La globalizzazione è finita. La via locale alla prosperità in un mondo post-globale. Rana Foroohar

di Marco Pondrelli

Il libro di Rana Foroohar, giornalista del financial times, è stato scritto prima del secondo insediamento di Trump, nonostante questo esso ha il merito di cogliere i cambiamenti che stanno attraversando il mondo. La globalizzazione è finita e non è un male, come scrive l’Autrice accanto a chi ha migliorato il suo tenore di vita, ci sono coloro che si sono impoveriti in questi ultimi anni, ‘a un’élite internazionale (di cui io, in quanto professionista laureata e lavoratrice della conoscenza che risiede sulla costa statunitense e che scrive per la più grande testata economica del mondo, faccio indubbiamente parte) è andata particolarmente bene, tant’è che è riuscita a volare sopra i problemi dello Stato-nazione sull’onda di una globalizzazione economica. Molte persone rimaste a terra, invece, non ce l’hanno fatta’ [pag. 14].

L’errore fondamentale da punto di vista statunitense non è stato aumentare la povertà e le diseguaglianza interne al Paese ma non prevedere il rafforzamento della Cina, la convinzione era che l’apertura al mercato e al commercio avrebbe trasformato la Cina in una liberaldemocrazia, così non è stato e Pechino oggi, come seconda potenza economica mondiale, ha il diritto di determinare le decisioni prese in ambito internazionale. Per quando critica verso l’Impero di Mezzo Rana Foroohar scrive: ‘perché mai una nazione così vasta, con la sua lunga storia, la sua ricca cultura, il suo sistema politico assai diverso e il suo enorme mercato, non avrebbe dovuto stabilire delle regole proprie mentre riguadagnava il proprio posto sulla scena mondiale?’ [pag. 21].

La crescita cinese e la crisi degli Stati Uniti sono dati conclamati di cui l’Amministrazione Trump prende atto ma che non nascono con essa, la crisi del 2008 e il Coronavirus prima del conflitto ucraino ne hanno mostrano i problemi, per quanto riguarda la pandemia ‘il coronavirus ci ha dimostrato che il neoliberismo incontrollato è stato insensato non soltanto dal punto di vista economico, ma anche sociale e politico. Ed è risultato letale su vasta scala’ [pag. 37], oltre a mostrare i limiti del neoliberismo il covid ha mostrato anche l’inefficienza del sistema sanitario statunitense. A questo proposito l’Autrice sottolinea che ‘gli Stati Uniti devono sostenere i costi sanitari di gran lunga più elevati al mondo, pressappoco il doppio rispetto alla maggior parte delle altre nazioni sviluppate. Il volume del nostro sistema sanitario equivale all’incirca all’intera economia francese ma, diversamente dalla Francia, noi non otteniamo gli stessi risultati; infatti, se si fa un confronto con altre nazioni ricche in termini di mortalità infantile, mortalità materna e salute dei giovani, gli Stati Uniti si collocano in fondo alla lista’ [pag. 240].

Uno dei dati che maggiormente testimoniano il declino statunitense, messo in risalto anche da Emmanuel Todd, riguarda la diminuzione della vita media, le cui cause sono da ricercarsi non solo nell’inefficienza del sistema sanitario ma più complessivamente nella crisi del sistema economico-produttivo, che vede oramai staccate e contrapposte Wall Street e Main Street. La risposta dell’Autrice pensa ad una globalizzazione che rimetta al centro il locale, leggendo questa proposta con lenti economiche si può dire che occorre rilanciare il mercato interno. Per fare questo è necessario aumentare i salari. Questo è vero sia per gli Stati Uniti che per l’Italia, meno per la Cina dove i salari continuano ad aumentare, ciò provoca un cambio di paradigma un esempio è quello dell’abbigliamento, ‘nel 2005, i produttori cinesi esportavano il 71 per cento dei prodotti finiti; nel 2018, la percentuale si era ridotta ad appena il 29 per cento. Con l’arricchimento dei consumatori cinesi, la domanda interna di abbigliamento è diventata talmente grande che la maggior parte dei produttori si concentra più sul soddisfare tale richiesta che sulla ricerca di nuovi mercati all’estero’ [pag. 176].

Il libro contiene critiche verso le politiche di Pechino ma l’Autrice deve ammettere che ‘negli Stati Uniti, le aziende tengono in pugno lo Stato, laddove in Cina è lo Stato a governare le imprese […] Mentre i salari cinesi sono aumentati vertiginosamente ed è cresciuta l’innovazione, gli Stati Uniti e molte altre nazioni ricche e sviluppate hanno visto aumentare la ricchezza delle aziende a livelli senza precedenti, anche se gli investimenti nella ricerca di base e le spese in capitale produttivo sono diminuite su tutti i fronti’ [pag. 284]. Quest’ultima è una considerazione che coglie la crisi del nostro sistema, questa consapevolezza sta alla base delle scelte degli USA che sono patrimonio condiviso e non solo dovute alle bizzarrie dell’attuale Presidente, ‘ci sono voluti quarant’anni per arrivare al punto in cui ci troviamo e probabilmente ce ne vorranno molti altri per ricostruire la nostra base industriale’. Questa è la strada intrapresa dagli Stati Uniti, la globalizzazione è finita anche se la politica italiana, sopratutto a sinistra, si colloca in una posizione tecnicamente definibile come reazionaria, convita di potere resuscitare un mondo che non esiste più e di cui pochi sentono la mancanza.

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