La deriva dell’Occidente. Franco Cardini

di Francesco Galofaro, IULM di Milano

Franco Cardini ritorna su un’idea cui ha già dedicato, in passato, altri volumi. Contrapponendosi ad un insieme di letture ideologiche del reale che chiamano alla difesa dell’Occidente, dei suoi valori, della sua cultura, Cardini tesse la storia del “concetto” di Occidente. Lo fa con acribia e precisione scientifica, sebbene le note e i numerosi riferimenti bibliografici siano confinati in fondo al volume. 

Il volume – Secondo Cardini, l’idea di una “civiltà occidentale” risale a un corso didattico della Columbia University del 1919. In precedenza, per molti secoli, l’idea di “Occidente” ha significato cose piuttosto diverse. Nell’antica Grecia, ad esempio, coincideva con un pugno di città, mentre l’Asia era identificata con l’impero achemenide. Nel mondo romano, il centro geografico del mondo era il mediterraneo, e non vigevano particolari distinzioni tra le province europee, africane, asiatiche. Per molti secoli, ad essere “occidentali” sono alcuni imperi che controllano una parte relativamente ridotta dell’Europa. Una prima forma di occidentalismo e orientalismo nasce con le crociate, le quali mutano molto presto, tuttavia, tanto gli obiettivi militari – la Spagna, la Francia meridionale, il Nord Europa, Costantinopoli – quanto la propria funzione ideologica. Ma è nella colonizzazione del nuovo mondo e nell’invenzione tecnica dei cannoni e delle navi in grado di effettuare la traversata degli oceani che Cardini ravvisa le condizioni di possibilità della nozione contemporanea di Occidente. Si tratta di una storia prevalentemente coloniale, la quale sembra porre (dialetticamente? Lo scrivo come provocazione) il proprio contrario. Il cattolicesimo, che è stato uno strumento di dominio ideologico nei confronti delle popolazioni colonizzate, si è molto velocemente mutato in uno strumento usato da quelle stesse popolazioni per affrancarsi. Un precedente interessante alla Chiesa ecumenica e postcoloniale di Papa Francesco è costituito dalle province gesuite dell’America meridionale, in cui gli indigeni erano organizzati militarmente per respingere le incursioni schiaviste fomentate dai governi europei. Questo accadeva parallelamente a un processo di secolarizzazione che ha riguardato soprattutto l’Europa: mentre si propagava il Cristianesimo nel mondo per consolidare il primato politico dei colonizzatori, questi ultimi perdevano progressivamente la propria fede. Infine, una nuova frattura storica, al principio del Novecento, causa il “tramonto dell’occidente” di Spengler, che è soprattutto una cultura europea, e la creazione di un nuovo “occidente” a trazione americana. Ancora una volta, dunque, la nozione di “occidente” contemporanea non sembra fornire una base solida per interpretare la storia politica internazionale recente né per fondare quella contemporanea.

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Filosofia della storia – La riflessione di Cardini si accompagna a considerazioni sulla storiografia, sul metodo e sullo sguardo degli storici. Nella formazione di Cardini c’è Fernand Braudel, uno degli ultimi storici a tentare letture di lungo periodo a partire da fattori socioeconomici. In generale, la storiografia successiva guarda con sospetto l’idea che esista una direzione della storia. Cardini le preferisce due concezioni alternative: la prima, elaborata da Aldo Schiavone, è che la storia conosca sviluppi e fratture, rivoluzioni, che per lo più impediscono di reperire in essa una linea di coerenza precisa. Le cause delle fratture sono solitamente impreviste dai soggetti coinvolti: questo porta alla seconda linea interpretativa che Cardini attribuisce ad Antonio Rosmini, ossia l’eterogenesi dei fini: poiché gli sviluppi della storia dipendono da eventi imponderabili e imprevisti dai diversi soggetti, questi spesso mutano i propri scopi iniziali e reinterpretano il proprio agire proprio in ragione di questi eventi. 

