USA, Nato, Ue l’abbraccio inscindibile fra i tre dell’apocalisse

di Carlo Formenti

da https://socialismodelsecoloxxi.blogspot.com/

I. Le guerre illegali della NATO. Sul libro di Daniele Ganser

Daniele Ganser è uno storico svizzero che insegna all’Università di San Gallo, dirige l’Istituto Svizzero per la Ricerca sulla Pace e l’Energia ed è autore di libri che hanno suscitato l’ira degli ayatollah atlantisti, come La storia come mai vi è stata raccontata. Gli eserciti segreti della NATO, uscito in edizione italiana qualche anno fa per i tipi di Fazi. Sempre Fazi manda in libreria il suo ultimo lavoro, Le guerre illegali della NATO, che si spera possa insufflare qualche dubbio nelle teste di quelli che si bevono le balle di un sistema mediatico occidentale ormai ridotto a dispensatore di veline per conto di Washington. Eppure questo libro, che i detrattori hanno già iniziato a bollare come “complottista”, non svela alcunché di nuovo o inedito: si limita perlopiù a riportare ciò che gli stessi vertici dell’Amministrazione Usa e dell’Alleanza Atlantica hanno ammesso qualche anno dopo eventi che i media avevano manipolato per ingannare l’opinione pubblica mondiale (del resto, se le menzogne emergono dopo un congruo intervallo di tempo il loro impatto è nullo, o comunque non basta a rimediare al danno provocato all’epoca in cui sono state diffuse). 

Ma passiamo ai contenuti del libro a partire dal titolo. Perché Ganser definisce illegali le guerre della NATO? La risposta è che nessuno dei conflitti (con l’eccezione della prima guerra contro l’Iraq provocata dall’invasione del Kuwait) scatenati da Washington e dai suoi alleati soddisfa i requisiti fissati dall’ONU nel 1945, secondo i quali la guerra come metodo di risoluzione del conflitto fra le nazioni aderenti all’Organizzazione è ammessa solo in due casi: il diritto all’autodifesa e un mandato formale da parte del Consiglio di sicurezza. In tutti gli altri casi, compresi i tentativi di una nazione di rovesciare il governo legittimo di un’altra nazione anche senza un intervento militare diretto (per esempio sostenendo forme di opposizione violente o ricorrendo a guerre sotto copertura), si tratta di guerre illegali. 

 Perché questa legalità internazionale è stata sistematicamente disattesa senza che i responsabili abbiano subito sanzioni, benché nel 1945 sia stata istituita la Corte internazionale di giustizia dell’Aia, e nel 1998 la International Criminal Court che, in teoria, sarebbe tenuta a procedere contro i colpevoli di crimini di guerra non solo se semplici soldati o ufficiali ma anche se presidenti, ministri o generali? Il fatto è che i responsabili delle aggressioni illegali non sono stati quasi mai arrestati e puniti perché troppo potenti e perché i media non osano riconoscere e denunciare i loro crimini come tali. Si aggiungano i limiti connaturati alla struttura decisionale dell’ONU: solo il Consiglio di sicurezza (5 membri permanenti con diritto di veto – Usa, GB, Francia, Russia e Cina – più dieci senza diritto ed eletti ogni dieci anni) può decidere se e quando ricorrere alla forza (le decisioni del Consiglio sono vincolanti per tutti i 193 membri dell’Organizzazione purché approvate da almeno 9 membri e in assenza di veto), laddove le risoluzioni dell’Assemblea hanno il carattere di semplici raccomandazioni. Di fatto, ciò significa che l’Assemblea generale, il Consiglio di sicurezza e il segretario generale finiscono per sancire il volere dei membri più influenti, per cui processi e condanne per crimini di guerra ci sono stati solo se e quando l’hanno voluto i vincitori, che erano in grado di imporre la loro decisione sui vinti. Come se non bastasse, gli Usa separano il diritto nazionale da quello internazionale, per cui se un loro cittadino viola delle leggi interne viene arrestato, ma se viola la legge internazionale per “servire il Paese” non subisce alcuna conseguenza (se non viene premiato). Nel 2002 il Congresso ha addirittura approvato una legge che autorizza il presidente a liberare con la forza i cittadini statunitensi chiamati a rispondere delle loro azioni di fronte alla Corte penale internazionale. 

