Ucraina tra Russia e Nato

di Giuseppe Amata

E’ uscito da qualche settimana per i tipi della Anteo edizioni il nuovo libro di Marco Pondrelli “Ucraina tra Russia e Nato”, che si innesta con il precedente “Continente Eurasiatico” per la migliore comprensione degli avvenimenti internazionali recenti ed attuali come tra l’altro recita il sottotitolo: “Storia, cause e contesto internazionale di un conflitto che sta sconvolgendo il mondo”.

Il libro è articolato, dopo la prefazione di Davide Rossi e l’introduzione, in quattro capitoli. Esso conduce il lettore alla comprensione della complessa situazione internazionale che si è determinata con il lungo conflitto bellico nel territorio ucraino, attraverso una meticolosa (anche se succinta) e pacata analisi storica che partendo da lontano, vale a dire dalla nascita dello Stato russo (attraverso l’unificazione di diversi principati in epoca medievale) nel territorio di gran parte dell’attuale Ucraina e Russia, offre al lettore una utile guida per l’ulteriore approfondimento (se vuole), che nulla ha a che vedere, come specifica l’Autore, con l’informazione dei professionisti dei mass media, basata su un “gioco delle parti simile al tifo calcistico” ed imperniata su “un atto di fede: la Russia è guidata dal nuovo Hitler e va combattuta (pag. 11).

Nel primo capitolo (Russia e Ucraina: una storia complessa), Marco Pondrelli, a differenza di quanto fanno le classi sfruttatrici odierne per autolegittimarsi, cioè cambiando i libri di storia, spiega come nasce la Rus con capitale a Kiev e quindi del perché Putin, riferendosi all’Ucraina, “sostiene che russi e ucraini sono un unico popolo”: “Il presidente della Federazione Russa si colloca in una prospettiva storico culturale, che non vuole dire negare l’esistenza di due Stati differenti” (pag. 14). I quali, nelle vicende successive alla crisi della Rus si compenetrano a raccoglierne l’eredità: “Il Principato di Galizia-Volinia, il Principato di Novgorod e i principati che sorgevano a nord-est, Rjazan, Vladimir e Tver della Moscovia” (pag. 17). Invece, revisionando la storia ai propri fini specifici, per gli attuali dirigenti ucraini “il Principato di Galizia-Volinia rappresenta il primo atto dello Stato ucraino, in cui affondano le radici dell’attuale nazione ucraina (…) che poi cade sotto l’influenza del Granducato della Litania e successivamente, con l’Unione di Lublino (1569), sancì la nascita di una confederazione polacco-lituana” (pag. 17). Ma anche questo evento è transitorio e non definitivo perché cento anni dopo “lo scontro fra Russia e Polonia si concluse prima con la pace di Andrusovo del 1667 e poi con la pace eterna del 1686; il risultato fu che l’area sulla riva destra del Dnepr fu assegnata alla Polonia, mentre quella sulla riva sinistra andò alla Moscovita. (…) L’Ucraina rimase quindi una nazione senza Stato, essendo il popolo ucraino diviso, non solo politicamente ma anche culturalmente, prima fra Russia e Polonia, poi quando quest’ultima nel 1795 sparì dalle carte geografiche, fra Russia e Austria” (pag. 19).

In seguito, precisamente più di cento anni dopo, all’inizio del primo conflitto mondiale una parte del popolo della odierna Ucraina combatteva per l’impero austro-ungarico mentre l’altra parte per l’impero russo.

Dopo la vittoria della rivoluzione d’Ottobre, come è noto, il settore occidentale dell’odierna Ucraina fu ceduto alla Germania in seguito alla pace separata firmata a Brest agli inizi del 1918 e di conseguenza nell’altra parte del territorio “i bolscevichi avevano dato vita alla Repubblica Sovietica Ucraina, con capitale Kharkov” (pag. 19). Poco più di un quarto di secolo dopo, Il settore occidentale è stato ripreso dai sovietici con l’avanzata dell’Armata Rossa verso Berlino.

Marco Pondrelli spiega in questo capitolo anche le cause che determinarono la carestia nei primi anni trenta, che non riguardò solo il territorio ucraino. Esse vanno attribuite sia al sabotaggio (distruzione, imboscamento del raccolto e macellazione del bestiame) dei kulachi nei confronti della collettivizzazione agricola, sia alla necessità di trasferire i prodotti agricoli prioritariamente nelle città per dare da mangiare agli operai delle fabbriche, impegnati nel grande processo di industrializzazione socialista che oltre a servire per lo sviluppo economico nazionale è stato fondamentale per accrescere le capacità militari di difesa e sconfiggere dieci anni dopo l’aggressione nazista. Quindi non di genocidio si è trattato, come sostenuto dai banderisti e dai collaborazionisti con i nazisti negli anni Trenta del Novecento. Accusa in epoca recente fatta propria da alcuni storici (citati nel libro) compiacenti al servizio della politica americana già al tempo di Reagan e successivamente dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica dalle forze politiche scioviniste ucraino, E con maggiore insistenza negli anni recenti da parte dell’attuale dirigenza ucraina e dal parlamento europeo, ormai al completo servizio di una politica revancista ed aggressiva verso la Russia.

