di Laura Baldelli, docente di Storia e Letteratura; segreteria regionale PdCI Marche
Finalmente un tributo al grande intellettuale eretico, che ha pagato duramente ogni sua scelta di vita e pensiero, fino ad essere assassinato: dal 15 aprile fino al 20 luglio a Roma al Palazzo delle Esposizioni in via Nazionale, una grande mostra “Pasolini Roma”, per testimoniare quanto il Poeta e la città siano stati legati da amore-odio, attrazione-rifiuto, allontanamento-ritorno.
Non fu, per Pasolini, la Roma della “Dolce vita”, ma quella della borgata, quando da Casarsa fuggì poverissimo e umiliato dalla denuncia per corruzione di minori, da cui fu poi scagionato; nelle borgate, che lui paragonava a quelle dei paesi nord-africani per il degrado, conobbe quel mondo che ispirò i suoi primi romanzi e film.
La mostra, frutto della collaborazione con vari paesi europei e sostenuta dal programma culturale dell’UE, sarà ospitata a Barcellona, Parigi e Berlino, riconoscendo Pasolini come l’intellettuale del XX secolo che più di ogni altro è riuscito in una chiave assolutamente poetica, ad interpretare Roma.
E fu proprio Roma il suo principale punto di osservazione permanente, campo di studio, riflessione, analisi dei cambiamenti della società italiana, ma fu anche il teatro dove si perpetrarono per 20 anni le persecuzioni dei potenti nei suoi confronti, dove subì ben 33 processi, dai quali fu sempre assolto.
La mostra percorre attraverso alcuni luoghi di Roma, la vita del Poeta con foto, suoni, oggetti, manoscritti e dattiloscritti originali, brani dei film, lettere, la sua voce che recita le poesie, dipinti, fra i quali anche i suoi e testimonianze dei amici Sandro Penna, Laura Betti, Alberto Moravia, Elsa Morante, Dacia Maraini, Giorgio Caproni, Bernardo Bertolucci e tanti altri.
Si rende giustizia ad un artista completo: la critica letteraria colloca Pasolini tra i classici del secondo ‘900, perché come D’Annunzio e Pirandello ha sperimentato tutti i generi della creatività del 20°secolo: romanzo, novella, poesia, teatro, cinema, critica letteraria, saggistica politica, giornalismo, fotografia e soprattutto non ha rinunciato ad avere un ruolo, sempre scomodo, d’intellettuale presente nella società.
Molti critici letterari sostengono che lo Scrittore ha lasciato una grande eredità e continua ad influenzare la narrativa contemporanea italiana, ne sono prova Vincenzo Cerami, Enzo Siciliano, Emanuele Trevi. Anche il regista Abel Ferrara sta lavorando ad un film su Pasolini con Willem Dafoe che interpreta il Poeta ed altri importanti attori italiani.
Pasolini ci ha raccontato con la scrittura e con il cinema tutta la storia italiana: fu testimone del passaggio da Popolo Italiano a massa italiana; aveva capito subito il cambiamento culturale ed antropologico della società, senza essere sociologo, né antropologo, “era un poeta che si abbeverava nella vita e volle raccontarla non solo con le parole, ma con la carne, il sangue e con innocenza.”, come disse di lui l’allievo Vincenzo Cerami.
Fu un borghese che volle conoscere il popolo e sosteneva che durante il potere clerico-fascista-borghese, il popolo era rimasto fuori dalla storia ed era vissuto parallelamente, conservando i propri valori, ma poi era arrivato il benessere senza umanità, che aveva portato all’omologazione, all’omogenizzazione, in cui padri e figli erano schiacciati nel presente senza il senso del tempo.
Pasolini ci dà una lettura della storia dell’Italia unita incentrata sulle identità popolari: il Cristianesimo e il Marxismo, e il pensiero laico-liberale, stendardo della borghesia, non fu mai vera alternativa, ma una continuazione del potere.
