiscale, dall’altra Berlusconi ha avuto le sue leggi ad personam, vedendo inoltre crescere le proprie aziende.
Questa stagione venne chiusa nel 2011 con la nascita del governo Monti, quali furono le cause? Certo non le ‘cene eleganti’. La stessa politica estera riottosa alla guerra con la Libia e aperta ai rapporti con la Russia non fu l’unico motivo della caduta del Governo, nel 2011 la media e piccola borghesia nazionale persero l’egemonia, il passaggio al governo Monti fu una cesura nella storia italiana, perché rafforzò e rese egemone il ruolo del grande capitale finanziario. Il governo Berlusconi era incapace di fare quelle ‘riforme’ che l’Unione europea chiedeva, perché esse colpivano anche la sua base sociale.
Dal 2011 il ruolo di Berlusconi è cambiato, divenendo ancillare rispetto a quello del leader del centro-destra (prima Salvini poi Meloni), costruendo la sua forza sul rapporto con i popolari europei e con pezzi di Stato italiano e di imprese che lo hanno portato alle dichiarazioni contro Zelensky.
Proviamo ora ad evidenziare come dall’altra parte la sinistra è stata condizionata da tutto questo. La figura di Berlusconi ha consentito in varie occasioni di unire il centro-sinistra ma quali sono state le conseguenze di queste convergenze? Dobbiamo guardare in faccia la realtà, la ‘rivoluzione liberale’ in Italia non l’ha fatta Berlusconi l’ha fatta la sinistra, l’abolizione dell’articolo 18, la precarizzazione del mondo del lavoro, le privatizzazioni, le liberalizzazioni sono stati i punti qualificanti del centro-sinistra italiano. Quando si guarda alla storia italiana degli ultimi 30 anni, quando si evidenzia la crescita delle diseguaglianze non si può accusare Berlusconi, bisogna guardare a sinistra. Non solo, ripensando alla criminale guerra che Berlusconi fece in Libia occorre ricordare la riluttanza del governo italiano ad entrare in guerra, che per questo veniva attaccato dall’opposizione del Pd e dall’allora Presidente Napolitano. Anche recentemente i dirigenti del Pd e del M5S, a partire da Conte, hanno criticato Berlusconi per il suo scarso atlantismo. Il Cavaliere non deve tornare ad essere un alibi per la sinistra, i disastri sociali italiani non sono frutto solo dei suoi governi.
Per concludere c’è una cosa che la sinistra dovrebbe imparare da Berlusconi, le campagne elettorali dal 1994 ad oggi sono state fatte sempre con la paura di spaventare i ‘moderati’, Berlusconi aveva capito che le elezioni si vincono mobilitando i propri elettori e quindi radicalizzando i propri messaggi. Quando sentiamo a sinistra (e non mi riferisco al pd) la paura di parlare di uscita dalla Nato o il dover parlare di ‘aggressore e aggredito’ in riferimento alla guerra in Ucraina, domandiamoci a chi sono rivolti questi messaggi, alla stragrande maggioranza degli italiani contrari all’invio di armi o a qualche frequentatore dei salotti buoni?
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