di Marco Pondrelli
Il libro di Carlo Galli è un libro denso, capace di guardare non solo al ruolo e alla natura della destra di governo ma anche al contesto generale dentro cui questa esperienza politica si situa. Emblematico di questo intreccio un passaggio contenuto nelle prima pagine, laddove l’Autore afferma: ‘e abilmente, nella sua elementare Weltanschaung, questa destra offre normalità e sicurezza attraverso una permanente esposizione all’emergenza […] che è divenuta la cifra complessiva della politica, non solo in Italia’ [pag. 19]. La vittoria elettorale di Fratelli d’Italia si inscrive in una situazione, che da anni vede nell’emergenza la normalità. La politica, come ben potrebbe spiegare l’insigne studioso di Carl Schmitt, continua a definire la sovranità sul caso d’eccezione.
Per analizzare il ruolo della destra l’Autore ripercorre la storia di un Partito che nelle elezioni del 2013 ottenne 660.000 voti passando nel 2022 a 7 milioni [pag. 30]. Il primo tema toccato è quello del fascismo, possiamo definire la destra di governo una destra fascista? Per rispondere a questa domanda occorre definire cos’è il fascismo, Galli prende le distanze dalle analisi di Umberto Eco che in Fascismo eterno (1995) trasforma alcuni tratti del pensiero reazionario in ‘costanti antropologiche e psicologiche, e insomma considerati come forme del Male in noi’ [pag. 36]. In realtà ‘il fascismo storico concreto […] fu una realtà complessa, non soltanto psicologica, che implica, per essere definita, una quantità di requisiti’ [pag. 36]. Estrapolare il fascismo dal contesto storico e dagli scontri sociali che l’hanno prodotto trasformandolo in Male antropologico oltre ad essere un errore metodologico, è un’espediente per costruire una categoria jolly dentro la quale può essere fatto rientrare tutto e il contrario di tutto. Condivido con l’Autore l’idea che se tante sono le critiche che possono essere mosse a questa destra, fra esse non vi è quella di rappresentare una destra fascista.
Questa impostazione porta l’opposizione a rispondere con un’idea di antifascismo altrettanto vaga, si perde il senso dei valori costituzionali, ad esempio dell’articolo 3 [pag. 40], confondendo la Resistenza con il politicamente corretto. Se il fascismo non è lo strumento per leggere la destra italiana, dove si possono trovare le sue radici? Per rispondere a questa domanda è interessante leggere quello che scrive Carlo Galli: ‘una società di individui dapprima euforici e poi carichi di frustrazioni e di paura, insoddisfatti e sempre più diseguali, preoccupati dell’avvenire, che vedono la politica impotente davanti ai più gravi problemi del momento’ [pag. 49], la paura della globalizzazione, che si presenta sotto forma di un impoverimento dei ceti medi e un aumento delle diseguaglianze, viene intercettata dalle parole d’ordine della destra, queste sono le radici di FdI. La nazione rappresenta l’argine contro questi mali ma questa idea di nazione rimane indeterminata. È una contraddizione che porta la destra ad aderire a un’idea contraddittoria dello Stato, che allo stesso tempo si deve ritirare dalla vita economica ma deve essere più forte nel garantire la sicurezza. Uno Stato più leggero dovrebbe aiutare l’economia reale, che nelle idee della destra si contrappone al grande capitale finanziario internazionale [pag. 65]. La realtà è però ben diversa, la destra al governo non sta limitando il grande capitale finanziario e, a differenza di quello che veniva detto dai banchi dell’opposizione, non sta difendendo gli interessi italiani rispetto alle politiche euro-atlantiche. Lo stesso ‘piano Mattei’ si contrappone al ruolo di Russia e Cina in Africa [pag. 110], mentre le politiche che portava avanti Enrico Mattei combattevano l’imperialismo occidentale.
Se brevemente questi sono i temi che caratterizzano la destra, l’Autore mette anche in risalto le differenze con la sinistra. Questo è un punto centrale nel libro, la contrapposizione destra/sinistra è ancora presente ed è stata la vittoria della Meloni a dimostrarlo. Scrive Galli: ‘il conservatorismo di cui FdI anche quando appare moderato presenta caratteristiche proprie della destra, tra cui, fondamentale, la sua riluttanza ad ammettere la normalizzazione razionale del reale: a questa riluttanza sono riconducibili tanto l’universalismo identitario a preteso sfondo epico-nazionalistico-tradizionalistico, quanto la politica pratica segnata da un realismo spesso non di alto profilo […] tanto la diffidenza verso il parlamentarismo, il normativismo, il principio di legalità e l’ordine giudiziario, e la propensione alla concentrazione del potere nel vertice governativo, quanto l’intervento pan-penalistico nella società a volte (come a Pisa) rudemente repressivo [pag. 96]. Si può affermare che in questa contrapposizione al disordine si trovi, per l’Autore, la differenza fra destra e sinistra, con la seconda che pensa possibile la costruzione di una sintesi e quindi la creazione di un ordine e con la prima convinta che la politica sia la gestione di questi disordine. Qui sta la contraddizione più forte della destra, per la quale la politica è allo stesso tempo centrale e inefficace rispetto alle contraddizioni presenti.
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