di Marco Pondrelli
Del libro di Zhang Yun c’era bisogno! Da anni star hollywoodiane, politici ed opinionisti ci raccontano di un Tibet pacifico e sereno invaso e poi oppresso dai cattivi comunisti cinesi. Domenico Losurdo aveva smontato questa favola semplicemente riportando alcuni passaggi del libro di Heinrich Harrer (sette anni in Tibet), il quale era un nazista che rimase folgorato da questa regione arrivando a tollerare i più efferati crimini in nome della sua ammirazione per il Dalai Lama. Il primo capitolo del libro si apre con un racconto storico di quello che era il Tibet pre-rivoluzionario, la schiavitù, la tortura e lo sfruttamento erano le basi di quella società. Zhang Yun racconta tutto questo anche ricorrendo a fonti primarie ovverosia a uomini e donne che hanno vissuto in tenera età queste condizioni, mani mozzate e occhi cavati erano punizioni naturali ed arbitrarie.
La rivoluzione del ’49 si trova ad affrontare il problema di una regione, il Tibet, che gli inglesi avevano staccato dalla Cina. Come ricordava Losurdo in Italia nel caso di vittoria comunista gli Stati Uniti avrebbero sostenuto e favorito l’indipendentismo sardo e siciliano, allo stesso modo il Tibet venne visto come la testa di ponte per colpire la neonata Repubblica Democratica. Sia per questa preoccupazione ma sopratutto per preservare la specificità culturale della regione, l’intervento cinese tentò fin dall’inizio di coinvolgere la popolazione locale, ed anche lo stesso Dalai Lama, nel governo del nuovo Tibet. Dopo la rivolta del 1959, sostenuta dagli Stati Uniti, venne lanciata la campagna dei ‘tre contro’, ‘contro la ribellione, contro i privilegi, contro lo sfruttamento’ [pag. 76].
La riforma democratica ha portato con se la fine del medioevo, della schiavitù e dello sfruttamento. I risultati sono sotto gli occhi di tutti coloro che vogliono vedere. Alcuni esempi ed alcuni numeri valgono molto più di un film hollywoodiano, ‘nel 2018, il tasso netto di iscrizione all’istruzione media, superiore e universitaria sono stati rispettivamente del 99,5% 82,3% e 39,2%. La durata media dell’istruzione ha raggiunto i 9,55 anni’ [pag. 125]. Sempre rispetto all’istruzione va ricordato che la cultura tibetana viene tutelata così come lo studio della lingua tibetana e viene tutelata non solo nelle scuole ma anche nelle politiche culturali più complessive, volte a tutelare ed a conservare i beni culturali tibetani. È superfluo sottolineare come rispetto al Tibet pre-rivoluzionario anche la sanità è migliorata e non si può non considerare la tutela della salute come un diritto umano fondamentale. Un dato su tutti ‘il tasso di mortalità materna è sceso del 50‰ all’inizio della pacifica liberazione all’1,02‰ nel 2017, il tasso di mortalità infantile dal 430‰ al 10,38‰ [pag. 128].
Per concludere vanno sottolineati i successi economici con un aumento dei salari e del PIL che rispetto al 1959 è aumentato di ‘circa 191 volte’ [pag. 136]. Questi successi sono stati possibili anche grazie a sforzi titanici per collegare la regione tibetana con il resto della Cina con ferrovie e aeroporti, operazione non semplice nella regione più alta del mondo.
Recentemente in una conferenza organizzata dall’ambasciata cinese sullo Xinjiang l’Ambasciatore cinese in Italia ha concluso invitando a visitare questa regione per rendersi conto delle falsità (campi di lavoro, genocidio…) che vengono dette e scritte, lo stesso si può dire del Tibet, quando la pandemia lo permetterà la cosa migliore è andare in Tibet e parlare con i tibetani e chiedere a loro se preferiscono una società schiavistica alla moderna Cina.