
di Marco Pondrelli
Trasportare Carl Schmitt in Cina potrebbe in apparenza sembrare una scelta ardita, non solo per l’adesione del pensatore tedesco al nazismo, per quanto le sue teorie non possano essere assimilate tout court con il pensiero di Hitler, ma perché Schmitt appare molto legato all’Europa ed al dibattito politico che qui si sviluppa nel Novecento.
La sue opere vengono studiate in Cina dall’incontro con Xu Daolin, brillante studente cinese, incontro avvenuto nel luglio del 1931 ben prima della Rivoluzione del ’49, successivamente altri filosofi cinesi approfondirono le sue idee. Il punto da cui partire è la concezione schmittiana del potere. Uno delle opere centrali nel pensiero del giurista tedesco è ‘le categorie del politico’ che si apre con questa frase ‘sovrano è che decide sullo stato di eccezione’. Alla base di questa definizione c’è il Potere in quanto tale, dopo le guerre di religione del Cinquecento che spazzarono via la religione come base condivisa di legittimazione, su cosa si fonda il potere? Per il giurista di Plettenberg per coprire questo buco è necessario un conflitto, la contrapposizione amico/nemico. Fondare un potere può essere fatto solo escludendo, perché è proprio questa esclusione che lo legittima. Nel caso cinese la Rivoluzione è il Partito fondano lo Stato da cui poi nasce la Costituzione. Scrive Daniela Perra ‘il compito della Costituzione, in questo senso, è quello di tradurre l’autorità sovrana in ordine oggettivo per formare un’identità comune: definire chi è il popolo, chi i «nazionali» e chi gli «stranieri»’ [pag. 23].
La visione di Carl Schmitt è essenziale nella dimensione interna ma anche internazionale, partendo dall’opera ‘il nomos della terra’ Liu Xiaofeng, uno dei tre studiosi che si ispirano all’opera dell’Autore tedesco nella Cina contemporanea, sottolinea come il ruolo degli Stati Uniti preoccupi la Cina, che non è disponibile ad essere vittima dell’egemonia statunitense. In questo passaggio l’Autore smaschera la contrapposizione fra ‘globalisti’ e ‘sovranisti’ che in realtà non è tale, i cosiddetti sovranisti ambiscono a ritagliarsi una sovranità all’interno di un contesto mondiale egemonizzato da Washington mentre i globalisti vorrebbero un potere USA senza limiti, ecco perché ‘non sorprende il fatto che la Cina, con il suo obiettivo di costruire un nuovo ‘nomos della terra’, venga vituperata alternativamente da entrambi gli schieramenti’ [pag. 38]. Alla base di questa idea cinese c’è il mondo multipolare che pur essendo altro rispetto al liberalismo occidentale non si pone in contrasto con esso, la Cina non impone il suo modello ma chiede che ad essa non venga imposto quello cosiddetto occidentale.
Risulta molto interessante l’analisi di Wang Huning, importante consigliere di Xi Jinping, che nel negare che gli Stati Uniti siano una democrazia pone al centro delle sue riflessioni il concetto di uguaglianza, gli USA vivono sull’esclusione della parte maggioritaria della popolazione, secondo uno studio di Thomas R. Dye il processo decisionale negli USA riguarda ‘circa 5000 persone’ [pag. 52]. Questa è una chiara esemplificazione di quella che Domenico Losurdo definì la ‘Herrenvolk democracy’.
Per concludere sono molto gli spunti che il libro offre, senza volerlo riassumere nella sua interezza è importante sottolineare due passaggi. Il primo è un paragrafo dedicato all’opera del generale cinese Qiao Liang ed al rapporto sempre più stretto fra finanza e guerra [pag. 148]. il secondo e l’appendice dedicata allo Xinjiang dove l’Autore, oltre a demolire la propaganda sul genocidio, spiega l’importanza geopolitica, economica ed energetica di questa regione [183].
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