La rivoluzione egiziana. Gamal Abd El-Nasser

di Marco Pondrelli

La figura di Nasser rimane vitale ed importante nel mondo arabo, a partire dall’Egitto, quanto poco conosciuta in Occidente. Il ruolo che egli ricoprì dal ’52 al ’70, anno della morte, è pero centrale per capire l’Egitto ed il mondo arabo contemporaneo.

La cosiddetta rivoluzione dei ‘liberi ufficiali’ inizialmente capitanata dal generale Mohamed Naguid ebbe luogo il 23 luglio del 1952 e fu accolta con freddezza dall’Unione Sovietica, anche l’Unità in Italia il giorno successivo prospettava uno scontro indiretto fra Regno Unito e Stati Uniti. In realtà essa fu un pezzo importante del grande movimento anti-colonialista.

Alla base della lotta che presto sarebbe stata guidata da Gamal Abd El-Nasser c’era la ricerca dell’indipendenza nazionale non solo formale ma sostanziale, creare uno Stato sovrano voleva dire adottare una Costituzione ma anche liberare il paese dall’ingerenza inglese. È indubbiamente vero che l’Amministrazione Kennedy credette di poter dialogare con Nasser, pensando che egli potesse rappresentare una prospettiva progressista ancorata al campo occidentale, ma queste speranze furono presto frustrate da una politica che posizionò saldamente l’Egitto fra i paesi non allineati portando anche ad una collaborazione proficua con l’Unione Sovietica.

La prospettiva che Nasser offre nei testi e nei discorsi riportati nel libro parte dall’analisi della situazione internazionale, l’Egitto fa parte del mondo arabo e dell’Africa. In questo contesto la guerra contro Israele del 1948 rappresentò un passaggio in cui le nazione arabe tentarono di ‘tutelare la propria integrità territoriale’ [pag. 54]. I nemici per Nasser divengo l’imperialismo inglese ed il sionismo, contro i quali combatterà ancora del ’56 e nel ’67, egli scrive: ‘la forza dell’imperialismo […] stringe tutta la zona araba in un assedio soffocante ed invisibile’ [pag. 58].

La risposta non può essere solo una risposta di difesa nazionale ma di lotta internazionalista, sia nel mondo arabo che nel resto del mondo, come scriverà nel 1967 ‘come nel Vietnam la lotta popolare sarà ovunque’ [pag. 86].

Unità, libertà e socialismo hanno guidato la politica di Nasser, questa politica trovò terreno fertile nella lotta del mondo arabo, ma il panarabismo non ha generato settarismo o peggio ancora radicalismo religioso, ‘all’inizio della rivoluzione, nel 1948, in Palestina il mussulmano era al fianco del cristiano […] quando subimmo l’aggressione nel 1956, i proiettili dei nemici non fecero nessuna distinzione tra mussulmani e cristiani’ [pag. 78].

C’è un tratto distintivo nella risposta occidentale alle lotte come quella combattuta da Nasser, l’Occidente ha sempre avversato i movimenti progressisti e si è sempre ritrovato fianco a fianco della parte più reazionaria dei paesi sfruttati, un esempio su tutti lo troviamo oggi con la condanna dell’Iran ed il sostegno all’Arabia Saudita. Se non fosse drammatico sarebbe comico l’attacco che viene portato alla Repubblica Islamica mentre senza problemi ci si riferisce all’esperienza saudita invocando il ‘Rinascimento’. Quello che non si tollera dell’Iran contemporaneo, così come non lo si tollerava dell’Egitto di Nasser, è la sua propensione anti-coloniale ed anti-imperialista.

Il rafforzamento dei fratelli mussulmani in Egitto o del terrorismo wahhabita ha le sue radici nella sconfitta dell’esperienza di Nasser, nonostante questo come lo stesso leader egiziano disse ‘i nemici della verità dispongono oltre che di mezzi terribili anche di mezzi considerevoli, di cui possono servirsi, utilizzando in questo senso le loro possibilità materiali e psicologiche. Ma la verità finirà col trionfare con l’aiuto dei suoi sostenitori, che possono recare il suo messaggio verso orizzonti più larghi’ [pag. 91].