La Democrazia dei signori. Luciano Canfora

di Francesco Maringiò

Esiste ancora quell’Italia uscita fuori dalla Costituente del 1948? Pare proprio di no. Sicuramente, il nostro è un paese fortemente diverso da quello che la stagione riformatrice del primo centro-sinistra cercò di costruire. Parte proprio da questa considerazione l’ultimo libro di Luciano Canfora che emblematicamente è intitolato “La democrazia dei signori”, edito da Laterza. L’autore non è nuovo a riflessioni sul tema della democrazia ma, se nelle sue precedenti opere ha fornito ai lettori un saggio articolato sul concetto stesso della democrazia, affondando l’analisi nella storia classica e confrontandola con quella moderna ed il presente per decostruire il mito della “retorica democratica”, questa volta affida i suoi pensieri ad un pamphlet dirompente quanto straordinariamente efficace e, leggerlo proprio nei giorni in cui avveniva la rielezione di Sergio Mattarella e Presidente della Repubblica, è stato incredibilmente illuminante.

Partiamo dal nome. La scelta del titolo è un felice ed esplicito riferimento all’espressione di Domenico Losurdo e serve per trasmettere uno dei nodi gordiani di tutta la riflessione del filologo e storico barese. Se identifichiamo con la democrazia quel sistema basato sul voto a suffragio universale, dobbiamo prendere atto che ci troviamo invece in presenza di un «suffragio ristretto non più imposto per legge ma realizzato per selezione “naturale” ed autoesclusione» (p. 39) che porta al voto soltanto i cittadini residenti nelle “ZTL”, ossia nei quartieri ricchi delle metropoli. Ed in questo contesto la “ex sinistra”, come la chiama l’autore, si condanna all’irrilevanza se non «guarda verso il basso» (p. 38) o peggio ritiene che, in un contesto in cui è una minoranza di persone a votare, abbia più chance di raccogliere il consenso di un élite di cittadini più consapevoli e maturi. Ma i punti di contatto con il pensiero di Losurdo sono diversi. Soprattutto quando Canfora analizza il declino dei partiti dentro la formazione di un «partito unico, internamente articolato (PUA) ed esteriormente suddiviso in singole formazioni» (p. 20) – e di cui abbiamo parlato anche nel nostro recente editoriale (link a: https://www.marx21.it/editoriali/la-crisi-della-democrazia-moderna-editoriale/) che nasce dal distaccarsi dei vertici dei partiti dal proprio ancoraggio sociale.

A giudizio dell’autore, le leve che hanno permesso la trasformazione dell’Italia, spingendola fuori dal recinto del suo assetto costituzionale sono state essenzialmente il “fattore UE” e la Presidenza della Repubblica che usa soluzioni irregolari delle crisi politiche da oltre 30 anni. Dal combinato disposto di questi due elementi viene fuori un paese a sovranità limitata, a cui viene impedito di andare al voto con la scusa della pandemia (cosa che avviene tranquillamente in Usa, Portogallo, Spagna, Israele, etc.) per impedire che possano affermarsi partiti euroscettici. E pertanto se in Italia non può avvenire un brutale commissariamento della Troika, ecco che le forme che si utilizzano con la scelta/imposizione di Draghi al Parlamento, generano lo stesso effetto, salvandone le forme. Sono temi che fanno riflettete e che l’autore affronta con con grande attenzione, passando al vaglio le trasformazioni profonde che sono intervenute nella struttura dei partiti, nel ruolo delle istituzioni e dei media, disegnando un quadro impietoso della nostra democrazia.

In tanti, per descrivere le dinamiche in atto nel quadro politico, fanno ampia citazione della frase che Tomasi da Lampedusa affida a Tancredi nel “Gattopardo”, ossia: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». In maniera più rigorosa, Luciano Canfora affonda le sue riflessioni nell’analisi gramsciana della rivoluzione passiva, per spiegarci la ragione (interna alle classi dirigenti del paese) dei cambiamenti che stiamo vivendo.

«È trascorso quasi un ottantennio da quando l’Assemblea Costituente fu concepita, sorse e si mise all’opera. (Lo Statuto Albertino durò quasi cento anni.) (…) è sempre arduo trasmettere l’esperienza vissuta alle generazioni successive. E anche per questo, oltre che per la naturale pervasività del conservatorismo istintuale, le forze che avevano tenuto a battesimo e assecondato il fascismo, e che l’avevano mollato quando ormai era o stava per essere un cane morto, sono tornate man mano se stesse in abiti ammodernati e con una esteriore patente di onorabilità, facente perno (tra l’altro) sull’«atlantismo» e sulle sue varie declinazioni.

A costoro, tornati al comando mentre la sinistra si suicidava, la Costituzione dà solo fastidio. Forse non sanno ancora quale forma dare alla loro rinnovata prevalenza ma, di certo, tutta la civiltà giuridico-politica che produsse il dettato costituzionale non è più la loro» (p. 39).

La qualcosa certo non ci sorprende, ma deve però spingerci ad una riflessione profonda sullo stato di salute della nostra democrazia.

Nota: La numerazione delle pagine, segue quella della versione elettronica del libro