Più avanti proverò a ragionare sui motivi per cui Ganser considera gli organismi internazionali appena descritti come un fattore di progresso, a prescindere dalla loro incapacità di impedire che le relazioni internazionali siano governate dal diritto del più forte. Ma prima stilerò il lungo elenco delle guerre illegali che gli USA e la NATO hanno scatenato dagli anni Cinquanta a oggi (provocando fra i venti e i trenta milioni morti, poco meno della metà di quelli causati dalla Seconda guerra mondiale), e prima ancora riassumerò il modo in cui Ganser descrive l’impero americano e la NATO in quanto suo strumento di dominio mondiale. 

 Lo storico svizzero definisce gli USA un impero per i seguenti motivi: 1) in quanto dominano la finanza mondiale grazie al “signoraggio” del dollaro: dalla decisione unilaterale di Nixon che ne ha decretato la fine della convertibilità, gli Stati Uniti si stampano da soli la loro moneta che svolge il ruolo di riserva internazionale; 2) perché hanno più di 700 basi militari sparse per il mondo, il che li mette in condizione di intervenire in tempo reale su tutti i possibili scenari di guerra; 3) perché nel 2015 hanno speso 600 miliardi in armamenti (a fronte dei 200 della Cina e degli 80 della Russia, ma con la guerra in Ucraina la cifra sta lievitando a livelli ancora più stratosferici); 4) perché a decidere come e perché impiegare tutta questa potenza non è un regime democratico bensì una oligarchia di censo dominata da una élite ricca e potente (come ha ricordato l’ex presidente Jimmy Carter in un’intervista, i candidati alla presidenza devono disporre di almeno 200-300 milioni di dollari per competere con qualche chance di successo; e quasi nessuno dei senatori dispone di un patrimonio inferiore a qualche milione); 5) perché a decidere se scatenare una guerra, o assassinare qualche nemico al di fuori e al di sopra di qualsiasi legalità internazionale, è la cricca dell’NSC (il National Security Council) il pugno di “ottimati” che compongono il “cerchio magico” del presidente; 6) perché, come già ricordato, non riconoscono l’autorità della Corte penale internazionale in quanto temono che possa limitarne gli interessi; 7) infine perché la NATO (nata nel 1949), più che come un’alleanza fra diversi Paesi è sempre stata il braccio armato degli USA. A confermarlo basterebbe il fatto che si è sistematicamente adeguata a tutte le decisioni americane (i suoi membri votano all’unisono con gli Stati Uniti in sede ONU), mentre il suo segretario europeo ha un ruolo puramente di facciata, in quanto l’effettivo potere decisionale è concentrato nelle mani del supremo comandante militare per il territorio europeo, sempre americano. Quanto al suo millantato carattere difensivo, esso è stato definitivamente smentito allorché, invece di sciogliersi dopo la caduta dell’Urss e il venir meno del Patto di Varsavia, si è progressivamente allargata ad Est, fino a contare gli attuali 30 membri, facendosi sempre più aggressiva. Veniamo ora all’atto di accusa di Ganser sui crimini imperiali. 

Iran. Nel 1951 il governo Mossadeq nazionalizza il petrolio persiano sottraendolo al controllo delle multinazionali inglesi, le quali si rivolgono agli Stati Uniti per provocarne la caduta (in cambio dovranno cedere una quota consistente del petrolio agli “amici” americani). Nel 1953 il capo della CIA Allen Dulles avvia una operazione di regime change, stanziando un milione di dollari per tutti gli interventi necessari a rovesciare il governo legale. Fra i vari metodi utilizzati per destabilizzare il regime, si fa ricorso ad attentati terroristici contro i musulmani che vengono attribuiti al governo in carica e ai comunisti che lo sostengono. Caduto Mossadeq viene annullata la nazionalizzazione e le imprese inglesi e americane si spartiscono il bottino. 

 Guatemala.  Nel 1951 il presidenze Arbenz vince le elezioni con un programma che prevede di espropriare le terre dei latifondisti e redistribuirle ai braccianti senza terra, scatenando l’ira della multinazionale United Fruit di cui sono azionisti sia il direttore della CIA Allen Dulles che suo fratello John Foster Dalles, segretario di Stato. Bande armate organizzate e addestrate dalla CIA scatenano la guerriglia penetrando nel Paese dal vicino Honduras. Il presidente tenta di fronteggiarle acquistando armi dai Paesi occidentali ma questi si rifiutano, piegandosi alle pressioni USA. Arbenz le acquista allora dalla Cecoslovacchia e gli USA usano questo fatto come prova che il Guatemala si appresta ad aderire al blocco comunista, sfruttando la propaganda occidentale per giustificare la propria ingerenza che, nel 1954, raggiunge il proprio obiettivo regalando il potere al dittatore di destra Somoza, il quale reintegra immediatamente la United Fruit nei suoi “diritti”. 

