La sporca guerra contro la Siria. Washington, regime e resistenza. Tim Anderson

di Marco Pondrelli

Il libro del ricercatore australiano Tim Anderson, uscito nel 2016, avrebbe meritato di essere discusso e commentato diffusamente anche in Italia, purtroppo così non è stato, ma non c’è da stupirsi quando l’Europa affida a Gianni Riotta il compito di scovare le fake news.

L’Autore dedica questo suo lavoro alla guerra in Siria. Questa guerra ha riprodotto lo schema che gli USA utilizzarono in Afghanistan durante l’intervento sovietico. Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno messo i soldi, la Turchia si è occupata della logistica (ovverosia di permettere ai terroristi di raggiungere il Paese), gli USA hanno guidato ‘da dietro’ come piaceva al premio Nobel per la Pace Barack Obama e i tagliagole dell’Isis hanno fatto il lavoro sporco. L’obiettivo era quello di rovesciare un governo legato alla Russia e parte integrante della cosiddetta mezzaluna sciita.

Per raggiungere questo obiettivo si è stretta un’alleanza, così come si fece in Afghanistan, con il terrorismo wahhabita e con i fratelli musulmani, che rappresentano la parte più pericolosa presente nella regione.

Volutamente non parlo della parte più pericolosa dell’Islam perché, come sottolinea Anderson, ‘dispotismo e settarismo sono creazioni prevalentemente politiche, più che espressioni religione’ [pag. 99]. La proiezione dell’Occidente nelle colonie ha sempre visto un’alleanza con la parte più reazionaria ed anti-moderna unita alla repressione di tutti i movimenti democratici e progressisti, così come in passato l’Arabia Saudita fu l’argine per contenere Nasser oggi è l’alleato più importante per contenere l’Iran. Trovo ipocrite le critiche a Matteo Renzi per la sua comparsata accanto a Bin Salman, lungi da me volere difendere l’ex ‘rottamatore’ mi chiedo però come mai non si rimette in discussione la nostra politica estera nella regione o perché in passato non abbiamo avuto dubbi morali a vendere armi ai sauditi, armi con cui in Yemen è stata combattuta una guerra feroce, che hanno ucciso civili innocenti.

Spesso, parlando di Siria, la risposta a queste obiezioni era che il vero alleato dell’Isis era Assad mentre l’Occidente sosteneva fantomatici ‘ribelli moderati’. Prove alla mano l’Autore demistifica questa affermazione rivelando come gli Stati Uniti abbiano rifornito di armi l’Isis [pag. 237], nel 2014 l’allora vice Presidente Biden affermò: ‘che Turchia, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita «erano così decisi ad abbattere Assad…da riversare centinaia di milioni di dollari e decina, migliaia di tonnellate di armi nelle mani di chiunque fosse disposto a combattere contro Assad…[compresi] al-Nusra e al-Qaeda ed elementi estremisti del jihadismo provenienti da altre parti del mondo…[e in seguito] questa organizzazione chiamata ISIL»’ [pag. 233]. Le posizioni di Biden esprimevano bene la linea politica statunitense, che le mail della Clinton pubblicate da Wikileaks spiegano in modo ancora più crudo. L’ISIS sta aiutando gli USA nell’attuazione del progetto di un nuovo medioriente per cui, anche se non è il prodotto della democrazia elvetica, è un alleato.

Il tentativo di ridisegnare gli equilibri geopolitici della regione si scontrò con il governo di Assad, che non era solo un avversario statuale ma rappresentava anche un modello socio-economico non allineato al Washington consensus, così come l’Iran, il Libano ed anche l’Iraq. Tim Anderson afferma che il sistema siriano ‘per quanto socialmente inclusivo, rimaneva anche un sistema autoritario a partito unico condizionato dalla guerra contro Israele e da periodiche insurrezioni violente da parte dei Fratelli Musulmani’ ma allo stesso tempo le politiche governative avevano fatto scendere dal 1970 al 2010 la mortalità infantile ‘da 482 a 45 casi su 100.000’ [pag. 66], oltre ad altri positivi risultati che nel libro sono citati. Queste politiche avevano fatto crescere il consenso per Assad, la stessa NATO calcolava, in uno studio interno del 2013, che ‘il 70% dei siriani appoggiasse il presidente, che il 20% fosse neutrale e il 10% appoggiasse i «ribelli»’ [pag. 79].

La guerra contro la Siria non è stata combattuta solo sul terreno ma anche grazie all’informazione. Fin da subito la grande stampa si è schierata, lo ha fatto ignorando alcune fonti non allineate e dando spazio solo alle voci anti-Assad. Solo per riportare alcuni esempi un testimone anonimo che si cela sotto lo pseudonimo di ‘Caesar’ (personalmente lo ricordo citato da Formigli) diffonde foto di presunti crimini del governo siriano, ma in realtà oltre a non essere attendibili le foto la stessa fonte non lo è, essendo espressione di uno dei belligeranti. Si può citare anche anche Kenneth Roth di Human Right Watch che ha pubblicato foto di massacri attribuendoli ai ‘barili bomba’ dell’esercito siriano, successivamente si è scoperto che le foto erano state scattate a Gaza per documentare i crimini israeliani.

Rispetto agli attacchi con armi chimiche il New York Times parlò di prove certe del coinvolgimento governativo ma poi, dopo una ricerca del MIT, fu costretto a ritrattare, nonostante questo oggi in televisione è normale accusare Assad di avere usato armi chimiche, quando le prove indicano che sono stati i ribelli a farlo. La stampa dovrebbe approfondire ma in realtà si siede in modo acritico sopra la versione di una delle due parti, arrivando ad affermazione comiche come quella di Roberto Saviano che sostiene che i gas ‘hanno una consistenza gelatinosa’, evidentemente l’Occidente non contento di riscrivere le regole del diritto internazionale vuole riscrivere anche quelle della chimica.

In questa guerra mediatica hanno ‘brillato’ non solo i media ma anche le ONG. Amnesty International e Human Right Watch sono state in prima file, in particolare a questa seconda associazione Anderson rimprovera il continuo passaggio (che lo porta a parlare di ‘porte girevoli’) con il Dipartimento di Stato statunitense, mentre Amnesty International invitava la NATO a continuare con i suoi progressi in Afghanistan. Si potrebbero citare anche i ‘caschi bianchi’ divenuti gli idoli dei ‘liberal’ nostrani, i quali accusarono la Russia di avere ferito una bambina durante un’incursione salvo poi scoprire che la foto era stata scattata prima dell’intervento russo [pag. 152].

Il modello di guerra alla Siria è stato simile a quello afghano, mentre in pubblico si parla di ‘democrazia’, ‘diritti umani’ o ‘difesa delle donne’ in realtà sul terreno si faceva l’opposto, uccidendo civili innocenti, torturando e mentendo. Lo stesso si è fatto in Libia dove la sinistra liberal ha dato un’ulteriore pessima prova, Noam Chomsky chiese un intervento militare così come venne fatto in Italia da figure storiche della sinistra ma, come ricorda l’Autore, le vittime della guerra sono state enormemente superiori a quelle della prima fase del conflitto (fra cui vanno annoverati anche i sostenitori di Gheddafi).

A 10 anni dall’esplosione delle ‘Primavere arabe’ possiamo affermare che il tentativo statunitense di riscrivere la mappa mediorientale è fallito, le sconfitte in Siria, in Iraq ed in Afghanistan dimostrano che il mondo unilaterale è fallito e l’unica possibile alternativa è un sistema multipolare che rimetta al centro il diritto internazionale e il rispetto della sovranità statuale.