Nel secondo capitolo (La nascita di un nuovo/vecchio Paese: l’Ucraina dal 1991 al 2022) l’Autore con minuzia di particolari analizza gli eventi che si susseguirono dal referendum sul mantenimento dell’Unione Sovietica, che ha riscosso in Ucraina una percentuale di favorevoli molto elevata (83,5%) rispetto alla media del 76,4% in tutta l’URSS. Ciò si spiega con la consistente presenza della classe operaia nelle zone più industrializzate dell’Ucraina, la quale nel 2014, dopo il colpo di stato di Euromaidan, ha dato vita alle repubbliche popolari del Donbass e al referendum di annessione della Crimea alla Russia. Non a caso in questi territori sono rimasti i monumenti e i simboli del potere sovietico e gli abitanti innalzavano la bandiera dell’URSS man mano che liberavano i territori dai nazisti di Kiev.

Pondrelli mette anche in risalto nella descrizione degli eventi il ruolo dei personaggi che si sono susseguiti alla leadership del Paese: Kravchurk, primo presidente che ha firmato lo scioglimento dell’URSS; Kuchma presidente dal 1994 al 2004 che “mantenne un equilibrio nei rapporti con l’Occidente e con la Russia; se da un lato firmò l’accordo di partnership con la Nato, dall’altro firmò un trattato di cooperazione con la Russia”; Jushenko, proveniente in epoca sovietica dal settore bancario e poi diventato presidente della Banca nazionale ucraina “iniziando a tessere una rete di rapporti con la finanza occidentale” (pag. 43), eletto dopo la ripetizione delle elezioni (dapprima vinte da Janukovich), che sceglie la Tymoscenko come primo ministro, la quale già “alla fine del 1996 controllava il 25% dell’economia ucraina e pagava solo 11.000 dollari di tasse” (pag. 43); infine Janukovich che sconfigge la Tymoscenko nel 2010 e fugge in Russia nel 2014 dopo il colpo di stato fascista per evitare di essere assassinato.

Dal 2004 al 2014, Pondrelli mette in rilievo tutti i legami privilegiati che si tessono con l’Occidente per ricevere finanziamenti e da questi ne deriva un “sistema fortemente corrotto (che) ha fatto la fortuna di pochi imprenditori spregiudicati, ma ha consegnato l’Ucraina alla povertà e alla corruzione” (pag. 46), nonché nel 2008 il tentativo di adesione alla Nato, “scelta che sarebbe stata destabilizzante e fu per questo che la Germania si schierò in prima fila per bloccare l’operazione” (pag. 45). Infine, nel 2014, il fragile equilibrio salta quando gli Stati Uniti e l’Unione Europea spingono per il rovesciamento di Janukovich, finanziando e sostenendo apertamente i partiti di estrema destra che scatenano la sommossa a piazza Maidan, approfittando anche della situazione di disagio di molti strati popolari.

“La guerra contro Janukovich fu condotta su due piani: uno che possiamo definire militare e uno comunicativo. Da un punto di vista militare i manifestanti erano ben organizzati e supportati anche da cecchini, che colpirono i poliziotti, ma anche gli stessi manifestanti. (…) L’altra parte della battaglia fu comunicativa: ‘euromaidan’ divenne sinonimo di democrazia. (…) Molti politici statunitensi (fra cui l’immancabile John McCain) ed europei (ricordiamo l’on. Pittella del Partito Democratico, fotografato davanti a una piazza in cui era ben visibile una chiara simbologia neonazista) andarono a portare il loro sostegno ai manifestanti. I mass media occidentali denunciarono presunte violenze della polizia, che invece ne era stata vittima, e iniziarono a dipingere il Presidente Janukovich come un tiranno ” (pag. 49). Infine a Odessa l’incendio appiccato nella casa dei sindacati il 2 maggio del 2014, dove si erano rifugiati i manifestanti contro il golpe, e diverse decine di loro bruciarono vivi oppure morirono lanciandosi dalle finestre e se ancora in vita “venivano raggiunti da quelli di Pravy Sector che con i manganelli gli fracassavano la testa” (pag. 51). Il tutto oscurato dai mass media occidentali oppure accennato con limitati resoconti che attribuivano la responsabilità a “gruppi estremisti avversi”.

Ampio cenno l’Autore manifesta al fallimento degli accordi di Minsk, dopo la formazione delle repubbliche popolari di Donest e Lugansk, elencandone tutti i punti sottoscritti e analizzando le responsabilità sia della parte ucraina sia di Francia e di Germania.

