di Maria Morigi
Interpretando l’esigenza di lettori non specialisti e non abbastanza informati sulla realtà cinese, penso che davvero mancava nel panorama editoriale un saggio di questo genere e livello. Infatti il lavoro di Fabio Massimo Parenti ha il pregio di affrontare gli argomenti in modo flessibile e offre le armi “tecniche” e informative per capovolgere nel suo insieme il quadro accusatorio della narrazione occidentale sulla Cina. Come evidenziato nell’introduzione di Shaun Rein, vengono smentiti molti banali stereotipi radicati nell’opinione comune occidentale: e cioè che i cinesi comuni abbiano subìto il “lavaggio del cervello” al fine di sostenere il Partito Comunista Cinese, che la Cina copi idee altrui senza innovare, e che addirittura l’abilità tecnologica della Cina sia molto arretrata rispetto a quella di un Occidente dotato “per natura” di capacità imprenditoriali e vocazione tecnologica.
Quello che emerge dalle pagine del libro è la percezione del mutamento dell’ordine liberale mondiale. Mutamento con cui, volenti o nolenti, dovranno confrontarsi anche “i nostalgici” rimasti ancorati ad una visione statica dell’egemonia statunitense. Per essere più espliciti: la globalizzazione neoliberale ha promosso processi di liberalizzazione e privatizzazione a livello planetario, ma nel contempo ha acuito diseguaglianze, ha provocato destabilizzazione, cicli sistemici di crisi finanziarie ed economiche, guerre “umanitarie” e cambi di regime. Tutto con la scusa della guerra al terrorismo in funzione anticinese, antirussa, anti-iraniana ecc.. Oggi la globalizzazione neoliberale mostra i suoi limiti e, avendo promosso una crescente riduzione dell’intervento statale in economia, ha ridotto il ruolo della politica a portavoce degli interessi delle comunità di affari. Al contrario, la forza costruttiva della globalizzazione con caratteristiche cinesi, presente nell’idea di “costruzione di una comunità umana dal destino condiviso”, oltre a mettere a nudo i difetti e le debolezze strutturali accumulate dall’Occidente, propone e pratica maggiore interconnessione attraverso strategie di investimento e cooperazione, sviluppo di aree depresse, stabilizzazione di regioni strategiche, collegamenti più veloci ed efficienti.
Due modelli, quello occidentale e quello cinese, assolutamente diversi che percorrono binari spesso antitetici: unilateralismo degli USA contro multilateralismo della Cina, iper-competizione contro cooperazione-mutuo beneficio, interessi del capitale contro interessi delle società, individualismo contro collettivismo. A tal proposito si veda il Capitolo 3 del libro dedicato alla Belt and Road Initiative (BRI), centrata sull’interconnessione geografica e sul perseguimento di sviluppo pacifico e cooperazione tra popoli, nel rispetto della sovranità e dell’autonomia degli Stati. Le argomentazioni pacate e ragionevoli di Parenti dovrebbero convincere anche i più sospettosi allarmisti ad evitare il panico che invece è alimentato da Washington nel denunciare, ad esempio, l’inevitabile (e disastrosa) caduta nelle “trappole del debito” o a fomentare terrorismo e accuse di violazione dei Diritti Umani da parte di chi difende, come fa la Cina, la propria integrità territoriale.
Si veda anche il Capitolo 5 sulla pandemia Covid, in cui vien fatta giustizia delle accuse rivolte alla Cina e rivendicata la disponibilità cinese agli aiuti per gli Stati più deboli e disagiati , oltre che l’interesse per una vera cooperazione sanitaria internazionale finalizzata alla ricerca sul vaccino.
Ma gli stereotipi anti-cinesi, a mio avviso, si collocano in un quadro più ampio di ignoranza della Storia e di pregiudizi a sfondo antropologico, per non usare la brutta parola di “razziale”, quasi fossero passati senza conseguenze secoli di presunta superiorità coloniale in cui la Cina è stata umiliata e depredata, poi un lungo periodo di diffidenza nei confronti dei successi politico-sociali della rivoluzione maoista, per approdare all’attuale fase di sospetto verso il “Socialismo con caratteristiche cinesi” cui sembra non si perdoni di aver riscattato il Paese dalla povertà.
Pregiudizi che fanno parte, con ogni evidenza, del famoso “scontro di civiltà”, su cui tornerò alla fine di questa recensione, convinta come sono, insieme con Parenti, che il modello della democrazia liberale non è il solo modello perseguibile per un’Etica dei diritti e Pechino sta mostrando alla comunità internazionale una nuova visione: “Se confrontati con quelli della modernità occidentale, i valori cinesi evidenziano quattro caratteristiche: 1. la responsabilità viene prima della libertà; 2. il dovere viene prima dei diritti; 3. il gruppo è superiore all’individuo; 4. l’armonia è superiore al conflitto”[1]. Nonostante l’universalità dei diritti umani si fondi sul valore della dignità umana e norme morali condivise, in realtà non esiste alcun modello che sia universalmente applicabile poiché i diritti umani possono progredire soltanto nel contesto delle condizioni nazionali e dei bisogni delle persone.
Evitando di inoltrarmi su terreno economico-tecnico, estraggo un tema che getta luce sul “sistema – Cina” e nel contempo spiega l’ ostilità delle élite occidentali, spaventate dall’idea di perdere influenza nella governance mondiale. Il tema è la Democrazia e le domande sono: come funziona in realtà il sistema politico cinese descritto dall’ Occidente come anti-democratico? Come si spiegano gli alti livelli di consenso popolare al sistema? La risposta è che la Cina non ignora affatto il problema, al contrario sono praticate varie forme di democrazia, ovvero “democrazia a posteriori”, “democrazia consultiva”, “meritocrazia politica verticale”.
