di Marco Pondrelli
Il libro di Školenko è stato pubblicato nel 1987 e sappiamo che, quando si parla di tecnologia aerospaziale, i tre decenni che ci separano da quest’opera sono tantissimi. Nonostante questo rimane una lettura piacevole perché affronta in modo convincente temi e questioni che hanno una rilevanza non solo tecnologica ma anche filosofica e politica.
Školenko parte nel suo viaggio citando Ciolkovskij il fondatore della ‘cosmonautica teorica’ [pag. 10], il quale visse e morì prima della conquista dello spazio ma affrontò quest’argomento con grande rigore teorico ed analitico.
La materia è affascinante, l’esplorazione dello spazio e la scoperta dell’ignoto sono indubbiamente temi che muovono la fantasia, basti pensare all’innumerevole produzione artistica (libri, film, serie tv) sull’argomento. Prima ancora è però necessario rispondere ad un quesito più concreto e pragmatico. Serve veramente tutto questo? A senso investire risorse e rischiare vite umane quando sul nostro pianeta i problemi non mancano? La risposta dell’Autore è un deciso sì e non per motivazioni morali ma concrete. L’esplorazione spaziale ha permesso di sviluppare molte tecnologie che hanno una ricaduta anche nella nostra vita, basti pensare al ruolo dei satelliti che sono divenuti fondamentali per le comunicazioni ma anche per la geolocalizzazione utile a soccorrere mezzi dispersi.
C’è quindi una motivazione pratica alla base dello sviluppo dell’industria aerospaziale ma non solo, gli studi che ci hanno permesso di conquistare lo spazio ci permettono anche di approfondire le nostre conoscenze sull’universo ma anche sul nostro stesso pianeta. Paradossalmente lasciamo la terra (anche se sono stati pochi gli uomini e le donne che materialmente lo hanno fatto) per studiarla e conoscerla meglio, con l’obiettivo ultimo di indagare ‘il mistero più prodigioso dell’Universo: il mistero degli specifici processi e meccanismi dell’origine della vita’ [pag. 33]. Nel libro traspare la speranza e la fiducia nella scienza contro ‘l’oscurantismo estremo’ di cui parlava Lenin [pag. 100].
Ma cosa significa conquistare lo spazio? Carl Schmitt nel suo ‘terra e mare’ si interroga sul perché la scoperta dell’America da parte dei vichinghi, avvenuta intorno all’anno 1000, non produsse gli effetti che invece si ebbero con la scoperta di Colombo, la sua risposta è che ‘affinché si realizzi una rivoluzione spaziale occorre qualcosa di più di un approdo su un territorio prima sconosciuto. Occorre una trasformazione dei concetti di spazio che abbracci tutti i livelli e tutti gli ambiti dell’esistenza umana’[1]. La verità è che si scopre l’America non se si arriva sulle sue coste ma se questa scoperta diviene parte della vita e della consapevolezza di tutta la popolazione. Lo stesso di può dire della luna e dello spazio, questi viaggi non sono solo un patrimonio personale di chi li compie ma entrano nelle nostre vite.
Carl Schmitt contrapponendo terra e mare arrivava a prefigurare un terzo elemento nello scontro fra Stati: l’aria. Oggi questo terzo aspetto ha assunto un ruolo importantissimo. Nella prima guerra mondiale lo spazio aereo fece la sua comparsa ma ebbe un ruolo marginale, più che modificare le condizioni sul terreno diveniva la proiezione nei cieli dei duelli medioevali fra cavalieri, nella seconda guerra mondiale il ruolo dell’areonautica crebbe enormemente. Dagli anni ’50 la guerra si è spostata nello spazio e quando l’Autore parla di guerre stellari, in riferimento a Reagan e non a Lucas, lo fa per sottolineare le applicazioni militari che la corsa al cosmo implicava ed implica. Lo scudo spaziale in funzione antisovietica, ripreso poi da Bush figlio in funzione anti-russa, era il tentativo di garantire agli Stati Uniti il first strike, era quindi il tentativo di rompere l’equilibrio nucleare che, mediante la mutua distruzione assicurata, aveva evitato lo scoppio di guerre nucleari.
La parte finale del libro è quella più interessante proprio perché esamina la contraddizione intrinseca fra una ricerca che ha per obiettivo il miglioramento della nostra vita e le ricadute pratiche che sfruttano le nuove tecnologie a fini bellici. La considerazione che fa l’Autore è ispirata da Ciolkovskij, con il quale il libro apre e chiude il proprio viaggio. Ciolkovskij sosteneva che ‘le intenzioni distruttive e immorali rendono impossibile esplorare e sfruttare lo spazio’ [pag. 150], il progresso richiesto per andare nello spazio non è solo tecnologico ma anche sociale e riguarda la capacità di discernimento fra bene e male. È la nota di ottimismo con cui si conclude il libro laddove l’Autore afferma che ‘il positivo avrà il sopravvento sul negativo’ [pag. 154]. Guardando alla storia non possiamo non osservare che molti dei grandi progressi dell’umanità sono stati raggiunti proprio partendo dalla tecnologia militari, questo non fa che accrescere la nostra responsabilità (come genere umano) e pone nuovamente centrale la battaglia per la pace.
Note:
1. Schmitt, Karl, Terra e mare, Adelphi, Milano, 2020, pag. 70.