Perché l’autonomia differenziata fa male anche al nord. Stefano Fassina

di Marco Pondrelli

È possibile cogliere il senso del libro di Stefano Fassina ed allo stesso cogliere i limiti dalla riforma dell’Autonomia differenziata, riflettendo sul passaggio che l’Autore fa sulla fine dell’illusione dell’Europa delle Regioni che porta con sé la fine di altre illusioni quelle ‘sulla Stato minimo e sulla capacità autoregolativa del mercato‘ [pag. 68]. Il rafforzamento degli Stati, dati per morti pochi anni fa, è confermato anche dalla crisi del Covid e, nella sua tragicità, anche dai conflitti che stanno sconvolgendo il mondo. In questo scenario è incomprensibile la scelta, denunciata anche da Ugo Boghetta nel suo libro, di escludere il ruolo delle regioni dal lavoro della commissione sulla pandemia.

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La riforma italiana è quindi una riforma fuori tempo massimo che guarda ad un modello europeo che non esiste più. Le radici delle proposte di Calderoli sono piantate nella modifica, voluta dal centro-sinistra nel 2001, del Titolo V della Costituzione. Questa riforma prendeva atto di un cambiamento che era avanzato nel nostro Paese dagli inizi degli anni ’90 a Costituzione invariata, la contraddizione fu quella di non volere toccare la seconda parte della nostra Carta fondamentale senza toccare la prima ma, come qualcuno fece notare, la seconda parte della Costituzione discende dalla prima, possiamo dire che la seconda parte mette in forma i principi contenuti nella prima.

Questa contraddizione emerge nel confronto fra l’articolo 5 dove si afferma che ‘La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali‘ e il nuovo articolo 114 che scrive ‘La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato‘. Il tentativo, peraltro fallito, di indebolire la Lega Nord nel 2001 ha portato a modificare l’idea della nostra Repubblica che anziché riconoscere le autonomie locali ne è la risultante.

Stefano Fassina seppure economista di formazione ricostruisce molto bene il dibattito all’Assemblea costituente per quello che riguarda le autonomie locali, i Comuni ne erano il vero pilastro e non le regioni [pag. 31], che, come afferma anche da Ugo Boghetta, sono una scelta slegata dalla storia e dalla realtà locale italiana. Il rischio (più che il rischio una certezza) è oggi quello di sostituire ad un centralismo nazionale un centralismo regionale, scrive l’Autore: ‘In sostanza mentre oggi Comuni, Città metropolitane e Province concorrono agli obiettivi di bilancio delle amministrazioni pubbliche e ricevono fondi perequativi governati da norme nazionali, domani sarebbe soggetti, anche per le funzioni fondamentali trasferite, alla totale discrezionalità del presidente della Regione‘ [pag. 47].

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Questa analisi introduce il tema di fondo di questo libro, che ha un punto di vista originale rispetto ad altri lavori, Fassina non presenta l’autonomia differenziata solo come un attacco al mezzogiorno d’Italia ma anche come un provvedimento che colpirà il nord. Il primo motivo è quello della competitività dell’economia produttiva del settentrione. Sarà complicato, ad esempio, parlare con la Cina senza avere una politica industriale nazionale. Come scrive polemicamente l’Autore l’Italia sta tornando un’espressione geografica ed anche l’elezione diretta del Presidente del Consiglio (il cosiddetto premierato) non potrà cambiare l’articolazione interna dello Stato. C’è da chiedersi cosa rappresenterà questo Presidente.

Se da un lato andrà in sofferenza il sistema produttivo, dall’altra parte si rischia una corsa al ribasso nella tutela dei diritti del lavoro, l’Ufficio parlamentare di Bilancio è intervenuto sui LEP sottolineando la difficoltà di definire ‘standard significativi’ [pag. 95], definire confini poco specifici apre lo spazio al dumping sociale. Le regioni diventeranno concorrenti e per attrarre investimenti saranno disponibili a offrire condizioni di investimento migliori, ciò vuole dire tasse più basse (e quindi meno servizi) e minori tutele per il lavoro. Sarebbe interessante ricordare come alla base della politica economia di Reagan, la Reaganomics, c’era la polemica contro il Big Government una sorta di ‘Washington ladrona’ per dare potere ai singoli stati dell’Unione.

Sono temi molto interessanti che vanno oltre la riforma in discussione e che riguardano il ruolo della politica e della sinistra oggi in Italia. Come scrive in chiusura l’Autore è importante la crescita della consapevolezza diffusa [pag. 133], perché questo dibattito non rimanga circoscritto ai circoli accademici ma sia patrimonio condiviso e materia di confronto politico.

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