Sebastião Salgado

di Rodrigo Rivas

La fame ci mente. Si presenta davanti a noi come mistero indecifrabile o come una sorta di vendetta degli dei. Vive mascherata in una realtà mascherata. 

Prima di accorgersi che era un fotografo, Salgado faceva l’economista e in quanto tale sbarcò nel Sahel dove, per la prima volta, cercò d’impiegare l’occhio della camera per superare i muri che la realtà utilizzava e utilizza per nascondersi.

In seguito raccontò che gli studi economici gli avevano molto insegnato in materia di maschere. 

In economia, spiegò, ciò che sembra raramente è, e una felice serie di numeri ha poco o nulla in comune con la felicità delle persone. 

E inaugurando la sua mostra “Trabalho” ,(lavoro):  Supponiamo che esista un paese con due abitanti. 

Supponiamo che in questo paese il reddito pro capite sia di 4.000 dollari. 

A prima vista, sarebbe messo benino. 

Ma questa è solo una maschera. In realtà, uno dei due abitanti percepisce 8.000 dollari, l’altro nulla. 

A quello del nuĺla, resta solo la possibilità  di chiedere spiegazioni. 

Ma, a chi? Agli iniziati alla oscura scienza  dell’economia? In quale sportello?” 

Oggi che è morto, nel suo primo lancio l’Agenzia italiana di notizie, ANSA, l’ha definito franco-britannico. Lasciamo perdere. Supponiamo che quelli dell’ANSA siano solo dei ragazzi.

Poi si è corretta: Salgado era brasiliano. Ma  essendo morto a Parigi, era  “franco-brasiliano”. 

Il brasiliano Salgado ben sapeva che lo sviluppo del Brasile non sviluppa i brasiliani. E che ciò succede soprattutto ai bambini poiché ogni 10 bambini morti, nel Brasile 7 erano uccisi dalla fame. Eppure, il Brasile è il quarto esportatore mondiale di alimenti (e il sesto paese al mondo per il numero di affamati). 

Ricordo una mostra di Salgado sull’emigrazione. 

In “Exodus”, carovane di disperati deambulavano per il deserto africano, moribondi, alla inutile ricerca di qualche erba, insetto o animaletto da mangiare. 

Ma, erano davvero uomini e non mummie in movimento o statue di pietra animate, mutilate dal vento, agonizzanti o sonnambule, forse vive, forse morte, forse morteviventi?

Un uomo portava in braccio suo figlio o, meglio, le ossa di quel che era stato suo figlio. Sembrava un albero miracolosamente inchiodato al nulla, un albero stupefacente che accarezzava l’aria muovendo i suoi lunghi rami e inchinandosi sulle spalle o sul petto di un bimbo moribondo che cercava di accarezzarlo a sua volta, mentre moriva. 

Una donna camminava controvento. Ma era davvero una donna o era un uccello con le ali rotte? Davvero quello spaventapasseri con le braccia aperte nella solitudine del nulla era una donna? 

Chissà cosa avrebbe potuto  raccontarci sui bambini, sulle donne, sugli uomini palestinesi se non avesse avuto la stupida idea di morire proprio oggi, 23 maggio del 2025 in quella Parigi dove si era rifugiato per sfuggire alla stupidità criminale di Jair Bolsonaro. 

Anni fa, abbiamo parlato delle sue foto in bianco e nero con la fotografa Letizia Battaglia mentre condividevamo la piccola giuria responsabile di giudicare i film brevi al Festival del cinema sull’ambiente di Torino.

Letizia fu lapidaria: “Nelle foto in bianco e nero di Salgado ci sono più colori di quelli presenti  nell’arcobaleno”.

Me ne sono ricordato proprio oggi, vedendo che alla UNAM, la Università Nazionale Autonoma del Messico, è stata inaugurata la sua mostra sulla mafia.

Sono contento che gli studenti della prima università sorta nel nuovo mondo possano conoscere la sua Palermo. E che ciò avvenga proprio nel giorno della strage di Capaci, della partenza di Salgado e dell’apertura formale della persecuzione governativa alle università statunitensi.

Come scrisse con grande ottimismo Chico Buarque, quando nel Brasile comandavano i gorilla con le stellete, “Amanhã  vai ser outro dia”, domani sarà un altro giorno..

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