Sosteneva che il borghese sapeva di vivere in un contesto storico, il popolo no; che al Fascismo interessava “costruire borghesi”; ma il capitalismo, l’edonismo consumistico della società dei consumi con i suoi bisogni indotti avevano trasformato il popolo in massa. Bisogni creati apposta dalla borghesia capitalistica, diffusi dai nuovi strumenti: la televisione, che definiva “corruttrice di anime”, con la sottocultura, il sentimentalismo ipocrita e la scuola trasmettitrice del conformismo borghese.
Denunciò la società dei consumi come un totalitarismo repressivo, il boom economico diffondeva il consumismo in tutte le classi sociali e non solo grazie al lavoro, ma anche alla pubblicità e alla televisione.
Con la scomparsa della cultura contadina tutto si appiattiva e le classi povere con il consumismo si trasformavano in borghesi conformisti e omologati. Negli scritti giornalistici “Scritti corsari” e nelle “Lettere luterane”, pubblicate postume, c’è tutta la denuncia della degenerazione della società capitalistica.
Pasolini, come Pascoli, amava il mondo rurale, la società contadina che caratterizzò l’Italia fino agli anni ’60 e forse non a caso si laureò a Bologna con una tesi su Pascoli. Ma anche nella borgata la vita era vera, autentica, non ancora inquinata dall’ideologia borghese.
Pasolini raccontò il cambiamento degli Italiani, osservando soprattutto la trasformazione dei loro corpi e del loro uso, attraverso il cambiamento estetico.
E il corpo ha avuto una grande centralità nella sua opera cinematografica: in “Accattone” c’è il corpo smagrito di Sergio Citti e consacrerà i veri volti di ruffiani, prostitute, assassini, attraverso uno stile ieratico, ispirato dalla pittura di Masaccio e i pittori del ‘300 toscano; in “Mamma Roma” l’agonia del giovane figlio che muore legato sul tavolaccio del carcere, non è altro che il Cristo deposto del Mantegna, ma c’è anche la citazione del Cenacolo di Andrea Del Sarto nella scena del banchetto di nozze. Un esempio di cinema e pittura, frutto della formazione artistica influenzata dal critico d’arte Roberto Longhi all’Università di Bologna.
Per Pasolini la gente povera viveva la sessualità spontaneamente, con vitalità e cercherà la spontaneità dei corpi nel passato con la trilogia della vita o dell’eros: “Decameron, I racconti di Canterbury, Il fiore delle Mille e una Notte”, sono tre film in costume tratti dalla letteratura del Trecento, una riscoperta del sesso attraverso una rilettura delle fonti della favolistica europea e mediterranea, una caduta nella nostalgia di un passato inesistente o una sessualità immaginaria; un’illusione consapevole comunque, non fuga dal mondo, ma riflessione e creazione, considerando l’arte come conoscenza.
Il corpo però era diventato oggetto di consumo e allora abiurerà la trilogia, perchè se il popolo si era lasciato corrompere, significava che era già corrotto e colpevole, e così girerà “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, ispirandosi all’opera di De Sade, descrivendo il degrado e il gusto atroce del seviziare i corpi da parte del potere, dopo avergli tolto l’anima; il film uscì dopo la sua morte e fu molto criticato per la drammaticità delle scene.
Il critico cinematografico Sandro Bernardi lo ha definito “un’opera filosofica sul male e sulla prevaricazione….una vittoria del male nel mondo fra le più crudeli e insopportabili della storia del cinema”.
Anche poesia e cinema per Pasolini furono strettamente legati: “la poesia emoziona, è rapporto emotivo con la realtà, un grande atto d’amore per la realtà”; il cinema è strumento del realismo, ma va oltre l’apparente ed è strumento d’indagine; Bernardi lo considera l’erede di Rossellini, che proseguì l’esperienza del Neorealismo, superandone i limiti ideologici.
