USA-CINA. Una guerra che dobbiamo evitare. Kevin Rudd

di Marco Pondrelli

Il libro di Kevin Rudd ha un interesse dato dal ruolo ricoperto dall’Autore che, oltre ad essere un accademico che ha studiato approfonditamente la Cina, è stato Primo Ministro australiano. L’Australia è un Paese che nella tela costruita da Washington per contenere l’ascesa cinese, svolge un ruolo molto molto importante.

Pur non essendo super partes ma anzi fedelmente schierato con l’Occidente collettivo, il punto di vista di Rudd è interessante perché ribalta un vecchio cavallo di battaglia di una certa sinistra, ovverosia che la Cina abbia abbandonato il socialismo per abbracciare la fede neoliberale. Personalmente ricordo il dibattito che si aprì a sinistra, in particolare dentro il PRC, quando la Cina aderì all’Organizzazione Mondiale del Commercio, per alcuni dirigenti comunisti quella scelta segnava l’adesione della Cina al capitalismo. Scrive l’Autore: ‘nonostante occasionali flirt da parte del Partito comunista cinese (PCC) con varie forme di liberalizzazione politica, in particolare durante gli anni Ottanta del Novecento, c’è stata, nella migliore delle ipotesi, una cauta tolleranza verso i reciproci sistemi politici’ [pag. 14].

Inquadrata correttamente la ‘questione Cina’ il libro tradisce però le premesse contenute nel titolo, nei fatti questo non è un testo sui rapporti USA-Cina ma sulla Cina vista da un osservatore occidentale. Dopo una breve (forse troppo frettolosa) analisi della storia cinese e dei rapporti con gli Stati Uniti, l’Autore procede per cerchi concentrici, mettendo al centro Xi Jinping è la sua presa sul Partito per poi espandere l’analisi arrivando ai rapporti internazionali.

Pur dandovi un’accezione negativa Rudd coglie l’importanza riservata nel pensiero di Xi Jinping al ruolo del Partito, questa impostazione è frutto di un’attenta analisi dei motivi del crollo del PCUS e dell’Unione Sovietica, se da una parte si vuole creare ricchezza per evitare di costruire un Paese egualitario ma povero, dall’altra se venisse meno il ruolo del Partito allora la deriva verso il capitalismo sarebbe irreversibile. Alla base delle riforme di Deng c’erano quindi questioni concrete, migliorare la condizione di vita dei cinesi mantenendo il ruolo di guida del Partito, tema per affrontato anche in questo testo. Scrive Rudd: ‘la principale contraddizione che il partito aveva identificato e che dal 1981 aveva cercato di risolvere poteva così riassumersi: «Bisogni materiali e culturali sempre crescenti del popolo versus una produzione sociale arretrata»’ [pag. 124]. L’Autore sostiene che fino agli inizi degli anni 2000 il dibattito interno al PCC vedeva una parte decisa a trasformare il Partito in una organizzazione socialdemocratica, questo confronto è poi stato archiviato e la successiva elezione di Xi Jinping ha rafforzato il ruolo della leadership comunista.

Oltre al Partito il libro analizza il ruolo internazionale della Cina, evidenziando le sfide che il Paese ha di fronte, dal cosiddetto ‘disaccoppiamento’ che oggi sembra molto lontano, alla sfida posta del QUAD, di cui l’Australia è un tassello importante, per arrivare al tema della cybersicurezza, rispetto al quale l’Autore vede le minacce cinesi alle liberaldemocrazie occidentali ma non vede, o finge di non vedere, i pericoli che nascono nel nostro spicchio di mondo e che Edward Snowden e Julian Assange hanno coraggiosamente denunciato.

Questo libro potrebbe essere quindi considerato un’opera ideologica di un politico occidentale che si spende per dimostrare la superiorità del modello liberaldemocratico. In particolare l’idea che gli Stati Uniti oggi vogliano evitare la guerra per avere il tempo di ristrutturare e rilanciare la propria economia è profondamente sbagliata, perché la crisi degli USA è strutturale. Dopo la seconda guerra mondiale il compromesso keynesiano ha permesso di costruire (in Occidente) una società in cui una larga fette di lavoro dipendente potevano godere di un certo benessere, oggi le cose sono cambiate, se negli anni ’50 ci si poteva appoggiare sulla convinzione che i figli avrebbero vissuti meglio dei genitori oggi la situazione è esattamente contraria. Gli Stati Uniti sommano la crisi interna alla perdita di prestigio internazionale, il combinato disposto delle due cose rende impossibile per Washington continuare a sostenere un mondo unipolare. Questa situazione rafforza nell’establishment statunitense l’idea che la guerra possa essere una soluzione, sostituendo alla capacità egemonica la forza militare.

È però interessante soffermarsi sugli ultimi capitoli, laddove si affrontano possibili scenari di conflitto fra USA e Cina. Rudd a questo proposito vede come possibile soluzione quella della ‘concorrenza strategica gestita’ [pag. 376], come durante la guerra fredda Cina e USA dovrebbero fissare dei binari entro i quali sviluppare il proprio conflitto. Scrive Rudd: ‘la ragione per cui ho scritto questo libro risiede nel fatto che entro i prossimi dieci anni il conflitto armato fra Cina e Stati Uniti, anche se non ancora probabile, è ormai una possibilità concreta’ [pag. 410], è interessante che in Occidente si levino voci contrarie alla guerra. Nel contesto di un libro in cui dominano le analisi frettolose e ideologizzate questo è l’unico elemento positivo, e non è poco.

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