 Egitto. Nel 1956 Nasser nazionalizza la società che gestisce il canale di Suez, gettando nel panico Inghilterra e Francia, che erano state fino ad allora garanti degli interessi commerciali associati al controllo del canale. A violare la legge internazionale aggredendo un Paese membro dell’ONU senza il mandato del Consiglio di sicurezza sono quindi questa volta francesi e inglesi (con il supporto di Israele, che fa così le prove generali della guerra del 67), due potenze che, godendo del diritto di veto, si sottraggono alla condanna internazionale. Sono tuttavia indotte a rinunciare di fronte all’ultimatum dell’Unione Sovietica e al mancato appoggio degli USA, irritati perché l’aggressione è avvenuta senza il loro consenso. 

 Cuba. Dopo la vittoriosa rivoluzione del 59 Castro avvia una riforma agraria che prevede, fra le altre cose, l’esproprio di aziende americane. Benché il nuovo regime non si definisca socialista, il presidente Eisenhower avvia immediatamente dei tentativi per rovesciarlo, che prevedono, fra le altre cose, il blocco delle importazioni dello zucchero di canna. L’Avana si vede costretta a rivolgersi ai mercati dell’Est Europa e, dopo il moltiplicarsi di attentati (aerei statunitensi lanciano bombe incendiarie su coltivazioni e fabbriche), e a fronte del rifiuto dei Paesi occidentali di venderle le armi necessarie a difendersi, deve rivolgersi a Mosca (come era avvenuto per la crisi del Guatemala, ciò viene immediatamente usato come prova del carattere comunista del regime). Il Consiglio di sicurezza dell’ONU si lava le mani, rimbalzando le richieste cubane di intervento all’OAS (l’Organizzazione degli Stati Americani controllata dagli USA), la quale sposa la tesi statunitense secondo cui il terrorismo è un affare interno cubano (Ganser ricorda che nel 1975 una commissione del Senato americano rivelerà che furono orditi numerosi attentati alla vita di Castro). Sempre all’inizio dei 60 Eisenhower decide di reclutare, armare ed addestrare reparti di profughi anticastristi in Guatemala per organizzare l’invasione dell’Isola, e Kennedy ne eredita il piano approvando l’impresa, miseramente fallita, dello sbarco alla baia dei Porci (successivamente lo stesso Kennedy ammise la propria responsabilità nell’operazione, mentre nel 1998 sono stati desecretati documenti dai quali emerge come si fosse arrivati a progettare l’affondamento di una nave Usa nella baia di Guantanamo, per creare un casus belli). 

Com’è noto, Mosca reagì installando propri missili sull’isola provocando la crisi che portò il mondo sull’orlo di una guerra nucleare. Dopodiché l’aggressione americana è proseguita sotto forma dell’embargo economico mantenuto da tutti i presidenti succeduti a Kennedy e tuttora in atto. In nessuno di questi passaggi l’ONU è stato capace di giocare un qualsiasi ruolo (l’Assemblea generale approva ogni anno una mozione che condanna il blocco senza che ciò abbia il minimo effetto). 

 Vietnam. Dopo la sconfitta dell’esercito francese che tentava di restaurare il dominio coloniale sul Vietnam (1954) gli USA fecero insediare come presidente del Vietnam del Sud Ngo Dinh Diem dopodiché, constatato che i suoi metodi disumani e la sua corruzione rischiavano di far collassare il regime, lo fecero liquidare da un golpe militare (come successivamente rivelato dai Pentagon Papers) ed entrarono direttamente in guerra a fianco del nuovo governo. Come scusa del proprio coinvolgimento usarono il cosiddetto incidente del Tonchino (una bufala secondo cui siluranti nordvietnamite avrebbero attaccato un cacciatorpediniere americano). Anche in questo caso l’ONU manifestò la sua totale incapacità di porre fine all’aggressione, durata fino alla vittoria del Vietnam del Nord nel 1975. Nel corso di questo lungo e sanguinoso conflitto (tre milioni di morti vietnamiti, in maggioranza civili, e oltre cinquantamila soldati americani), furono commessi ripetuti crimini di guerra anche contro Laos e Cambogia, che non erano direttamente parte in causa. 

