di Marco Pondrelli
L’inverno del 1941-42 fu il peggiore durante i 900 giorni dell’assedio di Leningrado, la città doveva cadere per fame secondo i piani di Hitler. Le cronache riportano episodi inimmaginabili, testimoni che camminando vedono sei morti sulla strada e quando poco dopo ripassano ne trovano sette, in questa situazione infernale migliaia di vite erano attaccate a quella conosciuta come la ‘via della vita’ che passando attraverso il lago Ladoga riforniva di viveri la popolazione, nella prefazione Giambattista Cadoppi ricorda che ‘i tedeschi utilizzarono i MAS italiani studiati per invadere l’Inghilterra sul lago Ladoga’ [pag. 17], fu il vergognoso contributo italiano al criminale massacro della popolazione leningradese.
È difficile trovare le parole per descrivere l’assedio dell’odierna San Pietroburgo, così come l’invasione dell’URSS. I parlamentari europei che hanno votato la vergognosa risoluzione all’Europarlamento che accusava l’Unione Sovietica di essere corresponsabile dello scoppio della guerra, evidentemente ignorano (ma non è una colpa loro bensì del sistema educativo) cosa fu l’operazione Barbarossa. L’esempio per Hitler, come egli stesso scrisse nel ‘mein kampf’, era l’espansione verso ovest negli Stati Uniti, la conquista del lebensraum per gli USA fu il genocidio e la pulizia etnica dei nativi americani. Questa guerra, come in tutte le guerre coloniali, non è paragonabile a quelle combattute fra paesi ‘civili’. Lo stesso successe nel 1941, Hitler voleva conquistare il suo spazio vitale e le popolazioni slave, così come gli ebrei, dovevano essere sterminate, per quanto dura e crudele l’occupazione della Francia non può essere paragonata allo sterminio compiuto sul territorio sovietico. Il generale Halder l’8 luglio del 1941 annota sul suo diario: ‘l’inflessibile decisione del Fuhrer è di radere al suolo Mosca e Leningrado onde disfarsi interamente della popolazione di queste città’ [pag. 55].
È solo capendo la natura dell’aggressione fascista che si può comprendere quello che successe a Leningrado ed in Unione Sovietica, fu questo il fronte principale della guerra. È difficile, come sottolinea Cadoppi, mettere sullo stesso piano quello che successe ad El Alamein, dove la Germania aveva 12 divisioni, con quello che successo in URSS dove c’erano 226 divisioni. La vittoria sul nazismo è nella Patria dei Soviet e Leningrado ebbe un ruolo centrale.
La guerra combattuta fu una guerra di popolo, come sottolineano i due autori (che parteciparono alla difesa di Leningrado) ‘già i primi giorni di guerra dimostrarono che coloro che desideravano battersi con le armi in pugno contro i fascisti erano più numerosi dei richiamati alle armi’ [pag. 43], fra di essi vi era anche il compositore Šostakovič arruolatosi volontario nella milizia popolare. Come scrisse Von Clausewitz ‘quanto più grandiosi e forti sono i motivi della guerra, quanto maggiormente essi abbracciano gli interessi vitali dei popoli […] tanto maggiore diviene la collimazione fra lo scopo politico e quello militare1‘. I sovietici sapevano di dover combattere per la propria Patria e per la propria libertà, questo spirito venne notato anche dai nemici, il generale feldmaresciallo ‘Manstein scrisse nelle sue memorie: «Hitler sperava di poter costringere Leningrado e la sua popolazione a capitolare con l’assedio e la fame. Ma i Soviet annullarono i suoi piani»’ [pag. 118]. In questo contesto il Partito e l’organizzazione giovanile Komsomol diedero un contributo fondamentale.
Riconoscere che quella combattuta contro gli invasori fu una guerra di popolo non vuole dire però, come fa Salisbury2, negare i meriti dei dirigenti sovietici. Già dai primi giorni partirono i lavori di fortificazioni e si pianificarono i piani di difesa, l’idea di un Paese senza guida è falsa. Per screditare la leggenda di uno Stalin in preda alla disperazione Domenico Losurdo, oltre a ricordare che fra maggio e giugno furono richiamati più di 800.000 riservisti ed a descrivere l’attività successiva all’invasione come estenuante ma ordinata, cita Schneider, docente in un accademia militare statunitense, che definisce Stalin come ‘il primo vero stratega del ventesimo secolo3‘. Simbolo di questa unità di spirito, di abnegazione popolare ed organizzazione fu la già citata ‘via della vita’ che riuscì a rifornire di viveri una città stremata. Una guerra combattuta anche da chi era stato colpito del sistema sovietico, tutte cose ignorate , volutamente o meno difficile dirlo, da Salisbury il cui libro è duramente criticato dai due autori. Aggiungo una nota di colore a queste critiche, scrive il giornalista statunitense che Stalin si lamentò della presenza del generale d’artiglieria Ivan Susloparov alla firma della capitolazione tedesca a Rheims, scrive Salisbury: ‘perché mai il maresciallo Voronov aveva permesso al suo subordinato di firmare un documento di così profondo significato internazionale senza ordini diretti da Stalin? Che razza di gente aveva Voronon, nelle file della sua artiglieria? […] Stalin annunciò che avrebbe ordinato a Susloparov di fare immediatamente ritorno a Mosca «per essere severamente punito», il che, nel linguaggio di Stalin, significava il plotone d’esecuzione4‘. L’Autore dimentica di dire che Ivan Alekseevič Susloparov morì nel 1974 e non certo davanti ad un plotone d’esecuzione.
Leningrado fu uno scontro durissimo con un prezzo pagato, in termini di vite umane, spaventoso ma nonostante questo l’amore dei russi per la cultura non si fermò, è difficile credere che mentre succedeva quello che le pagine di Kizlizyb e Zubakov narrano all’Ermitage, nel 1941, venne ricordato il quinto centenario della nascita del poeta uzbeko Alisher Navoi e successivamente venne eseguita la Sinfonia n. 7 di Šostakovič conosciuta come Leningrado e composta durante l’assedio. Le scuole rimasero aperte è, come notano gli Autori, anche i bambini proseguendo il loro studio diedero un contributo fondamentale alla sconfitta del nazifascismo.
Le stesse forze che si mobilitarono contro gli aggressori si mobilitarono successivamente per ricostruire la splendida città che ancora oggi possiamo ammirare.
Il libro di Kizlizyb e Zubakov con la prefazione dello storico Michail Talalay e l’introduzione di Giambattista Cadoppi è una preziosa testimonianza del coraggio del popolo sovietico, da consigliare caldamente ai tanti revisionisti nostrani.
Note:
1 Von Clausewitz Karl, Della guerra, Arnoldo Mondadori Editori, Milano, 2005, pag. 38.
2 Salisbury Harrison E., I 900 giorni. L’epopea dell’assedio di Leningrado, il Saggiatore, Milano, 2014.
3 Losurdo Domenico, Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, Carocci editore, Roma, 2008, pag. 36.
4 Salisbury Harrison E, op. cit., pag. 675.