Tutta la sua vita fu attraversata dalla poesia, fin da quando a 7 anni scrisse la prima, poi continuò con i versi in friulano, cercando una lingua intatta che fosse l’equivalente letterario del suo religioso desiderio di purezza; quei versi conquistarono il filologo Contini. Tra le più note raccolte antologiche ricordiamo: “La meglio gioventù”, “Le ceneri di Gramsci”, “Poesia in forma di rosa” e molto altro anche in polemica anti-novecentesca, come esprimeva nella rivista “Officina”.
L’ansia di raccontare la realtà più nascosta gli fece tradire la letteratura per il cinema, “perchè l’io dietro la macchina da presa non ingombra la realtà.”
Il cinema per Pasolini fu lo strumento per raccontare la realtà in poesia. Non scelse di trasformare i suoi romanzi in film: “Ragazzi di vita” e “Una vita violenta” furono uno scandalo, ma per la prima volta il popolo entrava nella letteratura e soprattutto entrava con la sua lingua: dopo il friulano, il romanesco da borgata. Cambiò il linguaggio e il sistema linguistico in questo modo lo scrittore s’impadronisce del lessico popolare e racconta una storia e la trasforma in letteratura.
Anche Verga aveva scelto “la regressione”, ma non osò tanto e Gadda aveva sperimentato un nuovo linguaggio ne “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”
Odiava il romanzo psicologico, espressione della borghesia, e i personaggi dei suoi romanzi sono picareschi, senza psicologia.
Nel cinema iniziò come sceneggiatore con Mario Soldati ne “La donna del fiume”, con Fellini “Le notti di Cabiria” e molti film con Mauro Bolognini come “Il bell’Antonio”, ed anche con Bernardo Bertolucci ne “La comare secca”.
Il suo fu “un cinema di poesia” e lo affermò in molti scritti teorici e reinventò un linguaggio cinematografico autonomo di grande qualità figurativa, in cui puntò ad un’armonica fusione del cinema con la letteratura, la pittura e la musica.
Pasolini scelse spesso attori presi dalla strada: Franco Citti e Ninetto Davoli sono i più noti, utilizzò tecnica e stile del realismo, ma fu anche visionario per il profondo rapporto con la spiritualità e la religione, come testimonia “Il Vangelo secondo Matteo”, dove fece recitare sua madre, Alfonso Gatto, Natalia Ginzburg, Enzo Siciliano negli scenari dei Sassi di Matera, composti come nelle tavole de El Greco.
Con i film “Edipo”, “Medea”, prevalse più la musica sulla parola e sul mito, e furono caratterizzati da un realismo visionario.
Nomi importanti recitarono nei suoi grandi film: Maria Callas in “Medea”, Totò in “Uccellacci uccellini”, Orson Welles ne “La ricotta”, Anna Magnai in “Mamma Roma”. Lui stesso aveva recitato per la prima volta nel film di Carlo Lizzani “Il gobbo” e poi interpretò Giotto nel “Decameron” e Geoffrey Chaucer nei “Racconti di Canterbury”.
Bernardi afferma che nell’opera pasoliniana c’è una profonda e compenetrazione tra sacro e profano, di spietato realismo e altrettanta intensa religiosità; ma non solo, per Pasolini il sesso è sacro quanto l’anima e nella carne si manifesta lo spirito.
Partecipò anche a film collettivi, dove ogni regista dirigeva un episodio e tra questi come non ricordare “Che cosa sono le nuvole’” con Totò, Ninetto Davoli e Domenico Modugno o “La ricotta”con Olson Welles per il quale fu processato per vilipendio alla religione cattolica.
Si cimentò anche nel cinema d’inchiesta con “Comizi d’amore”, un’inchiesta scioccante nell’Italia dei primi anni ’60, condotta con Alberto Moravia e Cesare Musatti.
La critica cinematografica internazionale ha premiato più volte l’opera cinematografica del regista.