Nicaragua. La vittoria elettorale del movimento sandinista all’inizio degli anni 80 scatenò l’ira di Reagan, che li considerava comunisti, per cui decise di replicare il copione dell’intervento USA contro il Guatemala degli anni 50, avviando una guerra per procura affidata all’esercito mercenario dei contras (armati e addestrati dai corpi speciali nordamericani). Queste bande si macchiarono di crimini orrendi ai danni della popolazione civile che rimasero tuttavia impuniti perché Reagan allungò la mano protettiva del suo governo sui “combattenti per la libertà”. Il progetto di regime change fallì, ma l’impotenza delle istituzioni internazionali fu clamorosamente confermata dal fatto che, benché la International Criminal Court avesse riconosciuto la responsabilità degli USA condannandoli a risarcire il Nicaragua per la loro aggressione, gli Stati Uniti rifiutarono di pagare un solo dollaro. 

 Serbia. Secondo la testimonianza dell’ex agente CIA Robert Baer, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, gli USA avevano immediatamente progettato di destabilizzare la Jugoslavia smembrandola in vari staterelli e, a tale scopo, si impegnarono ad applicare la lezione imperiale britannica, aizzando l’uno contro l’altro i vari gruppi etnici che prima convivevano pacificamente. Una delle prime armi messe in campo fu la politica del debito: Croazia e Slovenia, le regioni più ricche, si proclamarono indipendenti per non essere costrette a finanziare il debito federale, e Germania (e Vaticano!) si precipitarono a riconoscerne la sovranità, creando i presupposti di una guerra civile (rispetto alla quale l’ONU si dichiarò incompetente in quanto si trattava di un affare interno) combattuta a suon di pulizie etniche incrociate. Sempre Baer racconta che il progetto occidentale prevedeva fin dall’inizio di affibbiare la parte dei cattivi ai serbi. Ciò emerse chiaramente quando, finita la guerra fra serbi e croati nel Nord del Paese, scoppiò la guerra di tutti contro tutti (serbi ortodossi, croati cattolici, musulmani) in Bosnia. USA e NATO, con la compiacente collaborazione di tutti i media occidentali, attribuiscono tutti i genocidi ai serbi, sorvolando su quelli commessi da croati e musulmani, e appoggiano i musulmani importando nel Paese i mujaheddin già utilizzati contro i russi in Afganistan. Dopo gli accordi di Dayton, la NATO torna all’attacco appoggiando i secessionisti kossovari (di cui vengono ignorati i crimini e le pratiche di pulizia etnica contro la popolazione serba). Riprendono quindi i bombardamenti indiscriminati contro la Serbia (cui partecipano non solo gli Usa ma diversi Paesi NATO fra cui l’Italia e la Germania, che si ritrova così in guerra per la prima volta dopo il 45, con la benedizione del ministro Verde Fischer). L’ultimo atto della tragedia è la morte nel carcere del Tribunale dell’Aia dell’ex presidente serbo Milosevic, definito con totale sprezzo del ridicolo “il nuovo Hitler” dagli stessi media che linciano lo scrittore austriaco Peter Handke per averne preso le difese (1). 

 Afganistan. Questa parte del libro frutterà sicuramente all’autore l’accusa di complottismo, in quanto rilancia i dubbi che alcuni giornalisti hanno espresso in merito alla possibilità che i servizi USA siano coinvolti nell’attentato delle Torri . In effetti tale ipotesi può sembrare al limite del fantastico, anche se certe rivelazioni a posteriori hanno dimostrato, che quando è in ballo la geopolitica, la realtà supera spesso la fantasia. Quel che è certo è che allo stato non esistono prove ma solo qualche indizio inquietante come il crollo del World Trade Center 7, che pur non essendo stato colpito da un aereo in volo, è “imploso” con modalità analoghe a quelle provocate con esplosivi per demolire vecchi edifici. In ogni caso l’ironia della “guerra al terrorismo” dichiarata da Bush dopo l’attentato consiste nel fatto che i “nemici” sono in questa circostanza quelle stesse organizzazioni appoggiate dall’Arabia Saudita che, come quella di Bin Laden, erano “combattenti per la libertà” quando attaccavano i sovietici in Afganistan ma diventano terroristi quando rivolgono le armi contro l’Occidente. Ganser ricorda che nemmeno in questo caso la guerra era legale secondo i requisiti ONU: è pur vero che il Consiglio di sicurezza adottò, su pressione USA, una risoluzione che rafforzava il diritto all’autodifesa (già previsto dallo statuto) e stabilì che nessuno stato possa offrire rifugio a chi progetta attentati terroristici, ma visto che non esistevano prove inoppugnabili che l’attacco in questione fosse partito dall’Afganistan, l’aggressione della NATO (anche qui come nel caso della Jugoslavia gli americani furono affiancati da molti altri Paesi dell’Alleanza, Italia compresa), restò priva di legittimazione internazionale. Com’è noto la guerra è durata più di vent’anni ed è finita da poco con il ritiro occidentale che ha lasciato il Paese sotto il controllo degli integralisti islamici. 

