di Marco Pondrelli
La cifra di questo volume che raccoglie gli scritti di Ho Chi Minh, lo si può trovare nella prefazione della casa editrice, laddove si afferma che ‘il Presidente […] ha incarnato l’integrazione tra il vero patriottismo e il più fedele e trasparente internazionalismo dei lavoratori e della classe operaia’ [pagina I]. Sono concetti molto simili a quelli che animano la politica del Partito Comunista portoghese unire ad una idea di internazionalismo proletario la lotta patriottica, da non intendersi però come vuoto nazionalismo rappresentante un popolo senza classi ma, nella migliore tradizione leninista, la capacità di unire lotta di classe e lotta anti-imperialista.
I testi presi in esame coprono un arco di tempo che va dal 1946 al ’69, l’anno della morte di Ho Chi Minh. In questo periodo in Vietnam affronta e vince due guerre contro la Francia e contro gli Stati Uniti. Quelle presenti nel libro sono lettere che il Presidente vietnamita rivolge a statisti, a partiti, ad organizzazioni che si battono per la pace ed a semplici cittadini, in tutte le sue parole non c’è mai spazio per l’odio ma solo per la difesa dell’indipendenza del popolo vietnamita e la ricerca di una vera pace che non può essere figlia di una resa alle potenze imperialistiche. Scrivendo alla rappresentante di un’organizzazione delle donne francesi che manifestò, anche tramite atti di sabotaggio, contro la guerra in Indocina, Ho Chi Minh scrive ‘anche noi siamo così, amiamo il nostro paese e lo desideriamo indipendente e unito […] i francesi che hanno partecipato alla resistenza sono considerati eroi, perché i guerriglieri vietnamiti dovrebbero essere considerati ladri e assassini’, le conclusioni sono quanto mai attuali ‘non si possono civilizzare gli esseri umani con cannoni e carri armati!’ [pag. 22]. Su questa affermazione dovrebbero riflettere anche coloro i quali continuano a criticare il ritiro dell’Afghanistan rimpiangendo i bei tempi dell’occupazione…
Nella critica della politica francese, e poi statunitense, rimane sempre presente la lotta anti-imperialista, esemplare è quello che il Presidente scrive ai cittadini francesi d’Indocina ‘provate a chiedervi, mentre noi siamo ridotti così miseramente, chi trae beneficio…Forse il popolo francese e i francesi? No, la Francia non diventerà più ricca grazie allo sfruttamento coloniale, e neanche più povera senza tale sfruttamento. Per contro, le spese per le colonie gravano pesantemente sulle tasche dei francesi’ [pag. 3]. Anche questa riflessione ha una sua attualità, chi pagherà il conto della nuova guerra fredda? Gli stessi che pagato il costo di tutte le guerre, ovvero quel mondo del lavoro contro le cui rivendicazioni le guerre sono condotte.
La stessa posizione viene assunta ai tempi della guerra contro gli USA, se da una parte c’è una posizione forte e chiara ‘meglio morire che essere schiavi’ dall’altra c’è sempre una mano tesa al dialogo ed alla pace, alla Francia il Presidente vietnamita chiedeva di riscoprire i valori rivoluzionari, mentre agli Stati Uniti propone e ripropone i 4 punti per la pace: confermare di diritti basilari del popolo vietnamita, rispettare gli accordi di Ginevra del 1954 (ovverosia finché il paese sarà diviso le due regioni non devono instaurare alleanze militari con paesi stranieri), nessuna interferenza negli affari del sud e pacifica unificazione. Sono i 4 punti che nei fatti gli Stati Uniti accetteranno, conclamando così la propria sconfitta e l’inutilità della guerra.
Alla Francia ed agli USA la guerra è costata molto in termini di vite umane e di risorse ma il prezzo che il popolo vietnamita ha pagato non ha eguali, sono considerazioni che si tende a trascurare. Quando si parla del ritiro dall’Afghanistan si ricordano i 54 militari italiani morti ma raramente ci si ferma a citare gli oltre 150 mila civili afghani uccisi, in maggioranza dalla coalizione occidentale. Il messaggio che Ho Chi Minh manda alle potenze imperialiste è invece un messaggio di pace, noi non siamo felici di uccidere e di combattere vogliamo la pace ma, come detto, la pace non può essere confusa con la schiavitù.