di Marco Pondrelli
L’odio ‘rappresenta il motore autentico della guerra’ [pag. 8] l’affermazione di Nicolai Lilin è drammaticamente vera. Il primo atto di qualsiasi guerra è quello di ‘de-umanizzare’ il proprio nemico, così come importanti rappresentanti del governo israeliano definiscono i palestinesi degli animali, in Occidente, per quanto esso non sia formalmente in guerra con la Russia, si attribuiscono a Putin e ai russi tutti i mali possibili. L’unico antidoto all’odio sono lo studio e la conoscenza a partire dalla storia. Dopo il 24 febbraio la comunicazione mainstream ha presentato l’avvio dell’operazione militare speciale come l’anno zero del conflitto, sarebbe come dare un giudizio sulla Seconda Guerra Mondiale iniziando a studiarla dall’aprile del ’45. La storia va conosciuta e studiata nel suo divenire, decidere che quello che è successo dal 2014 non è rilevante è un modo per dare un giudizio e prendere una posizione.
La storia viene spesso strumentalizzata ai fini politici immediati (basti pensare alla risoluzione sul cosiddetto Holodomor del nostro Parlamento), nel 1988 uscì un libro di Orest Subtelny Ukraine, a History, nel quale si sosteneva che il Principato di Galicia-Volhynia segnava la nascita dell’idea di nazione Ucraina (che nel 1988 era ancora un Repubblica sovietica), è ovviamente un travisamento della realtà storica funzionale a giustificare le politiche aggressive dell’allora presidente Reagan. L’analisi di Lilin coglie le radici di questo conflitto in uno degli episodi più drammatici e meno conosciuti della storia di inizio Novecento, che è il genocidio delle popolazioni russofone della Galizia. Dopo la prima spartizione della Polonia (1772) il Regno di Galizia e Lodomiria entrò a fare parte dell’Impero austriaco, fu il primo governatore austriaco della provincia, conte Pergen, a capire che lo scioglimento della Confederazione Polacco-Lituana avrebbe aperto un problema, perché l’Impero austriaco si sarebbe trovato a confinare con quello russo, per cui la popolazione russofona avrebbe potuto essere tentata di autodeterminarsi.
L’Autore si sofferma sulla storia che va dal 1848 alla Prima Guerra Mondiale per capire la situazione odierna. La politica austriaca fu fortemente discriminatoria verso la popolazione russofona, con veri e propri atti di persecuzione, scrive Lilin ‘sono episodi che costituiscono i precedenti storici della pratica attuale di alcuni media e canali televisivi. I nazionalisti ucraini di oggi chiedono al governo che vengano introdotte per legge sanzioni amministrative, e persino penali, per i connazionali che preferiscono usare la lingue russa’ [pag. 31]. In questa fase storica si avvia la distinzione fra russi e ucraini che, secondo l’Autore, nasce come differenza ‘tattica’, le differenze erano ‘circoscritte alla questione linguistica’ [pag. 40], i filorussi pensavo necessario rivolgersi al popolo con il russo letterario i filoucraini propendevano per i dialetti locali. Per l’Impero austriaco ‘l’enfasi sull’ucrainizzazione fu posta nel momento in cui divenne chiaro non solo che la polonizzazione era completamente fallita, ma che i sentimenti filorussi stavano crescendo’ [pag. 42]. A questa discriminazione etnica si sovrappose quella di classe essendo le popolazioni russofone (i ruteni) ‘per lo più contadini, modesti servitori di infimo rango e sacerdoti delle zone rurali’ [pag. 45].
Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale è preceduto da arresti motivati dal ‘reato’ di ‘moscofilia’ [pag. 61], a cui seguirono duri attacchi alla popolazione civile che furono seguiti dalla nascita del campo di concentramento di Thalerhof, i morti furono circa centoquaranta mila [pag. 68], le vittime della Galizia rappresentano i due terzi della perdite civili dell’intero Impero. Come scrive Lilin ‘dimenticare le vittime significa giustificare i carnefici. E spiana la strada a politici senza scrupoli che cercano di risolvere la controversie di carattere etnico, o quelle fra partiti e Stati, attraverso la pulizia etnica e la repressione politica’ [pag. 72]. Lungi dal mettere sullo stesso piano quello che successe a Thalerhof con il nazismo, l’Autore vede però in questa drammatica esperienza l’esempio storico su cui poggiano le atroci pratiche naziste.
Il ruolo dei ‘filoucraini’ in questo passaggio storico fu di collaborazionismo con gli austriaci, i quali vedevano nell’appoggio a questa parte il modo migliore per ridurre l’influenza russa. Conoscere la storia avrebbe aiutato a gestire il presente, l’Ucraina non tornerà ai confini del 1991 e la causa sta nella scelta che è stata fatta di non costruire uno Stato federale, che sarebbe stato l’unico modo per fare coesistere popoli diversi. Il libro di Lilin è spesso costellato da riferimenti alla situazione odierna, in particolare per quello che riguarda le discriminazioni verso chi parla la lingua russa e la criminalizzazione di chi dissente dalle politiche atlantiste, possiamo commentare questo bel libro con le parole di Antonio Gramsci ‘la storia è maestra, ma non ha scolari’.
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