Iraq 

 La guerra promossa da Bush padre è stata l’unica, in questo elenco di aggressioni, a rispettare i requisiti ONU per giustificare il ricorso alla forza. La prima guerra del Golfo fu infatti approvata dal Consiglio di sicurezza in seguito all’aggressione di Saddam nei confronti del Kuwait (il dittatore iracheno aveva probabilmente pensato di poter agire indisturbato, dopo che gli USA lo avevano appoggiato nella guerra con l’Iran). Anche in questo caso, tuttavia, per legittimare la guerra agli occhi dell’opinione pubblica mondiale, si ricorre alla menzogna: una ragazza che si spaccia per infermiera d’ospedale, mentre era parente di un politico kuwaitiano, dichiara di avere assistito all’uccisione di decine di neonati in un reparto di maternità da parte degli invasori (prima di diventare il nuovo Hitler, come avverrà qualche anno più tardi, Saddam fu dunque denunciato come il nuovo Erode). Ben più clamorosa la bufala utilizzata da Bush junior e Blair nel 2003 per giustificare la seconda guerra del Golfo (questa volta senza mandato ONU): non solo si millantano falsi legami fra Saddam e l’attacco terrorista alle Torri ma si accusa l’Iraq di essere in possesso di inesistenti armi di distruzione di massa, come ebbe a riconoscere un pentito generale Colin Powell anni dopo avere esibito false prove davanti all’Assemblea dell’ONU. 

 Libia. Gheddafi ha segnato il suo destino fin da quando, salito al potere (1969), iniziò a sottrarre la Libia al dominio delle multinazionali occidentali. Ciò gli è valso una serie di aggressioni motivate di volta in volta con la presunta responsabilità libica in una serie di attentati terroristici avvenuti in Europa, a partire dal 1986, quando Reagan, dopo avere accusato Gheddafi di avere organizzato un’attentato a Berlino in cui erano morti due soldati americani, fece bombardare la Libia uccidendo la figlia adottiva del presidente (che era presumibilmente il vero bersaglio). La NATO ha realizzato l’obiettivo nel 2011, sfruttando una guerra civile alimentata dagli occidentali per assassinare Gheddafi, provocando quella situazione di caos e ingovernabilità della regione che dura tutt’oggi. 

 Siria. Anche il presidente siriano Assad, dopo Milosevic e Saddam, è stato definito il nuovo Hitler (ormai è una specie di tic dei media occidentali che, per quanto appaia ridicolo agli occhi di qualsiasi persona sensata, fa sempre il suo porco effetto propagandistico). Anche in questo caso si è provveduto a costruire il mostro per realizzare un progetto di regime change che ha radici lontane. Un giornalista francese, racconta Ganser, rivela che già nel 2008, nel corso di una conferenza Bilderberg (noto think tank ultraconservatore), l’allora segretario di Stato Condoleezza Rice chiese la caduta del governo siriano. A condividere il progetto erano almeno altri tre Paesi NATO: Inghilterra, Francia e Turchia, i quali trovarono alleati locali nei regni del Qatar e dell’Arabia Saudita (ai quali Assad aveva rifiutato il permesso di far passare sul proprio territorio un gasdotto che avrebbe danneggiato gli interessi dell’alleato russo, in quanto principale fornitore di gas per l’Europa). L’occasione per scatenare il conflitto furono le manifestazioni della primavera araba che, iniziate pacificamente, vennero infiltrate da agenti provocatori allo scopo di farle degenerare in guerra civile. Dopo che questa fu iniziata furono nuovamente utilizzate, come in Afganistan e nei Balcani, le bande degli integralisti islamici, ma in questo caso la strategia del caos si è rivoltata contro l’Occidente perché ha favorito l’espansione della minaccia terrorista internazionale dell’ISIS, dopodiché il conflitto si è convertito in una guerra di tutti contro tutti (USA, Francia, Turchia, Curdi, Inglesi, Russi) senza riuscire a rovesciare Assad, ma causando centinaia di migliaia di vittime e costringendo milioni di siriani a emigrare. 

