La Costituzione differenziata. Contro regioni e premierato. Ugo Boghetta

di Marco Pondrelli

Il dibattito sugli assetti istituzionali del Paese è spesso relegato ad un confronto fra esperti. Implicitamente si considerano questi temi staccati dalla realtà, di fronte ai problemi che viviamo quotidianamente dalle liste d’attesa in sanità, ai trasporti, alla scuola discutere delle competenze regionali sembra una perdita di tempo. Cosi non è. Ecco perché è importante leggere il libro di Ugo Boghetta che, come scritto in apertura, è ‘uno scritto militante’ [pag. 5], inserito nello scontro politico e non relegato all’ambito del diritto pubblico.

L’analisi dell’Autore parte da una prospettiva storica, l’autonomia differenziata non nasce dal nulla ma dentro la, pessima, riforma del Titolo V votata dal centro sinistra nel 2001, questa scelta fu il tentativo di svuotare il bacino della Lega e del centro destra facendo proprio il tema del federalismo. L’operazione riuscì così bene che le elezioni furono vinte da Berlusconi che assieme a Bossi rilanciò proponendo la devolution che venne però bocciata dal referendum popolare. In realtà anche la riforma del Titolo V era stata preceduta da una serie di riforme, come le cosiddette ‘Bassanini’, che a Costituzione invariata avevano modificato in profondità il quadro istituzionale.

Guardando ai risultati di questi ultimi 30 anni non si può dare un giudizio positivo di queste politiche, scrive Boghetta: ‘il federalismo serve a far pagare i cittadini, ma le entrate sono diversificate sui territori e aumentano le differenze’ [pag. 24]. Una concetto non dissimile ma con un’altra prospettiva politica lo espresse Gianfranco Miglio, quando in un libro scritto a quattro mani con l’attuale Presidente della Corte Costituzionale Augusto Barbera, mise in contrapposizione federalismo e stato sociale. Giustamente l’Autore sottolinea come il federalismo nasca per unire ciò che è diviso, nel nostro caso invece si è tentato di usare il federalismo per dividere ciò che era già unito, colpire lo Stato ha voluto dire colpire lo Stato sociale.

La proposta dell’autonomia differenziata che molto piaceva al Pd quando stava al governo, è oggi portata avanti dal Ministro Calderoli. L’argomentazione per difendere il provvedimento è che se le cose vanno male è giusto cambiarle. Il realtà possiamo affermare che questa riforma peggiorerà il quadro complessivo, i famosi Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep) che dovrebbero garantire un servizio minimo in tutta Italia costano ed è chiaro che il nostro Paese non può permetterseli, ecco perché si può parlare di ‘secessione dei ricchi’ [pag. 99], l’autonomia differenziata non garantirà servizi minimi ma dividerà ancora di più l’Italia, aumentando il divario Nord-Sud, meglio ancor aumenterà il divario fra ricchi e poveri.

La scelta che vanne fatta di cancellare le Provincie (in realtà conservate come enti non eletti direttamente dal popolo) non ha portato ad alcun risparmio, mentre la vera sfida è quella dell’abolizione delle Regioni [pag. 162] che sono istituzioni ambigue, un doppione senza alcun senso storico e politico che ne definisca la necessità. Se questa è la proposta dell’Autore rispetto alle regioni, la visione che conclude il libro va oltre l’articolazione dei poteri all’interno dello Stato e tocca alcune questioni fondamentali. Per Boghetta è necessario riproporre la centralità del Parlamento (abolendo il Senato), un Parlamento eletto con una legge proporzionale, che non si limiti a ratificare i decreti del Governo. L’idea che fa da base a questa proposta è un ritorno della partecipazione popolare, per fare questo è necessario limitare lo strapotere dell’esecutivo, questo sia a livello nazionale che locale. L’Autore ricorda la sua esperienza personale, quando da consigliere comunale di Democrazia Proletaria a Bologna visse una politica fatta di confronto e di dibattito, mentre oggi le decisioni più rilevanti sono prese nel chiuso della Giunta e poi presentate alla cittadinanza [pag. 171]. Ritorna quindi centrale il tema della partecipazione popolare e la rimessa al centro dei lavoratori [pag. 176].

Tutto questo dimostra come il tema delle riforme istituzionale è un tema di classe, combattere contro l’autonomia differenziata e il premierato è una battaglia di classe, è proprio in chiusura del libro che si percepisce l’impreparazione dei comunisti ad affrontare la fase, per Boghetta gli obiettivi da perseguire sono due: l’individuazione dell’interesse nazionale e la società post-capitalista. Per rispondere a questi temi occorre rimettere al centro il socialismo, che invece è stato rimosso dal dibattito. Il ‘socialismo con caratteriste occidentali’ prova a rispondere alla domanda principe a cui i comunisti continuano a fuggire: cosa vuole dire socialismo nella nostra realtà e nella nostra epoca storica? Di fronte alla conclamata crisi del capitalismo è preoccupante che il socialismo sia totalmente uscito dal dibattito politico.

Le conclusioni di questo libro sono impegnative perché ci mettono davanti la dura realtà, occorre ricostituire un fronte ampio ben sapendo che ci sono realtà del mondo, come la Cina, a cui guardare dobbiamo però allo stesso tempo essere consci che il lavoro che ci attende e lungo e difficile e non può essere demandato ad altri.

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