“E allora le foibe?”. Ragionando del libro di Eric Gobetti.

gobetti foibedi Luca Cangemi

È veramente significativa del clima malsano che si respira in Italia l’aggressione violenta, che ha subito Eric Gobetti per aver scritto un libro di storia serio, equilibrato, privo di asprezze verbali, “E allora le foibe?” (Editori Laterza, pp.116)


Decenni di mistificazioni (il termine revisionismo appare nello specifico troppo “teorico”), di calcoli politici più o meno lungimiranti ma comunque spregiudicati, di pesanti forzature istituzionali hanno trasformato la parola “foibe” in un atto linguistico distruttivo, nell’innesco di un dispositivo selvaggio che colpisce chiunque tenti di ragionare e che imperversa dai beceri profili social neonazisti ai paludati siti di Rai e ministeri.

Eric Gobetti si contrappone in modo efficace a questo infernale meccanismo, aiutandoci a comprenderlo e per questo merita non solo totale solidarietà ma anche un forte apprezzamento intellettuale. 

Apprezzamento che non significa, naturalmente, condivisione di ogni passaggio del libro (ad esempio penso che il concetto stesso di “totalitarismo” vada criticato alla radice e non possa essere usato come strumento analitico, ma di questo parleremo in altra occasione).

Gobetti svolge, innanzitutto, in modo chiaro e sintetico un’opera di verità e contestualizzazione degli avvenimenti storici sul “confine orientale” in particolare tra il 1943 e il 1945. Come giustamente nota l’autore, introducendo l’essenziale “bibliografia ragionata”, a differenza di quanto si crede la storiografia ha prodotto ampie ricerche sulla storia di questi territori. L’approccio colonialista dell’Italia monarchica e fascista verso i Balcani, l’opera precocemente razzista del fascismo di confine, l’intreccio tra oppressione nazionale e dominio sociale, le vicende tragiche dell’occupazione tedesca e italiana della Jugoslavia a partire dal 1941, le stesse caratteristiche dell’azione delle forze di liberazione jugoslave nel 1943 e nel 1945 sono tutte questioni su cui vi sono ricerche tanto serie quanto sistematicamente oscurate dalla canea politico-mediatica dominante. Archiviate le ricerche storiche, persino quelle frutto di collaborazioni ufficiali internazionali, respinti nell’ombra fatti incontestabili si può assumere il martirologio fascista, attivato già sotto la regia nazista nel 1944, e persino usare concetti del tutto incredibili, come “pulizia etnica” e “genocidio”. L’aula di una scuola media intitolata alle vittime delle foibe e della shoah rappresenta la conclusione simbolica di una intera operazione.

Assai interessante è la ricostruzione di Gobetti delle motivazioni politiche di tutta la lunga e complessa operazione foibe. I fatti del 1943, del 1945 e la stessa vicenda dell’“esodo” furono relegate nella nicchia ideologica del neofascismo militante per lungo tempo nell’ Italia repubblicana. A ciò contribuiva certamente un clima politico-culturale in cui era difficile per chiunque colpire apertamente l’esperienza della lotta al nazifascismo ma anche (specialmente sul versante delle forze moderate) la particolare collocazione geopolitica che assunse la Jugoslavia dopo il 1948. Tutto cambia con gli anni Novanta, con il manifestarsi di due operazioni di legittimazione che trovano proprio nell’”invenzione della tradizione” (per riprendere la classica espressione di Hobsbawm e Ranger) delle foibe un terreno di convergenza. Da un lato, comprensibilmente, Alleanza nazionale fa uscire la narrazione delle “stragi titine” dalle caverne del neofascismo militante, dall’altro i DS possono scrivere un altro capitolo nella loro conversione (e ossessione) anticomunista. Paradossalmente le drammatiche vicende della disintegrazione jugoslava favoriscono l’operazione sia perché aprono il campo alla rilegittimazione di forze reazionarie anche dall’altra parte del confine, sia perché vengono usate per dare nuova linfa allo stereotipo, tipicamente nazifascista, del “barbaro slavo”. La vergognosa legge del 2004 che istituisce il “giorno del ricordo” è il frutto istituzionale compiuto di quella convergenza.

Tra i tanti elementi di interesse del volume di Eric Gobetti, mi sembra, infine, assai rilevante l’analisi di una evoluzione interna dello stesso discorso dominante sulle foibe. Lo studioso descrive questa evoluzione mettendo a confronto due “fiction” (scelta assai giusta essendo il ruolo dei media determinante nell’”operazione foibe”): Il cuore nel pozzo (2005) e il più recente Rosso Istria. Nel primo le vittime della violenza “slavo-comunista” sono vittime italiane, colpite in quanto tali, nel secondo le vittime sono fascisti, orgogliosamente tali e non ci viene risparmiata neanche la visione dei nazisti liberatori. (Per la precisione storica le principali unità che “liberarono” l’Istria nel 1943 rispondevano ai significativi nomi di Leibstandarte SS Adolf Hitler e Gebirgsdivision SS Prinz Eugen). Questo slittamento semantico corrisponde a una fase in cui sempre più vengono legittimate anche istituzionalmente presenze inquietanti di chiara connotazione neofascista, dai fumetti della casa editrice Altaforte, ampiamente diffusi nelle scuole, a gruppi musicali di estrema destra le cui canzoni RAI Scuola offre quest’anno come materiale per il giorno del ricordo.

Assomiglia questo piano inclinato nazionale alla deriva di Istituzioni europee che declinano in successione l’equiparazione tra nazismo e comunismo, la serena accettazione delle sfilate celebrative delle SS baltiche e la valorizzazione dei nazisti nella giunta di Kiev?

Direi di sì, e bisognerà riparlarne.