Terza guerra mondiale? Il fattore Malvinas. Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli

di Marco Pondrelli

L’ultimo libro di Burgio, Leoni e Sidoli si inserisce in un filone che negli ultimi anni ha visto crescere contributi, analisi e saggi, quello della guerra. La terza guerra mondiale è purtroppo divenuto un tema attuale, il rischio di un conflitto combattuto anche con armi nucleare non è mai stato così vicino, neanche nell’ottobre del 1962. Ascoltando il dibattito politico in Italia notiamo come il termine ‘guerra’ da almeno 20 anni sia entrato nel lessico comune, non ci si riferisce più alla guerra come a qualcosa da scongiurare o da ‘ripudiare’ ma come a un’evento quotidiano con cui si deve convivere.

Per contestualizzare il problema gli Autori dedicano in apertura del loro libro un capitolo che potremmo definire metodologico, chiarendo che ‘il sistema internazionale ha molti millenni’ [pag. 9], quello che rende la nostra epoca diversa è lo sviluppo di nuove tecnologie, in grado di cancellare la vita sulla terra. La forza è centrale nei rapporti internazionali e ad oggi sono gli Stati Uniti la potenza militarmente più pericolosa del globo, quando gli Autori affermano che ‘i programmi dell’alta finanza divennero [nel secondo dopoguerra] di fatto la linea politica ufficiale degli Stati Uniti’ [pag. 40], stanno chiarendo come vi sia un messo fra finanza e guerra. Le scelte di politica estera sono di natura economica e viceversa, è il motivo per cui gli USA hanno minacciato molti stati nel mondo (compresa l’Italia) per evitare che potessero attingere alle tecnologie cinesi (ad esempio il 5G). Il senso di questa analisi è simile a quella di Alessandro Aresu che parla di ‘potenze del capitalismo politico’.

La guerra che gli USA combattono non si limita né a quella di vecchio tipo combattuta sui campi di battaglia né allo sviluppo di armi nucleari, il soft power è fondamentale nella contrapposizione fra Occidente e resto del mondo. Non solo già da prima della fine della Secondo Guerra mondiale è partito un impegno in chiave comunista (che nel caso italiano ebbe come conseguenza i brogli elettorali del 1948) che ha riguardato e riguarda anche l’informazione. Nel libro viene citato il lavoro di Udo Ulfkotte un giornalista tedesco che ammise di essere stato pagato dalla CIA, il quale fra le tante cose affermò: la diversità dei punti di vista dei giornali è una farsa’ [pag. 85]. Per verificare le affermazioni di Ulfkotte basti pensare che alle tre principali agenzie di stampa mondiali, Associated Press, Agence France-Presse e Agenzia Reuters. Sono queste tre agenzie che, avendo inviati sparsi per il mondo, scrivono quello che sarà ripreso da tutti i giornali, dandoci la ‘verità’ su quello che accade in Iran, in Russia o in Cina. I nuovi strumenti di comunicazione, a partire da Facebook, sono creature della CIA e del Deep State statunitense, il ruolo che hanno giocato rispetto al conflitto ucraino ne è la conferma.

La parte finale del libro è di grande interesse perché affronta i possibili scenari futuri. Prendendo atto che anche un conflitto atomico limitato provocherebbe il cosiddetto ‘inverno nucleare’, con conseguenze geoclimatiche su tutto il globo, dobbiamo capire se una guerra è possibile oppure no. Per rispondere a questa domanda è necessario approfondire l’analisi sulla situazione statunitense. Gli Autori per rispondere a questa domanda ricorrono al ‘fattore Malvinas’, ovverosia gli Stati Uniti, come la giunta militare argentina nel 1982, travolti da una crisi interna economica e sociale di proporzioni eccezionali potrebbero essere tentati dal giocare l’Armageddon pur di non perdere il loro ruolo di potere. È ovviamente un’ipotesi ma va presa sul serio.

Il ragionamento che mi sento di condividere è che il sistema economico statunitense non può reggere ed è destinato al collasso, come reagiranno gli Usa segnerà il futuro del mondo. Fra i vari scenari possibili gli Autori annoverano ‘l’ipotesi Nantes’, in riferimento alle scelte di Enrico IV nel 1598. Se gli USA di fronte ad una crisi fossero sostenuti dai capitali cinesi questo potrebbe spingere ‘la frazione meno reazionaria ed aggressiva della borghesia statunitense, supportata da un’ampia fascia delle masse popolari del Paese’ [pag. 168] ad una modifica della politica economica interna in unione con una nuova politica internazionale fatta di cooperazione e non di scontro. Al momento questo può sembrare utopia ma la storia molto spesso procede per strappi e quello che oggi non è neanche immaginabile domani può diventare realtà.

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