La guerra americana in Afghanistan non è iniziata nel 2001 ma nel maggio 1978

di Aginform

Si parla sempre di vent’anni di occupazione USA-NATO dell’Afghanistan, ma la guerra condotta contro l’Afghanistan dagli americani è incominciata molto, molto prima, già dal maggio 1978, quando gli Stati Uniti si proposero di destabilizzare il governo che si era insediato a Kabul nel precedente mese di aprile inaugurando un periodo di riforme democratiche e di modernizzazione di un paese in cui prevalevano rapporti feudali ed arretratezza estrema in tutti i campi. I metodi criminali tante volte impiegati in tutto il mondo, in Africa, in America Latina, in Asia per destabilizzare con guerre per procura i governi sgraditi (pensiamo in quegli anni ad Angola, Mozambico, Nicaragua) vennero impiegati da subito, e su scala assai maggiore, contro il nuovo governo.

Ci aiuta a ricordarlo Enrico Vigna, in un agile, ma ben documentato libretto del 2001, “Afghanistan ieri e oggi”, edito da La Città del Sole.

Il libro è acquistabile in libreria o anche on line al prezzo di 7,36 Euro ma, col consenso dell’autore e dell’editore, è anche disponibile da anni in rete.

http://www.aginform.org/libro.html

L’autore documenta “la più grande operazione ‘coperta’ nella storia della CIA” dalla fine della guerra mondiale come hanno riconosciuto pubblicamente i suoi stessi protagonisti, tra cui

Brzezinski nel 1998.

L’entità dell’impegno americano in Afganistan, di molte grandezze superiore a quello profuso contro altri paesi, si spiega facilmente. Con le parole di Vigna:

“In sostanza il popolo afgano si trovò vittima della sua posizione geo-strategica per gli interessi degli Usa: sia per i suoi lunghi confini con l’URSS, che erano utilissimi per cercare di indebolire e fomentare conflitti interni con logiche destabilizzatrici verso la potenza socialista; sia perché proprio in quegli anni nel confinante Iran c’era stata la rivoluzione contro lo scià, fatto che nello scacchiere mediorientale significò la perdita di un caposaldo fondamentale dell’influenza americana nell’area. In questa situazione l’Afghanistan assunse un’importanza fondamentale e strategica, che fu una delle cause di tutti gli avvenimenti seguenti pagati dal popolo afgano con sangue, guerre e distruzioni, per interessi stranieri fino ai giorni nostri.”

Soprattutto però Vigna documenta le vicende dal punto di vista di quelle che furono le vittime della guerra segreta americana: le donne e gli uomini che lottavano per uscire da secoli di oscurantismo e sfruttamento, per costruire scuole e strutture sanitarie, per dare la terra ai contadini limitando la grande proprietà feudale, per sviluppare le attività produttive a vantaggio del popolo.

Quando, negli ultimi giorni del 1979, i sovietici risposero alle richieste di aiuto del governo afghano inviando le loro truppe – giusta o sbagliata che fosse quella decisione – la guerra segreta americana divenne palese anche ai ciechi e i “combattenti per la libertà”, cioè i controrivoluzionari afgani dotati di missili terra-aria Stinger divennero una minaccia gravissima e crescente per l’esercito afgano e per i sovietici.

Alla fine, nel contesto della crisi terribile che portò alla disintegrazione dell’URSS, i sovietici si ritirarono (tra il maggio 1988 e il febbraio 1989) dopo aver perso in 9 anni di guerra 15.000 uomini. Il loro ritiro aprì la strada alla vittoria definitiva dei signori della guerra controrivoluzionari con tutti i suoi orrori. Tuttavia il ritiro dei sovietici non è paragonabile a quello attuale degli americani e dei loro vassalli. Il governo afgano infatti non si dissolse come neve al sole, perchè non era un governo fantoccio creato dagli invasori, ma resistette ancora per tre anni con le sue sole forze prima di soccombere nell’aprile 1992 a un nemico che gli americani continuavano a sostenere in tutti i modi, mentre il trionfo completo della controrivoluzione in URSS e la Russia “americana” di Eltsin facevano mancare ogni sostegno anche economico e diplomatico.

Volgendo ora lo sguardo dal lontano Afghanistan alla realtà nostra, c’è un fatto che emerge con nettezza in quegli anni e che Vigna mette bene in evidenza nel libro. La sinistra in Italia, che pure sapeva orientarsi su tante vicende relative alle lotte di liberazione nazionale contro l’imperialismo, dal Vietnam, al Nicaragua, dai golpe in America Latina, alla Palestina, all’Africa, divenne sorda e cieca sull’Afganistan. Esprimere solidarietà al governo afgano aggredito divenne quasi impossibile. La versione americana dei fatti – a cui va detto contribuirono in quegli anni anche i cinesi – secondo la quale c’era un’invasione imperialista dell’Afganistan da parte dell’URSS, a cui si contrapponeva la giusta lotta di liberazione degli afgani, fu quasi universalmente accettata. Era impossibile far pubblicare su Il Manifesto le prese di posizione del senatore Nino Pasti, uno dei pochi che osava spiegare che i controrivoluzionari volevano impedire tra le altre cose che si mandassero a scuola le ragazze. Non c’era spazio per i lamenti sulla condizione delle donne che godono oggi di tanto fervore. A insistere si rischiava di esser buttati giù dalle scale della sede di via Tomacelli.

Iniziò così a manifestarsi, già prima del crollo dell’URSS, quella che è stata poi per i decenni successivi la sinistra imperialista, sempre pronta a sponsorizzare la demonizzazione dei nemici di turno dell’imperialismo, da Milosevic a Saddam Hussein, a Gheddafi, ad Assad.

Ma il vento ora sta cambiando. Le guerre americane di trent’anni hanno prodotto infinite sofferenze, ma non sono andate nel senso che gli imperialisti auspicavano e i nordamericani con il loro corteo di vassalli si trovano anzi in difficoltà crescenti. E’ il momento di voltar pagina, di chieder conto alla sinistra imperialista delle sue trentennali complicità e di creare le condizioni per contribuire a impedire che il mondo sprofondi nelle guerre ancor più devastanti che si profilano e rivendicare nel nostro paese una politica di pace, rispettosa della Costituzione col suo articolo 11, cominciando dal ritiro delle missioni militari all’estero e dalla fine dell’odiosa politica delle sanzioni e dei ricatti economici.