Sabrina Iachetti. La poesia

di Fosco Giannini | da pdcimarche.wordpress.com

Se un’artista, in questo caso una poetessa, non raggiunge in vita, non diciamo la fama, ma almeno un pò di notorietà; se il suo lavoro poetico è conosciuto solo in ristrettissime cerchie che vanno poco la di là delle (magnifiche) sorelle, degli amici, degli amori e di chi l’ha conosciuta, letta e amata – come chi scrive – solo dopo la sua morte: ciò deve obbligarci a prolungare il silenzio su di lei? Oppure, il rovescio: per il solo fatto che una giovane donna abbia lasciato scritti prima di “andarsene”: ciò, e solo ciò, per lo strano fascino della morte, rende lecito parlare della sua poesia? E ancora: se la poetessa di cui parliamo non ha potuto, per aver rinunciato troppo presto alla vita, lasciarci raccolte intere di poesie, ma una sola, magra, raccolta: tutto ciò fa sì che sia “incongruo” parlare di lei, di tramandare i suoi, seppur pochi, versi?

Di ogni essere umano scomparso è giusto e necessario parlare. E’ l’unico antidoto che conosciamo alla morte. Ma l’esercizio di rimettere in circolo un lavoro poetico che rischia di scivolare nello stesso buio freddo e infinito che avvolge la sua compositrice cade sotto un’altra  legge, diversa da quella che sovraordina la scomparsa degli esseri umani. 


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