di Marco Pondrelli
Alberto Bradanini è un ex-diplomatico che fra il 2013 ed il 2015 fu ambasciatore italiano a Pechino e inoltre Presidente del Centro Studi sulla Cina Contemporanea, va da sé che un suo libro sulla Cina desti attenzione in chi vuole approfondire la conoscenza di questo Paese.
Il libro si divide in due parti. La prima è una cronaca politica dei due viaggi che Pietro Nenni fece in Cina nel 1955 e nel 1971. Questi 16 anni presentano a Nenni una Cina molto diversa, Pechino nel ’55 aveva visto da poco trionfare la Rivoluzione di Mao Zedong (1949) ed era appena uscita dalla Guerra di Corea (1953). L’asse con Mosca era ancora in piedi ma già di notavano i primi scricchiolii che nel 1971, all’epoca del secondo viaggio che Nenni compie da ex Ministro degli Esteri, erano esplosi.
Sullo sfondo del secondo viaggio aleggia la figura di Nixon che si recherà in Cina l’anno successivo per una visita che era stata preparata, proprio nel 1971, dal viaggio segreto di Kissinger. Se in questo secondo viaggio Nenni vede cambiare il posizionamento internazionale della Cina (assieme all’ingresso nell’Onu essendo il suo seggio occupato da Taiwan), la politica interna è dominata dai colpi di coda della rivoluzione culturale e dalla banda dei quattro.
Nonostante le differenze ci sono due temi che tornano in questi due viaggi, da una parte il dirigente socialista cerca nel sistema cinese un’alternativa a quello sovietico, dall’altra parte c’è la volontà di rafforzare un terzo polo mondiale che possa permettere all’Europa di rivendicare la propria autonomia da USA e URSS, tema interessante anche per la dirigenza cinese, infatti ‘Zhou Enlai, già nel 1970, aveva auspicato un’alleanza tra Europa e Cina quale fattore necessario per la stabilità continentale’ [pag. 33].
Queste sono le riflessioni politicamente più significative di Pietro Nenni, ma il libro riporta anche alcune pagine degli appunti di viaggio. Sono passaggi molto significativi perché in essi l’anziano leader riflette non solo sugli incontri con i dirigenti cinesi, come Zhou Enlai, ma anche con studenti, lavoratori inframezzandoli anche con la descrizione della realtà cinese. È una parte del libro molto interessante, a prescindere dal giudizio storico che si può dare di Pietro Nenni è triste notare come oggi la politica italiana sia incapace di offrire personaggi di questa statura.
La seconda parte del libro è un’analisi della Cina contemporanea, rispetto alla quale è opportuno evidenziare due punti.
Il primo tocca il rapporto fra la Cina e l’Unione europea, se Nenni pensava ad un’Europa autonoma da Stati Uniti ed Unione Sovietica si può affermare che venuta meno l’URSS il ruolo di Washington non ha fatto che accrescersi, l’analisi dell’Autore fa piazza pulita della paure e delle speranze di chi vede la Ue pronta ad autonomizzarsi dagli USA per dialogare da potenza autonoma nel contesto di un mondo multipolare. Scrive Bradanini ‘la Cina ospiterebbe con entusiasmo un soggetto che alla forza economica (di cui l’Europa è in effetti dotata) potesse affiancare un’effettiva agibilità politica, irrobustendo quella dimensione multipolare delle relazioni internazionali che risponde ai suoi interessi. Si tratta tuttavia di un’ipotesi d’accademia, e non solo agli occhi di Pechino, poiché tale soggetto non esiste in natura’ [pag. 47].
La crescita cinese, quella che l’Autore definisce ‘revisionismo pacifico’ poggia non solo sulla crescita interna ma anche su un nuovo protagonismo internazionale. Da questo punto di vista, ed è il secondo punto da focalizzare, diviene centrale il rapporto sempre più stretto con la Russia. È qui che si consuma lo scontro con gli USA, come giustamente ricorda Bradanini, ‘Zbigniew Brzezinski […] afferma che per dominare il mondo occorre dominare la massa continentale euroasiatica’ [pag. 53]. L’aggressività statunitense si concentra quindi su due fronti, contenere la Cina ed impedire l’asse fra Russia ed Europa che potenzialmente potrebbe portare ad un continente unito in grado di legarsi alla Cina, ‘tale prospettiva relegherebbe gli Stati Uniti ai margini del cuore demografico, economico e fors’anche tecnologico del mondo’ [pag. 53].
La crisi ucraina va letta dentro questo scenario, questa è una guerra degli USA non solo contro la Russia ma anche contro l’Europa, che si è dimostrata incapace di costruire una propria autonomia strategica. Dall’altra parte l’astensione cinese in sede ONU rispetto alla condanna che il mondo occidentale ha espresso sulla Crimea (gli stessi che hanno bombardato Belgrado per l’autodeterminazione del Kosovo) è stato un importante segnale da parte di Pechino, nonostante i problemi interni (Tibet e Xinjiang) Mosca non è stata lasciata sola.
La Cina vuole fortificare l’asse euroasiatico attraverso la nuova via della seta che è un progetto destabilizzante per l’idea di mondo unipolare che difende Washington. La politica statunitense non si limita alla polemica politica, gli USA continuano ad avere la spesa militare più alta nel mondo ed afferma l’Autore ‘il pericolo per la pace e la stabilità del mondo non viene da una dittatura fascista o comunista, ma dal nostro principale alleato-padrone, che alimenta il mito di una nazione pacifica e rispettosa del diritto dietro al quale si nasconde un’oligarchia mai sazia di potere e ricchezze, che impone la propria forza imperiale attraverso 686 basi militari disseminate in 74 paesi (113 siti militari e 65-90 ordigni nucleari solo in Italia)’ [pag. 110].
L’Europa che dovrebbe essere protagonista in questo contesto euroasiatico non è, come si può ben capire, la Ue. L’Autore pensa ad ‘un ipotetico percorso alternativo di stampo confederativo fra stati sovrani'[pag. 102], capace di rompere con la gabbia tecnocratica e liberista costruendo un’unione rispettosa degli Stati nazionali. Un tema che ricorre anche nelle proposte di D’Attorre.
Per finire una breve riflessione sulla questione della libertà. Mi sembra di capire che per Bradanini sia questo il limite del sistema cinese ed anche russo ‘il cui contributo sarebbe ancora più apprezzabile – e riscuoterebbe maggior consenso anche in Occidente – se fosse accompagnato da una rilettura in chiave libertaria delle rispettive istituzioni ideologiche e politiche’ [pag. 110]. È un tema che aprirebbe spazio a riflessioni culturali, politiche e finanche filosofiche. Mi limito ad osservare come il dibattito sulla democrazia in Cina sia presente, in un interessante libro di Yu Keping, una delle menti più brillanti all’interno del PCC, ‘democracy is good thing’ (2011) egli sostiene che la strada democratica è obbligata. Ovviamente la Cina non ispirerà il proprio modello a quello occidentale (sui cui limiti molto ci sarebbe da dire) ma costruirà una democrazia ‘con caratteristiche cinesi’ in cui la partecipazione popolare e la legittimazione delle scelte politiche avranno un ruolo sempre più importante. L’obiettivo è una tappa importante nell’edificazione del socialismo con caratteriste cinese e mi sento di concludere affermando che un contesto internazionale di pace è condizione imprescindibile perché questo venga realizzato.