Scrisse anche per il teatro e naturalmente ricercò un nuovo linguaggio che teorizzo ne “Il manifesto per un nuovo teatro” con “un teatro di parola”, si dedicò molto ai classici greci e romani con traduzioni e riscritture intese come uno psicodramma liberatorio, opponendosi al teatro tradizionale, ma anche a quello d’avanguardia di contestazione. Era iniziato come dramma teatrale il romanzo “Teorema”, che poi diventò un film sulla nullità dell’esistenza borghese.
Politicamente Pasolini fu strumentalizzato dalla destra, accusato, processato, vittima della censura, dalla sinistra non fu compreso e anche se fu espulso dal PCI dopo l’accusa a Casarsa, rimase un comunista e soprattutto un antifascista; famosa e scomoda fu la scelta di schierarsi con i poliziotti proletari che si scontravano a Valle Giulia contro gli studenti figli della borghesia, espressa nella poesia “ Il PCI ai giovani”.
Pasolini sosteneva l’utopia di un’uguaglianza fatta non per accumulo ( come voleva anche la società del benessere), ma per condivisione dell’essenziale; un pensiero vicino a quello di Don Milani, Danilo Dolci, Padre Turoldo, un pensiero con la coscienza del sacro, del divino, del metafisico e per questo anche profetico; ma i profeti non vengono mai ascoltati. Nel film “Uccellacci uccellini” emerge l’insufficienza dell’ideologia comunista di fronte alla fame atavica del sottoproletariato.
Andrea Zanzotto ha colto in Pasolini la dimensione pedagogica quella che “svela, spalanca vita”.
Giacomo Jori, giovane critico letterario, del Poeta ha scritto: “una vita consumata nell’inesausta ricerca di fraternità e unione con l’Altro”.
Importanti nomi della cultura letteraria e cinematografica hanno difeso pubblicamente più volte il Poeta e la sua opera quando venivano criticati, censurati e subivano ignobili processi.
Nell’ultimo lavoro “Petrolio”, romanzo incompiuto pubblicato postumo nel 1992, la borghesia è la protagonista ed è un’invettiva contro la Democrazia Cristiana per le stragi di stato. Del romanzo furono rubati alcuni capitoli tra cui “Lampi sull’ENI”, proprio quello di cui parlò Dell’Utri nel 2010.
Da rileggere, perché sempre attuale, è l’articolo pubblicato sul “Corriere della sera” il 14 novembre 1974 dal titolo “Cos’è questo golpe? Io so”, un’accusa al sistema di protezione costruito a proprio beneficio dal potere.
Un anno dopo fu assassinato il 2 novembre 1975, un delitto che fu deliberatamente mascherato come di matrice sessuale, e solo recentemente è stato riaperto il caso e le indagini per indagare su altri fronti.
I giovani oggi hanno bisogno di conoscere Pier Paolo Pasolini, il suo pensiero profetico, l’impegno civile che ha pagato con la morte e prima ancora con accuse infamanti per la sua dichiarata omosessualità.
Visitando la mostra ho incontrato molti giovani, mi piacerebbe che fossero contagiati dalla sua passione ideologica e culturale, dal modo di vedere il mondo con gli occhi della poesia.
Vorrei che comprendessero quanto gli fu a cuore la giustizia sociale e denunciò l’assolutismo del potere, senza mai rinunciare alla coerenza, all’umiltà, alla dignità; ci ha lasciato un patrimonio inestimabile di appassionata ricerca culturale, che è anche memoria storica del nostro paese.
La mostra termina con la sequenza tratta dal film “Caro diario” di Nanni Moretti, in cui il regista percorre in vespa l’idroscalo di Ostia dove fu ucciso, io invece lo voglio ricordare con il suo corpo mentre bravissimo gioca a calcio e con le parole della sua ultima intervista tratte da “Poesia in forma di rosa”: un uomo con una disperata vitalità.