Una terza idea nella ricerca di Cardini mi sembra importante. L’opposizione tra occidente e oriente, di per sé, non sembra funzionare senza sovrapporsi in maniera non certo priva di attriti ad altre opposizioni in uso nelle interpretazioni politiche contemporanee: ad esempio, quella tra nord e sud del mondo. A questo proposito mi concedo una sottolineatura, come recensore. Sarebbe bene non discutere della nozione di “Occidente” in sé, come se fosse un concetto positivo, che individua un insieme mutevole di riferimenti sul piano storico, quanto piuttosto dell’opposizione “Occidente/Oriente”,la quale invece è negativa: permette di individuare un’identità contro qualcun altro ed esonera chi la usa dalla responsabilità di definire meglio in cosa consista l’essere “occidentali”. La nozione di “Occidente”, presa di per sé, è un’ipostasi indebita, inventata e retrodatata dagli ideologi contemporanei; l’opposizione “occidente/oriente” è di pertinenza dei semiologi, e si rivela come una caricatura ideologica.

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Il conflitto ucraino – il volume di Cardini è come al solito ricco di spunti che restituiscono una lettura originale della contemporaneità. Cita, ad esempio, il resoconto di un cronista delle crociate che testimonia del brevissimo tempo che questi “immigrati occidentali” hanno impiegato a “orientalizzarsi”; ricorda casi terribili di “sostituzione etnica” e di genocidio perpetrati dai coloni, con l’appoggio ideologico dei padri filosofici del pensiero liberale. Tra le altre questioni, il quadro interpretativo che ho presentato nei due paragrafi precedenti serve anche a inquadrare il conflitto ucraino. La concezione, ideologica, di un “Occidente eterno” è funzionale a giustificare la sua prosecuzione a oltranza. In Italia, ad esempio, permette a politici che si definiscono “sovranisti” e “patrioti” di giustificare un atteggiamento collaborazionista nei confronti di altri Stati, in grado di esercitare la propria egemonia sul nostro Paese. In realtà, le ragioni si trovano altrove: Cardini ricorda il cambiamento di atteggiamento della Francia di Macron, in principio pontiere e poi leader dello schieramento guerrafondaio; lo spiega con la perdita dell’influenza francese sull’Africa, causata, numeri alla mano, dalle sanzioni che hanno rovinato i bilanci di molti stati africani. Similmente, l’atteggiamento sempre più belluino della NATO in Asia è connesso del successo dell’SCO (Organizzazione per la Cooperazione di Shangai), che promuove la cooperazione anche da un punto di vista militare. Non comprende solo Paesi significativi come India e Pakistan, ma anche membri non asiatici come l’Unione sudafricana e perfino un Paese NATO come la Turchia. La difesa dell’Occidente eterno permette di non discutere i problemi reali delle relazioni internazionali. Vladimir Putin, in precedenza grande amico dell’Occidente oltre che di Silvio Berlusconi, è ora rappresentato come un folle, alla stregua di Hitler, e come un bugiardo – come se Bush Jr. non avesse attaccato l’Iraq di Saddam Hussein sulla base di grossolane falsificazioni. 

L’Occidente eterno si lega allo slogan di F. Fukuyama sulla “fine della storia”. Si tratta di una posizione che può anche aver generato qualche illusione, finché il conflitto si è tenuto lontano dall’Europa. Al punto da cancellare la memoria dei bombardamenti NATO in Jugoslavia, con i relativi massacri della popolazione civile e l’uso di armi all’uranio impoverito, con la complicità dell’Italia. Purtroppo, il tentativo di esorcizzare la storia non ha funzionato; oggi, con il conflitto ucraino, ci troviamo di fronte a una nuova discontinuità e a un nuovo cambio in corsa degli scopi e delle giustificazioni dei soggetti coinvolti nella guerra.

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