di Luca Cangemi
Il film di Andrea Segre, La grande ambizione, arrivato nelle sale in questi giorni, è realizzato molto bene (ad esempio, l’uso delle immagini di repertorio è efficacissimo), ed Elio Germano è straordinario nell’interpretazione di Enrico Berlinguer. Altre figure, come quelle di Cossutta e Ingrao, invece, risultano irriconoscibili. L’impatto emotivo che questa pellicola sta producendo, a partire da chi di quella storia ha fatto parte (ma anche oltre), è un dato innegabile e importante, soprattutto considerando l’ignoranza diffusa a piene mani per decenni (basti pensare che su La Repubblica del 3 novembre un lettore definisce una “improbabile stravaganza” la scena del film in cui Berlinguer dorme sotto il quadro di Lenin, dimostrando di non avere alcuna idea di Berlinguer, di Lenin e dell’intero mondo del ‘900).
Detto questo, però, il film ha un carattere politico, non solo per l’argomento, ma anche per le tesi che avanza, e quindi deve essere discusso anche sul piano politico. Il (comprensibile) rimpianto per la grande costruzione politica e sociale del PCI, veicolato soprattutto da Elio Germano nelle occasioni pubbliche di presentazione del film, porta con sé una domanda: com’è potuto accadere che una potenza politica e sociale di quelle dimensioni si sia dissolta nel giro di qualche anno? Che ruolo hanno avuto in questo esito le scelte che nel film vengono focalizzate, in particolare la politica di collaborazione con la DC e la nuova collocazione internazionale, specialmente rispetto all’URSS?
Vale la pena discuterne, premesso che ovviamente non si possono chiedere risposte compiute rispetto a questi giganteschi problemi a una pellicola cinematografica e che comunque i fatti sono ricostruiti in La grande ambizione molto meglio che in tanti pessimi prodotti giornalistici ed editoriali in circolazione.
L’unica grave caduta, rispetto ai fatti, è l’accodarsi alla vulgata giornalistica ormai imperante dell’“attentato” a Berlinguer in Bulgaria, circostanza logicamente improponibile (i servizi segreti sovietici rappresentati come degli assoluti incapaci!) e storicamente non dimostrata (un eventuale progetto del genere avrebbe dovuto essere deciso al massimo livello politico e nessuno dei tanti documenti usciti da Mosca ne fa cenno).
Sul piano del messaggio veicolato da La grande ambizione, la discussione a cui non si può sfuggire riguarda quanto il rapporto di governo del PCI con la DC sia stato uno dei fattori che produssero un depotenziamento e poi un arresto della grande spinta sociale al cambiamento che aveva caratterizzato l’Italia negli anni Sessanta e Settanta. L’impatto fu particolarmente visibile rispetto ai movimenti delle giovani generazioni (e di questo nel film c’è traccia), ma fu ancora più dirompente nei confronti di una classe operaia che aveva dato prova di una combattività straordinaria.
Anche sulle questioni internazionali, l’accettazione del vincolo NATO e la dismissione della critica che il PCI aveva fatto dell’integrazione europea furono scelte che influirono pesantemente sulla natura stessa del partito e che hanno avuto conseguenze di lungo periodo, nonostante la bella battaglia che Berlinguer intraprese successivamente contro gli euromissili.
Tanto sul piano interno quanto su quello internazionale, quelle scelte contribuirono a determinare il progressivo affermarsi di una cultura politica nella sinistra italiana di cui il maggiore interprete nei decenni successivi fu il grande avversario interno di Berlinguer, Giorgio Napolitano.
In ogni caso, questo bel film offre occasioni di discussione non banale, e di questi tempi non è poco.
Unisciti al nostro canale telegram