
di Marco Pondrelli
Nel desolante quadro delle pubblicazioni accademiche sul conflitto ucraino il libro di Salvatore Minolfi rappresenta un’eccezione positiva. Non siamo in presenza di un testo condizionato da vuoti slogan ideologici, né tantomeno di un’analisi che sceglie come anno zero il 24 febbraio 2022. Le origini della guerra russo-ucraina sono molto precedenti agli ultimi avvenimenti, il fatto che il dibattito in Italia abbia ignorato un conflitto che dal 2014 al 2022 aveva ‘mietuto circa 14.000 vittime’ [pag. 17] non esime dall’indagare in profondità le cause del conflitto.
L’Autore retrodata ‘l’anno zero’ al 1989, a fronte della crisi del modello sovietico, che di lì a poco sarebbe crollato, si confrontano in Occidente due ipotesi: da una parte c’è chi vede la possibilità in Europa della costruzione di un modello di sicurezza collettiva figlio della Ostpolitik e dall’altra si delinea la posizione di chi vuole incassare i dividendi della vittoria nella guerra fredda. La sopravvivenza della NATO seguita dal suo allargamento, prima all’ex Germania Est poi agli altri Paesi del disciolto Patto di Varsavia chiarisce quale fu la posizione che uscì vittoriosa.
Come messo bene in evidenza da Minolfi, Brzezinski ne ‘La Grande Scacchiera’ illumina rispetto alla politica estera che gli USA avrebbero dovuto seguire. Rispetto all’Ucraina, l’ex consigliere per la sicurezza, affermò che senza di essa ‘la Russia avrebbe cessato di essere una potenza europea’ [pag. 46]. Va però detto che nello stesso periodo dentro all’establishment statunitense si levavano voci dissonanti. Interessante fu la posizione di George Kennan il teorico del contenimento sovietico, il quale considerò la scelta di espandere la NATO sbagliata. Le sue posizioni, a cui fece seguito una lettera firmata da ‘cinquanta esponenti di primissimo piano della politica estera e di sicurezza americana’ [pag. 50], interpretavano questa scelta come l’apertura di un nuovo scontro con la Russia che avrebbe potuto portare ad una guerra calda.
Spesso e volentieri la stampa italiana presenta il discorso di Putin del 2007 a Monaco come un attacco all’Occidente, in quel momento la Russia avrebbe virato verso una politica aggressiva. Nulla di più falso! Il discorso di Putin fu la risposta alle politiche statunitensi, dopo l’11 settembre gli USA erano intervenuti in Afghanistan e Iraq, qui non solo avevano scatenato una terribile guerra d’invasione sulla base di false prove ma avevano diviso l’Europa. La ‘nuova Europa’ composta in prevalenza dagli Stati dell’est era la parte più aggressiva, si trattava dei Paesi appena entrati nella NATO. A queste scelte si aggiunse la scelta di Bush jr. di ritirarsi dal trattato ABM ‘per trent’anni pilastro fondamentale della distensione tra le due potenze nucleari’ [pag. 66]. Il discorso nel quale Putin chiede di fermare questa deriva e nel quale vede come necessità non più rinviabile la costruzione in un mondo multipolare arriva dopo tutto ciò.
In questo scenario si colloca il primo tentativo di aprire le porte dell’alleanza atlantica a Georgia e Ucraina, l’ambasciatore statunitense a Mosca scrisse ‘la aspirazioni NATO dell’Ucraina e della Georgia non solo toccano un nervo scoperto in Russia, ma generano serie preoccupazioni sulle conseguenze per la stabilità della regione’ [pag. 81], il punto è che la destabilizzazione è la cifra politica di Washington. Lo scoppio della crisi ucraina fu attentamente perseguito, gli Stati Uniti voleva bloccare il rapporto fra Germania e Russia. In questo passaggio fu centrale la posizione dell’Ue, l’Ucraina fino al lancio del partenariato orientale manteneva aperti i rapporti sia con l’Europa che con la Russia, mentre il nuovo corso ‘segnava senza dubbio un cambiamento rilevante, sia nelle modalità che nella profondità delle relazioni con i paesi partners‘ [pag. 115]. Questa scelta aveva una finalità ben precisa, fare saltare il fragile equilibrio interno all’Ucraina, tutto ciò ha portato al colpo di Stato del 2014 (ben descritto da Minolfi), che nei fatti era un attacco alla Russia. La scelta di annettere la Crimea per l’Autore rappresenta una scelta di non ritorno per la Russia.
Il ritiro (o meglio la fuga) da Kabul non fu la molla che fece scattare l’aggressività russa, furono gli USA a decidere che la priorità spettava ad un altro settore, ‘il 31 agosto, mentre a Kabul si imbarcava l’ultimo soldato americano, a Washington si firmava l’impegnativo “U.S.-Ukarine Strategic Defense Framework”, che segnava un nuovo inizio della cooperazione strategica con Kyiv’ [pag. 212]. La conseguenza di tutto ciò è che si è aperta una ‘fase costituente dell’ordine mondiale’ [pag. 214], Cina e Russia sono il nemico, gli avversari dichiarati in quanto agli occhi di Washington sono le potenze revisioniste, che vogliono chiudere la stagione unipolare per aprire quella di una nuova fase multipolare e democratica.
Il libro di Salvatore Minolfi è un’analisi seria e attenta non solo delle cause del conflitto ucraino ma anche della grandi questioni globali, sarebbe utile che questo libro venisse conosciuto dal grande pubblico perché solo un popolo informato oggi può fermare la deriva guerrafondaia.
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