di Marco Pondrelli
Nel recensire il libro di Pier Giorgio Ardeni, Albereto Orioli su ‘il sole 24 ore’ del 29 settembre parlava di un libro in ‘bianco e nero’. Secondo Orioli l’Autore vuole dimostrare che il conflitto di classe abbia ancora senso, collocandosi in questo sull’onda ‘lunga di rivalsa sulla celebre frase di Margaret Thatcher che ne segnò per lungo tempo le sorti: «La società non esiste, esistono solo gli individui»’. La risposta più chiara a queste obiezioni, che tendono a sostenere la tesi della fine delle classi, la diede Warren Buffett, quando affermò che la lotta di classe esiste ancora e a vincerla è la sua classe, quella dei padroni (se ancora la parola può essere usata).
Il limite delle analisi che si rifanno alle idee della Thatcher o di Blair sulla fine della lotta di classe è l’incapacità di analizzare la realtà, approcciandosi ad essa non per capire ma per trovare sostegno alla loro tesi che, sia detto senza polemica, più che il bianco e nero ricordano il cinema muto. Il rifiuto della centralità delle classi sociali tocca anche ‘filosofi-terrapiattisti’ come Žižek o Badiou ma anche opere che negli ultimi anni sono state apprezzate presentando posizioni critiche verso le convinzioni neoliberista (Piketty e Graeber) [pag. 12]. Citando il finale de ‘i soliti sospetti’ si potrebbe affermare che ‘la più grande beffa che il Diavolo abbia mai fatto al mondo è stata quella di convincere tutti che non esiste‘.
L’analisi di Ardeni inizia con una premessa metodologica, cos’è la classe viene spiegato partendo dalle analisi di Marx e Weber. Proseguendo nella sua analisi nella storia della classi sociali in Italia diventano centrali le analisi di Sylos Labini ‘il primo tentativo di collegare e corroborare una teoria della struttura di classe coi i dati statistici temporanei’ [pag. 36], il quale arrivava alla conclusione, 50 anni fa, che in Italia si era formato un vasto ceto medio.
Dopo avere ricostruito la storia sociale e politica l’Autore mette in luce i cambiamenti della società italiana, passando da una società agricola, ad una industriale per approdare al terziario e al rafforzamento della classe media, quest’ultima ha ‘alimentato il mito che in una società senza classi, in cui non vi sono barriere, ciò che conta per l’ascensione sociale sono il merito, la competenza, la predisposizione, l’impegno e solo quelli, null’altro’ [pag. 142]. La meritocrazia è divenuta lo strumento per bloccare e giustificare le diseguaglianze sociali che continuano ad esistere. In realtà nella nostra società permangono differenze frutto del genere, del territorio e dell’istruzione. Nell’Italia contemporanea ci troviamo in una situazione in cui ‘la mobilità verso le classi alte si è ridotta, mentre è aumentata la mobilità verso il basso dalle classi medie’ [pag. 159].
In questa contesto di crescita della povertà e delle diseguaglianza la grande assente è la politica, meglio ancora potremmo dire che il grande assente è il conflitto. La controffensiva contro il mondo del lavoro partita negli anni ’80 ha trovato la propria consacrazione nel 1992 con la nascita dell’Europa di Maastricht, per quanto riguarda l’Italia questi 30 anni hanno portato ad un drastico calo dei salari e anche dei diritti. Scrive l’Autore ‘vi sarebbero tutte le ragioni per fare, ad esempio, dei precari «una classe esplosiva»’ [pag. 234], purtroppo gli stessi partiti della sinistra hanno aderito ‘pur nella differenza delle posizioni a un certo “interclassismo”’ [pag. 236].
Ascoltando il dibattito politico si coglie una convergenza pressoché unanime di tutte le forze politiche rispetto alla necessità di sostenere il ceto medio, la classe lavoratrice è scomparsa dai radar della politica. Personalmente condivido questo ragionamento aggiungendo che la politica deve tornare alla parzialità, deve rappresentare una parte e non nascondersi dietro parole d’ordine falsamente universaliste, che nei fatti danno voce solo alla parte più ricca della società il crescente astensionismo elettorale si spiega così, non è la ‘gente’ genericamente intesa che non va a votare sono le classi sociali più deboli, il mondo del lavoro, i precari, i disoccupati che non hanno un referente politico.
Il libro di Pier Giorgio Ardeni può essere considerato in bianco e nero perché come il cinema neorealista italiano offre un’analisi vera ed azzeccata delle classi sociali oggi in Italia dove ‘la conflittualità sociale è scemata fino ad essere ricondotta a mera schermaglia salariale, il più possibile individualizzata: élite e padronato da un lato, lavoratori dall’altro, uno per uno, ognuno a negoziare le proprie condizioni’ [pag. 255]. Ci sono ancora gli sfruttati e gli sfruttatori ma purtroppo i primi non sono difesi e non sono rappresentati.
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