 Ucraina. L’ultimo caso trattato da Ganser è quello siriano, ma io preferisco finire questa sintesi con la guerra ucraina perché è quella che meglio di tutte permette di mettere in luce sia i meriti che le contraddizioni dell’approccio pacifista dell’autore. Ganser muove da un dato di fatto che politici e media occidentali hanno cercato in tutti modi di rimuovere, minimizzare se non addirittura di negare: nel 1990 il segretario di Stato USA Baker aveva rassicurato Gorbacev sul fatto che la NATO non si sarebbe ampliata a Est. Sappiamo invece com’è andata: l’Alleanza si è progressivamente estesa fino ai confini della Federazione russa. Già nel vertice di Bucarest del 2008 Bush auspicò l’inclusione di Ucraina e Georgia, ignorando il pericolo di una possibile reazione russa. Ne derivò il conflitto fra russi e georgiani per il controllo dell’Ossezia (vinto dai russi) mentre, nel frattempo, alcuni esperti di geopolitica americani, come George Friedman, del think tank neocons Strafor, dichiaravano apertamente che si sarebbe dovuto coinvolgere Germania e Russia in una guerra per realizzare il duplice obiettivo di indebolire l’Europa e rafforzare l’impero a stelle e strisce: Germania e Russia si sarebbero indebolite a vicenda consentendo di replicare il principio divide et impera che Reagan aveva applicato con successo al conflitto fra Iran e Iraq. 

 Qui apro un primo inciso: Ganser torna più volte sul ruolo degli appartenenti ai think tank neocons, gente come l’appena citato Friedman o come Dick Cheney, Donald Rumsfeld e Paul Wolfowitz, inseriti nell’amministrazione Bush dal gennaio 2001, o come l’attuale sottosegretaria di Stato Victoria Nuland. A mio avviso il peso di questi figuri ne esce sopravvalutato, allo stesso modo in cui Ganser sopravvaluta l’impatto delle distorsioni istituzionali che hanno trasformato la democrazia americana in un’oligarchia dominata da un pugno di super ricchi e di loro funzionari. Con questo voglio dire che il limite di Ganser consiste nel vedere l’impero ma non l’imperialismo, non coglie, cioè, i fattori strutturali, causali (vale a dire le dinamiche evolutive del sistema capitalistico) che hanno fatto sì che gli USA assumessero l’attuale ruolo egemone e che li inducono oggi a ricorrere ai metodi descritti in questo libro per conservare tale ruolo (a prescindere dagli individui chiamati a metterli in pratica). 

 Ma torniamo all’Ucraina. L’idea di integrarla nella NATO era già presente, come si è visto, nel 2008, ed è da quell’anno che inizia un sistematico lavoro di preparazione dell’ennesima operazione di regime change da parte dei servizi americani, operazione giunta a compimento con il colpo di stato del 2014 contro il governo legittimo di Yanukovich (la cosiddetta “rivoluzione arancione”). Subito dopo il nuovo regime inizia la guerra civile contro le regioni russofile del Donbass, e contemporaneamente la Russia, forse in modo inaspettato, nel senso che la NATO non aveva previsto che potesse reagire militarmente, rioccupa il territorio della Crimea. Infine, dopo otto anni di tira e molla, accordi diplomatici inattuati, pressioni sempre più dure di Kiev sulle regioni orientali del Paese, Putin decide di invadere l’Ucraina. Così dopo l’accusa di complottista, Ganser si guadagnerà anche quella di “putiniano”, soprattutto perché sostiene che la reintegrazione della Crimea nel territorio della Federazione russa non può essere definita una annessione, ma va considerata una secessione, dal momento che gli abitanti della Crimea non hanno mai cessato di considerarsi cittadini russi. In effetti Ganser non manca di dichiarare che l’aggressione russa è illegale al pari di tutte quelle della NATO, così come non manca di definire illegali gli interventi russi in Ungheria (1956), Cecoslovacchia (1968) e Afganistan (1979). Ovviamente ciò non basterà a giustificare la sua posizione agli occhi di un sistema informativo occidentale schierato senza se e senza ma al fianco dell’impero USA e della NATO, un sistema che considera i pacifisti come Ganser “utili idioti” al servizio dei “nuovi Hitler” di turno. 

