
di Michele Carozza
Dopo quasi quattrocento pagine, e in realtà già durante la lettura man mano che ci si avvicina alla fine, ciò che più colpisce del libro di Sanders (Sfidare il capitalismo, Fazi Editore) è la mancanza, in una riflessione così ampia sullo stato della democrazia statunitense, dei temi della guerra e della politica internazionale. Eppure negli USA è stato pubblicato nel febbraio del 2023 (titolo originale It’s ok to be angry about capitalism): troppo recente per non pensare ad una scelta precisa.
Se si aggiunge poi che tema di fondo nei ragionamenti dell’autore è la questione del rilancio della sinistra di classe nella crisi della democrazia liberale minacciata dal capitalismo, quasi assente risulta il confronto con le sinistre e le realtà di altri paesi; sia con quelle analoghe in Occidente, alle prese con gli stessi problemi – l’interesse per le democrazie scandinave è episodico e si limita ai loro sistemi di istruzione, sanità e finanziamento pubblico dell’informazione come casi di studio per l’elaborazione dei piani di riforma e sviluppo dei sistemi americani; sia, ancor più, con quelle del resto del mondo – la Cina è citata solo come causa delle delocalizzazioni e della deindustrializzazione americane e quasi additata come diretto concorrente dei lavoratori statunitensi.
Dice bene Bertinotti nella prefazione quando scrive che questo è un libro americano. Talmente americano, talmente “chiuso” sulla realtà americana e indifferente al resto del mondo, da insinuare il dubbio che la proverbiale ignoranza statunitense di ciò che esiste e accade fuori dai propri confini sia qualcosa di più di un semplice volgare stereotipo, magari un prodotto di quel sistema mediatico tanto corrotto quanto pervasivo, quasi interamente controllato dai grandi gruppi economici, che lo stesso Sanders tenta di raccontare con consapevolezza. Quello che il lettore italiano (o europeo) ha da imparare da un libro così “americano” non è, come scrive Bertinotti, il recupero della lotta di classe e del conflitto sociale o il rinnovato interesse per la classe lavoratrice – molti non hanno mai abbandonato questa via e i risultati ottenuti dalla sinistra americana non sono così incoraggianti – o la forza di una «lotta sociale che si dispiega senza appoggiarsi a una ideologia» ma piuttosto quel che rimane dell’esperienza americana che ci viene presentata dopo il confronto con la nostra storia anche recente, confronto precluso al lettore che si fermi alle parole di Sanders. Non è difficile allora cogliere analogie ed elementi comuni nelle traiettorie politiche delle sinistre di classe di qua e di là dell’Atlantico e chiedersi se l’esperienza presentata da Sanders non replichi in terra americana quella delle sinistre europee soffocate dall’abbraccio coi partiti democratici liberali nelle loro varie declinazioni.
Il libro di Sanders prende le mosse dal racconto della campagna elettorale del 2020 nella quale l’anziano senatore “indipendente”, socialista democratico come ama definirsi, ha corso per la Casa Bianca, giungendo ad insidiare il candidato democratico Biden nelle primarie di partito. Già nel 2016 aveva minacciato la leadership della Clinton, poi sconfitta da Trump alle presidenziali, rinunciando anche allora alla candidatura.
Argomento tanto centrale quanto controverso, il problema del sistema e dei finanziamenti elettorali torna più volte nel testo. «L’attuale sistema americano di finanziamento delle campagne elettorali è un disastro e una vergogna per chiunque creda seriamente nella democrazia. Se domani qualcuno dovesse offrire a un senatore 100 dollari affinché voti per o contro un provvedimento legislativo, da ogni tribunale questa sarebbe considerata una “tangente”. L’accettazione di questa tangente potrebbe portare la persona che la offre – e il senatore che la riceve – in carcere. Ma se la stessa persona mettesse 100 milioni di dollari in un super-PAC (political action committee, comitati di raccolta fondi a sostegno o contro candidati, referendum o iniziative legislative, Ndr) per quel senatore, questa spesa sarebbe considerata perfettamente legale». Con la sentenza Citizens United del 2010, la Corte Suprema ha stabilito che limitare le donazioni di aziende e sindacati costituisce una violazione della libertà di espressione. Da allora i costi delle campagne sono esplosi e oggi, per essere eletti al Congresso, o si è miliardari o bisogna trovarsi uno sponsor miliardario cui restituire il favore una volta al potere. Rivoluzionare il sistema dei finanziamenti elettorali diventa per Sanders prioritario, occorre farsi finanziare esclusivamente dalla working class per poter mantenere indipendenza e autonomia dai grandi interessi. Per le presidenziali del 2020, Sanders ha raccolto 45 milioni da 2,2 milioni di piccole donazioni ed è giusto riconoscergli una straordinaria capacità di mobilitazione. Ma, per dare un’idea del contesto, Bloomberg, uno dei suoi principali concorrenti nelle primarie democratiche, all’epoca l’ottava persona più ricca del mondo, ha investito nella propria candidatura più di 900 milioni di dollari.