Scrive Pondrelli: “Gli strumenti a Francia e Germania non sarebbero mancati, ma non c’era né la forza né la volontà di prendere una posizione in netto contrasto con Washington” (pag. 54).

Mi permetto di aggiungere, non soltanto per non contrastare Washington, ma perché nell’essenza la politica dell’Unione Europea sin dalla sua costituzione progettuale nel 1992 è stata fondata sul revancismo verso est e sulla dissoluzione economica e anche politica della Federazione Russa, dopo quella ben più vasta dell’Unione Sovietica, in sintonia e in competizione con l’imperialismo USA.

Nel terzo capitolo (Capire la Russia), Marco Pondrelli spiega perché la Russia è stato ed è un Paese sia europeo che asiatico, mettendo in rilievo che nel corso della sua storia si sono manifestate nel suo seno due correnti (occidentalista e slavofila) e quando vi è stata la prevalenza di una corrente sull’altra, anziché la coesistenza di entrambe, si sono determinate divisioni interne, come nel recente passato e si può dire anche nel presente, “non solo in ambito politico, ma anche culturale e sociale fra una parte che guarda ad ovest, la quale vorrebbe fare propri gli ideali europei sentendosi parte di questo mondo, e una parte legata alle specifiche radici russe”. La parte che guarda ad ovest si è resa responsabile della più grande catastrofe del XX secolo, il dissolvimento dell’Unione Sovietica, che invece era strutturata sulla coesistenza delle due correnti.

Pondrelli analizza pure le scelte sbagliate, o per meglio dire reazionarie, di politica economica corredate dai dati statistici dei terribili anni Novanta, in seguito alla sottomissione della Russia all’Occidente, scelte che portarono ad una profonda crisi finanziaria ed economica esplosa drammaticamente nell’estate del 1998, e ai successivi tentativi di invertire la tendenza con l’incarico di primo ministro affidato da Eltsin a Primakov ed in seguito, passata la tempesta, dimissionato. Come pure analizza i tentativi dell’Occidente di finanziare il separatismo e il terrorismo, falliti solo dopo l’ascesa di Putin alla guida della Russia. Mette, altresì, in evidenza che la rinascita economica della Russia nel XXI secolo è avvenuta dopo l’allacciamento di strette relazioni con i Paesi asiiatici, Cina in primis. In tal senso, “la Russia non sarebbe solo un ponte ma, grazie alle sue riserve energetiche, potrebbe essere il motore di questo continente” (pp. 60-62).

Inoltre, esamina in questo capitolo, sia la recente fase politica della Russia, accennando alla funzione del partito dominante, Russia Unita, del principale partito di opposizione, il Partito comunista di Gennadij Zjuganov e degli altri partiti rappresentati alla Duma; sia gli obiettivi della “Operazione militare speciale” iniziata il 24 febbraio 2022 e sia infine la situazione sul campo di battaglia, riportando autorevoli pareri come quelli dei generali italiani in pensione Mini e Bertolini.

Nel quarto capitolo (La guerra e il resto del mondo), Marco Pondrelli specifica che trova “corretto parlare di ‘Paesi europei” e non di ‘Unione europea’, la quale per propria scelta non ha una politica estera comune”, cercando di “semplificare e individuare all’interno dell’Unione europea due linee sui rapporti da tenere verso la Russia”. Ciò si è verificato però, a mio modesto avviso, nei due decenni trascorsi e fino all’avvio della “Operazione militare speciale”. Ma, man mano che il conflitto è andato avanti, le divergenze, pur esistenti, tendono ad affievolirsi perché l’Unione europea non esegue la volontà dei suoi popoli, ma è al servizio del capitale finanziario, il quale ha considerato la Russia come un grande territorio da saccheggiare. Nel libro sono messi in rilievo i contrasti con il capitale finanziario americano che però rimangono sotto traccia ed è scritto esplicitamente che da questa guerra quelli che traggono più vantaggi sono gli USA che cercano di frenare il loro declino emarginando il capitale europeo, il quale non ha la forza attraverso le sue rappresentanze politiche e militari per contrastare tale disegno e pertanto esse si assoggettano alla politica USA e alla NATO, sperando in una sconfitta di Putin per creare le condizioni di una nuova penetrazione nel territorio russo, essendo convinti di essere agevolati, rispetto agli USA, dalla contiguità geografica, come ai bei tempi di Eltsin.

Il libro, dopo una disamina riassuntiva di tutte le principali potenze, compreso il Vaticano, che svolgono un ruolo importante nell’attuale situazione internazionale, offre nel paragrafo conclusivo (Un nuovo ordine mondiale?) la traccia per una approfondita discussione tra comunisti ed anche presenta una reale preoccupazione per l’umanità: “Gli Stati Uniti sono un impero in declino ed è questa la causa principale che ci porta oggi molto vicino alla guerra nucleare. Ecco perché un sistema multipolare non è il migliore dei mondi possibili, ma è migliore di tutte le alternative possibili” (pag. 107).

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