Riconosciuti la coerenza e il coraggio del pacifista svizzero, tocca però mettere in luce un altro limite intrinseco al suo contributo, che consiste nell’adottare un punto di vista astrattamente legalitario (2). Pur avendo ampiamente dimostrato l’assoluta impotenza delle istituzioni internazionali a far rispettare le regole fissate nel 1945 per impedire che si ripetano le tragedie delle due guerre mondiali, e pur avendo spiegato come, allo stato dei fatti, vale a dire in una situazione in cui viene fatta sistematicamente valere la legge del più forte (e così sarà finché l’impero USA e la NATO potranno continuare a imporla con la complicità di un’opinione pubblica mondiale manipolata da un sistema informativo blindato), Ganser insiste nel dire che “sarebbe tuttavia sbagliato concludere che tutte le organizzazioni internazionali sono inefficaci” e che “se non ci fosse l’ONU avremmo un mondo in cui i più forti imporrebbero i loro interessi” (come se lui stesso non ci avesse dimostrato che è già così!). Ingenuità? No, la parziale cecità di Ganser consiste, come detto poco sopra, nel vedere l’Impero senza vedere l’imperialismo, senza cogliere cioè le cause strutturali, profonde degli orrori che denuncia. Il fatto è che Ganser non è marxista, quindi non si rende conto che il governo della legge che invoca non è altro che un’astrazione dietro la quale si nascondono i concreti rapporti di forza che governano i rapporti fra classi sociali, nazioni e popoli. Quei rapporti di forza che fanno sì che l’Europa, come sta confermando il suo coinvolgimento nella guerra ucraina, non abbia la minima chance di sganciarsi dalla NATO, che è la gabbia che la tiene avvinta e sottomessa al dominio imperiale. Ma di questo nel prossimo paragrafo. 

II.Perché l’Europa deve accettare di svolgere il lavoro sporco. A margine di due articoli di Manolo Monereo e Fosco Giannini 

 Per gli integralisti che sognano un nuovo secolo americano, scrive Manolo Monereo (3), il vero Occidente risiede Oltreoceano, mentre il Vecchio Continente ha perso ogni residua capacità di egemonica. Per costoro l’Europa non potrebbe nemmeno svolgere il ruolo di alleato strategico, se la fine del Patto di Varsavia non avesse permesso di integrare nella NATO (contro ogni accordo con la Russia, vedi sopra) quei Paesi dell’Est che apportano il contributo del loro fanatismo nazionalista e anticomunista. Unificazione tedesca e ampliamento della Ue (e della NATO) a Est hanno creato i presupposti di una rimilitarizzazione del Vecchio Continente, in barba alle retoriche sulla unità europea come strumento di pacificazione. Contrariamente a quanto previsto da alcuni analisti geopolitici, il processo in questione non è stato tuttavia il presupposto della creazione di un polo imperiale europeo autonomo, se non alternativo a quello USA. Al contrario, l’esito è stato la fine di ogni velleità di autonomia e un drastico ridimensionamento delle aspirazioni egemoniche di Francia e Germania. 

Ciò, argomenta Monereo, non stupisce, ove si consideri che il vero obiettivo delle élite europee è sempre stato creare un’organismo transnazionale in grado di neutralizzare la capacità contrattuale delle classi lavoratrici dei rispettivi Paesi e non dare vita a degli Stati Uniti d’Europa capaci di competere sul nuovo scenario geopolitico mondiale. Ciò ha spianato la strada al progetto imperiale americano che assegna all’Europa il ruolo di testa di ponte per stabilire il proprio controllo sull’Eurasia. Nessuno lo ha spiegato più chiaramente di Zbigniew Brzezinski, scrive Monereo citando le parole dell’esperto geopolitico polacco-americano: “Oggi una potenza non eurasiatica detiene la preminenza in Eurasia e la supremazia globale degli Stati Uniti dipende direttamente da quanto a lungo e quanto efficacemente riuscirà a mantenere la sua preponderanza sul continente eurasiatico”. Da un lato si tratta quindi di impedire possibili convergenze fra gli interessi russi e tedeschi; dall’altro di garantire la continuità del ciclo egemonico (4) americano, la cui fine potrebbe segnare la fine dello stesso sistema capitalistico. Per capire la portata della posta in gioco occorre saper leggere le linee di frattura che caratterizzano il mondo attuale, che Monereo descrive così: “a) Il relativo declino della superpotenza statunitense. Le grandi potenze non scompaiono da un giorno all’altro, tanto meno quando si tratta degli Stati Uniti, che restano di gran lunga la più grande potenza militare del mondo; il declino è sempre relativo e relazionale, cioè nella competizione globale emergono altri Paesi che la mettono in ombra e la sfidano oggettivamente; b) La rinascita della Cina, tornata a essere una grande potenza economica, tecnologica e finanziaria, a cui si aggiungono la ricostruzione della Russia e l’emergere di nuove potenze – come l’India – che tornano a far sentire il loro grande peso storico, demografico e, sempre più spesso, economico; c) L’asse di gravità del sistema mondiale si sta spostando rapidamente verso l’Asia. Non si tratta solo di un cambiamento epocale, ma anche storico-culturale. Ciò che è in discussione, dopo 500 anni, è l’egemonia dell’Occidente; d) La novità è l’aggravarsi della crisi ecologica e sociale del pianeta in un contesto di risorse sempre più scarse, di ricorrenti conflitti militari e di intensificazione dei processi migratori”. 