Attraverso elenchi di domande, liste di punti programmatici, serie di principi e dichiarazioni di intenti, enumerazioni di problemi e soluzioni che ricordano i vademecum per attivisti e sostenitori o riprendono gli scambi di opinioni coi cittadini negli innumerevoli incontri pubblici, veniamo a conoscenza delle proposte di Sanders e delle sue idee sul sistema americano e sul capitalismo. Sanità, istruzione, controllo dei media e dell’informazione sono temi analizzati a fondo in capitoli specifici dei quali raccomandiamo la lettura. Si tratta in ognuno di questi ambiti di aumentare i finanziamenti pubblici e limitare il potere dei grandi conglomerati. I diritti economici devono diventare diritti umani, la proposta di Sanders è di realizzare una democrazia economica basata sulla (ri-)sindacalizzazione dei lavoratori e la loro partecipazione per questa via al processo decisionale, trainata dalla riconversione ecologica e dalla lotta ai cambiamenti climatici ma anche dalla messa in sicurezza e dall’efficientamento del sistema economico.
Il capitalismo che Sanders intende sfidare è quello nella sua forma attuale che chiama ubercapitalismo, quello delle piattaforme, della flessibilizzazione estrema, dei lavoratori freelance “imprenditori di sé stessi”, sempre più deboli e impotenti di fronte allo strapotere delle corporation e del grande capitale finanziario. A ben vedere, la critica di Sanders non è rivolta al capitalismo come sistema ma a quello “sfrenato” e ai suoi eccessi, agli effetti prodotti dalla rimozione di vincoli e limiti, all’assenza di un contropotere democratico esercitato dalla politica; come se l’enorme concentrazione di potere e le enormi disuguaglianze sociali che pure denuncia, fossero il frutto di un’aberrazione e di una degenerazione di un sistema altrimenti sano. Non sono pochi i passaggi in cui rievoca fino a sembrare nostalgico i bei tempi del New Deal o quelli della sua infanzia, in cui una famiglia di quattro persone poteva vivere dignitosamente con il reddito di un impiegato semplice. Il titolo di un capitolo è “la promessa rubata della prosperità”. Persino quando parla di eccessiva avidità dei capitalisti che è necessario mitigare e controbilanciare, Sanders non può fare a meno di alludere, come nella vulgata neoliberale, ad una giusta misura ricondotti alla quale gli istinti antisociali cessano di essere dannosi e diventano motore indispensabile dello sviluppo economico e sociale.
L’immagine del paese che emerge è un incubo per milioni di lavoratori, un inferno dove milioni di famiglie sono costrette ogni giorno alla lotta per la sopravvivenza, spesso soccombendo, un luogo davvero lontano da un’idea pur minima di democrazia. Sanders se ne serve per convincere il lettore americano che sono necessarie soluzioni radicali, noi non possiamo non chiederci come sia stato possibile per il senatore mobilitare la sua gente in difesa di un sistema che è a tutti gli effetti un’oligarchia compiuta – per ben due volte. Le primarie del 2016 e del 2020 si concludono per Sanders con il ritiro dalla competizione e l’appoggio al Partito Democratico di fronte alla minaccia portata alla democrazia dalla destra trumpiana. Nella visione di Sanders, la lotta di classe e gli interessi dei lavoratori rimangono subordinati alla difesa della democrazia – di quella forma particolare quasi mitologica che è la democrazia americana. Davanti alla minaccia avanzata da Trump di «rovesciare i risultati di elezioni libere ed eque», «per la prima volta nella storia americana», Sanders si dimentica improvvisamente della degenerazione in senso oligarchico della democrazia statunitense che pure ha denunciato con estrema chiarezza. Occorre agire «per la difesa e la sopravvivenza della democrazia», «ci sono minacce esistenziali che trascendono i confini ristretti della partigianeria e dell’ideologia», «il pacifico trasferimento dei poteri, il fondamento della democrazia americana, è minacciato».
Che cosa rimane allora delle campagne di Sanders se oggi, con abbondante anticipo, le primarie ripropongono lo stesso confronto Biden-Trump di quattro anni fa, fotografando lo stallo – se non l’arretramento, secondo i criteri progressisti di cui Sanders si serve nelle sue analisi – dell’elettorato americano e della classe lavoratrice? Se è valido il modello proposto da Sanders di una sinistra radicale e progressista – “trasformativa” – che si fa largo dal basso ed egemonizza per via culturale ed elettorale il Partito Democratico, come si spiega l’arretramento (con un’impressionante accelerazione ai giorni nostri) della condizione dei lavoratori americani?
La classe lavoratrice è costretta nei luoghi di lavoro a rapporti non democratici di dipendenza e subordinazione, in nessun modo le si può chiedere di riprodurli nel campo politico collaborando con il nemico e rinunciando al conflitto e alla contrapposizione in nome di una democrazia impermeabile alle sue istanze e costruita a difesa dello status quo. Quando il noto marziano che scende improvvisamente sulla terra si domanda perché in presenza di enormi disuguaglianze e ingiustizie non montino proteste, scontri, rivolte e rivoluzioni, sarebbe meglio che non trovasse la sinistra democratica à la Sanders tra le risposte.
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