La “democrazia a posteriori” è connotata da efficienza esecutiva, perseguimento di obiettivi comuni per il benessere collettivo. L’efficacia delle politiche è il parametro utilizzato nella selezione del personale politico che deve poter garantire qualità etiche, esperienze e competenze. In Cina la procedura di selezione della classe politica non avviene secondo il principio “una testa, un voto”, se non a livello di piccoli centri e di assemblee locali di villaggio in cui dagli anni ’80 è stato introdotto il suffragio universale. A tutti i livelli amministrativi, la selezione delle autorità è estremamente rigida e l’esercizio dell’autorità viene costantemente monitorato da sottoposti, pari e superiori, al fine di garantire l’esecuzione qualificata dei progetti insieme ad alti livelli di rappresentanza e competenza. La pratica della “democrazia consultiva” si esprime nella Conferenza Consultiva Politica del Popolo Cinese (CPPCC) che garantisce l’ interazione tra il Partito e le istanze provenienti “dal basso”: i membri del Partito ricevono consigli, suggerimenti e anche critiche da parte dei rappresentanti della società civile, appartenenti a diversi settori professionali. Si creano gruppi e commissioni che elaborano analisi e proposte. Da qui discendono i piani di sperimentazione di nuove politiche, esperimenti pilota, ma anche correzione delle politiche in atto, nonché sviluppo di strategie e processi di pianificazione. La terza componente è rappresentata dalla “meritocrazia politica verticale” poiché “… i buoni risultati discendono da un sistema che premia il conseguimento degli obiettivi strategici, l’acquisizione di competenze e il soddisfacimento dei bisogni popolari. Da qualsiasi posizione statale, amministrativa o politica, si ascende a una posizione superiore con maggiori responsabilità, solamente se si fa bene. Viceversa, in caso di mala gestione, si retrocede.” (pag 26).E giustamente l’autore mette in risalto concretezza, pianificazione, coordinazione e investimenti pubblici di progetti tesi a migliorare standard di vita, sviluppo e convivenza tra etnie, specie in Regioni Autonome.
Concludo con una riflessione su ciò che mi lega a Parenti, fin da quando apprezzò il libro “La Perla del Drago, Stato e Religioni in Cina” (Anteo Ed. 2018) in cui, con le armi poco efficaci di una visione culturale antropologica, mi opponevo alla semplificazione di chi, proprio da economista – ma di tutt’altra scuola rispetto a Parenti! – sbrigativamente sosteneva che “i cinesi sono atei e materialisti”.
Rivendicavo alla Cina non solo un’ ottima tutela delle varie religioni riconosciute per Costituzione, ma anche un retaggio di tradizioni, civiltà e costumi che avevano persino cercato di adattarsi ai valori occidentali, rimanendo tuttavia – nei loro fondamenti – peculiari e caratteristici della civiltà cinese, anche dopo aver acquisito il Marxismo. Affermavo che, nel giudicare la Cina, era necessario abbandonare pregiudizi, ma anche praticare uno “spostamento di sguardo” rispetto alla visione unilaterale della Storia eurocentrica; mi pareva di non poter rinunciare al riconoscimento delle diversità culturali per affrontare in modo utile le sfide del prossimo futuro. Citavo libri di antropologi francesi e studiosi nel campo di storia delle religioni, citavo le trasformazioni di linguaggio avvenute a contatto col mondo occidentale, tutti argomenti con cui speravo di abbattere modi di pensare consolidati… beh, il primo ad apprezzare il mio sforzo da archeologa (amante delle prove concrete, piuttosto che dei dibattiti ideologici) è stato proprio Fabio Massimo Parenti, geografo di formazione ed economista eterodosso di rilievo esperto di Cina, il quale dandomi manforte sostenne che, se le civiltà e i popoli non faranno un reciproco sforzo di comprensione e accettazione in vista di comuni obiettivi, non andremo da nessuna parte ma rimarremo succubi di versioni del mondo “pre-fabbricate” e vittime di quel lavaggio del cervello che ancora in molti tentano di attribuire al Popolo cinese.
Leggete in questo modo la copertina del libro: per gli antichi taoisti e il pensiero confuciano la Costellazione Polare rappresenta sia la Quinta Dimensione – il Cielo – che la Via indicata dal Cielo, ovvero il “Mandato Celeste” fonte dell’ Autorità Unica che si incarna nell’Imperatore, strumento e interprete dell’Autorità dello Stato. Concetto che Mao Zedong, per farsi comprendere dalle masse, trasformò in “Mandato Terrestre” volto all’obiettivo finale della liberazione del Popolo che acquista così l’esercizio primario del Potere. Pensate anche quale varietà di autorità hanno visto gli occidentali nel corso della loro Storia… legislatori e tiranni, papi e imperatori, re e signori feudali, partiti politici di ogni schieramento in gara per le poltrone… roba da far perdere la bussola ad un cinese qualunque!
E grazie, Fabio, per questa ottima guida a capire la Cina e le trasformazioni del mondo.
Note:
- Chen Lai, studioso dell’Università Qinghua di Pechino, in un articolo apparso sul Quotidiano del Popolo il 4 marzo 2015 dal titolo “Conosciamo i valori distintivi della Cina”