 Se lo scenario è questo, non si vede come l’Europa possa ambire a svolgere un ruolo più che marginale. Fosco Giannini ribadisce questa tesi commentando (5) un’intervista e un articolo dell’autorevole opinionista del Corsera Sergio Romano. Nella prima, costui, ancorché atlantista sul piano geopolitico e liberale sul piano ideologico, ha dichiarato: “Io credo che se avessimo in qualche modo aiutato Putin, per esempio senza insistere per l’allargamento della Nato fino ai confini della Russia e lasciare che l’Ucraina chiedesse di far parte della Nato, mettendola, per così dire, in una lunga sala d’aspetto piuttosto che lasciarla sperare, beh tutto sarebbe stato probabilmente diverso e meno imbrogliato”. Nel secondo auspicava la costruzione di un esercito europeo autonomo dalla, anche se non alternativo alla, NATO. Giannini nota giustamente come questa tesi trovi una eco nelle posizioni di una certa sinistra “europeista critica” che “a partire dall’“impossibilità” di uscire dalla NATO (una “realpolitik” che diviene una resa) si affidano, per giungere a ciò che essi pensano potrebbe essere un “contraltare” della NATO, alla costruzione, alla presenza attiva di un esercito europeo autonomo”. Una posizione che non solo rimuove il fatto che un polo politico-militare, oltre che economico, europeo non sarebbe meno imperialista e aggressivo di quello americano, ma è del tutto irrealistico ove commisurato allo scenario geopolitico descritto poco sopra da Monereo. 

Per concludere: se vuole difendere in propri interessi, che richiedono di mantenere le classi lavoratrici in una posizione del tutto subalterna, l’Europa capitalista non ha altra scelta se non restare a sua volta subalterna agli USA e svolgere il lavoro sporco per conto dell’Impero, anche al costo di rimetterci sul piano economico.

Note:

(1) Sull’incredibile vicenda del processo a Milosevic vedi il dossier Slobodan Milosevic. In difesa della Jugoslavia che raccoglie numerose testimonianze e interventi, fra i quali quelli dello scrittore Premio Nobel austriaco Peter Handke, in merito alle modalità con cui fu costruito il mostro da linciare onde legittimare i crimini NATO contro la Serbia. Dai documenti emerge chiaramente come Milosevic fosse riuscito a controbattere le accuse rivoltegli e a mettere sotto accusa i suoi accusatori, finché fu lasciato morire senza assistenza nel carcere del tribunale dell’Aia. Emerge inoltre la forsennata campagna di diffamazione cui fu sottoposto Hanke per averne preso le difese. 

(2) In merito ai limiti dell’approccio legalitario con cui i pacifisti in buona fede tentano di porre argine ai crimini dell’imperialismo occidentale, valgono sempre le pungenti parole di Marx sia contro la retorica borghese sui cosiddetti “diritti umani”, sia contro l’illusione di risolvere conflitti governati dai rapporti di forza fra classi sociali, popoli e nazioni attraverso le procedure formali di un diritto che implementano di fatto quegli stessi rapporti di forza. 

(3) Cfr. Manolo Monereo, “la nuova NATO nell’era del declino occidentale” consultabile sulla pagina Facebook della rivista “Cumpanis” (https://www.facebook.com/cumpanisrivista).

(4) Sul concetto di ciclo egemonico vedi G. Arrighi Adam Smith a Pechino. genealogie del XXI secolo, recentemente dieditato da Meltemi.

(5) Cfr. F. Giannini, ” Sergio Romano e l’esercito imperialista europeo”, consultabile sulla pagina Facebook della rivista “Cumpanis” (https://www.facebook.com/cumpanisrivista)

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