di Marco Pondrelli
La storia ricomincia o meglio non si era mai conclusa. Lucio Caracciolo ha buon gioco nel demistificare le risibili e non accurate previsioni di Fukuyama, figlie di furore ideologico più che di rigorosa analisi scientifica. In apertura del suo ultimo lavoro l’Autore afferma che nell’89 ‘finita era la pace, non la storia’ [pag. 5].
Il conflitto ucraino va inquadrato in questo contesto, quello di un Occidente che si credeva l’unico faro del mondo e che oggi si risveglia bruscamente riportato alla realtà da alcune osservazioni naturali come il prendere atto che ‘noi occidentali (europei e nordamericani) siamo circa un miliardo contro i sette di non occidentali, mediamente più giovani e in aumento anche vertiginoso, specie in Africa’ [pag. 8].
L’esame del nuovo scenario mondiale parte dall’Europa, un’analisi impietosa ma realista. Secondo Caracciolo alla base dell’Unione europea (sempre più divenuta sinonimo di Europa) vi sono tre ‘miti’, l’idea di pan Europa esposta da Coudenhove-Kalergi, il manifesto di Ventotene e il regno carolingio.
Coudenhove-Kalergi vede l’asse russo–tedesco come un pericolo, pericolo che viene creato dalla pressione esercitata dalla Francia sulla Germania, gli Stati Uniti d’Europa potrebbero rassicurare quest’ultima costruendo un area compatta fino ai confini russi, si anticipa qui ‘il contaiment antisovietico allestito dagli USA nella guerra fredda e fondato sulla riconciliazione fra le due rive del Reno’ [pag. 30].
Gli Stati Uniti d’Europa sono centrali anche nel manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, i quali secondo Caracciolo, condividono con Lenin il ‘volontarismo elitario’ considerandosi un’avanguardia pronta a guidare il popolo che non ‘è capace di imboccare la direzione giusta, ha bisogno di un’avanguardia rivoluzionaria che gliela indichi e ve lo conduca’ [pag. 34]. Personalmente trovo una differenza fra le tesi comuniste e quelle espresse nel Manifesto di Ventotene, i comunisti si considerano avanguardia ma non antidemocratici (semmai combattono la democrazia borghese), la masse vanno guidate ma è nel popolo che risiede il potenziale rivoluzionario mentre nel Manifesto si sostiene che ‘il popolo ha sì alcuni bisogni fondamentali da soddisfare, ma non sa con precisione cosa volere e cosa fare’, è a mio avviso una differenza di sostanza.
L’ultimo ‘mito’ fondativo è quello carolingio, la religione laica tesa a dimostrare che l’Europa, parafrasando l’inno russo, c’era, c’è e si sarà. Come giustamente nota l’Autore ‘l’afflato europeista, quali ne fossero i fattori e i motivi, [ha] incrociato la pulsione imperiale americana’, possiamo quindi dire che l’europeismo è stato sconfitto dall’Antieuropa ‘in senso geopolitico: negazione dell’Europa come potenziale soggetto unitario (sogno europeista) e come centro di poteri transcontinentali, frutto della scelta americana di restare in Europa occidentale dopo la Seconda guerra mondiale. Per ergervi il proprio informale impero, avanguardia a stelle e strisce nelle immensità d’Eurasia’ [pag. 41], ecco perché con un paradosso l’Autore può affermare che ‘il vigente ordine delle cose resta antieuropeo’ [pag. 43]. Il paradosso è che oggi a vincere è l’antieuropeismo degli europeisti.. Bloccando l’Europa gli Stati Uniti bloccano la Germania. Oggi la crisi ucraina rende plasticamente questo scontro, se non si vuole perdere tempo ad analizzare i dati economici basta pensare alla distruzione del North Stream.
Assieme all’Europa viene preso in considerazione l’attore statunitense rispetto al quale Caracciolo è altrettanto netto, in riferimento alla fine della guerra fredda afferma ‘l’unica cosa peggiore della sconfitta in una guerra globale è la vittoria’ [pag. 50]. ‘L’impero americano è in apnea’ [pag. 82], lo è perché incapace di costruire un nuovo ordine mondiale, trasformando invece la guerra in dato permanente. Non si può che concordare con Caracciolo quando sottolinea le divisioni interne al Paese, un impero entra sempre in crisi dall’interno. Non c’è solo l’assalto a Capitol Hill ma la costante e latente guerra civile a dire che questa nazione neanche durante le guerra in Vietnam è stata così lacerata e divisa, l’unico precedente è quello della guerra civile. Queste tensioni unite alla tante sconfitte militari subite (come nota l’Autore tutte le guerre dopo il 1945 sono state perse o non vinte) rende gli USA aggressivi perché consci di essere al tramonto del loro dominio mondiale. Ucraina e Taiwan sono due snodi fondamentali perché gli USA sono consci che ‘perdere queste dispute implica rinunciare allo status di potenza principale’ [pag. 94].
Le conclusioni a cui giunge l’Autore potrebbero lasciare interdetti ma in realtà sono coerenti con l’analisi svolte, egli infatti afferma ‘se è vero che la Guerra fredda è stato l’ultimo e per noi specialmente vantaggioso ordine di pace, perché non provarne a ristabilirne i principi, adattandoli al contesto corrente?’ [pag. 111]. Una simile prospettiva paradossalmente sarebbe il migliore degli scenari possibile nelle attuali condizioni. Mi permetto di aggiungere due osservazioni, una nuova Guerra fredda dovrebbe essere formata (ovverosia messa in forma) da una nuova Jalta costitutrice di nuove aree di influenza ma anche di un nuovo diritto internazionale. Allo stesso tempo trovo trovo pessimistica la previsione che un Unione europea ‘de-americanizzata’ aprirebbe uno scenario ‘balcanico’ [pag. 104], la sfida che in questo caso avrebbe di fronte l’Europa (non la Ue) sarebbe quella di costruire un’unione rispettosa delle diversità e capace di contribuire alla costruzione di un mondo multipolare.
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