di Marco Pondrelli
L’informazione in Italia ripete per la Palestina lo stesso schema che abbiamo già conosciuto per l’Ucraina. Se la guerra fra Russia e Ucraina è scoppiata il 24 febbraio 2022, il conflitto fra Israele e Palestina è nato il 7 ottobre. Come nel caso ucraino l’attacco di Hamas giustifica tutto e come nel caso ucraino le notizie fornite da una delle due parti in causa, questa volta Israele, divengono la verità. Se un ospedale viene bombardato la colpa è di Hamas o perché lo ha bombardato direttamente o perché usava quell’ospedale per scopi militari, non servono conferme a queste notizie perché la nostra è la verità, il resto è propaganda o fake news. È incredibile come spesso si trovi una maggiore apertura al dubbio sui giornali statunitensi o addirittura israeliani rispetto a quello che possiamo leggere in Italia, dove improvvisati opinionisti (che fino a ieri dissertavano di Covid o dei cappellini regali) probabilmente non riescono neanche a capire la gravità delle parole che pronunciano.
Il libro di Francesca Albanese è altro rispetto a tutto questo a partire dal titolo, quel j’accuse con cui Émile Zola difese il capitano Alfred Dreyfus condannato ingiustamente semplicemente perché ebreo. Come Zola Francesca Albanese non si volta dall’altra parte e nel libro denuncia quello che il suo lavoro di relatrice alle Nazioni Unite le ha permesso di conoscere. Come nota Christian Elia nell’introduzione la competenza è preziosa e per questo che gli attacchi che Francesca Albanese riceve sono ‘ideologici, spesso diffamatori, ma mai sui contenuti dei suoi rapporti e delle sue analisi’ [pag. 10].
La differenza fondamentale tra la propaganda che quotidianamente ci serve la maggioranza dei media e l’analisi contenuta in questo libro sta nelle premesse di questo lavoro, ‘per affrontare il presente, è determinante capire cosa viene prima, cosa c’è dietro’ [pag. 12]. L’uso di alcune parole come ad esempio ‘apartheid’, vale l’accusa di antisemitismo (che magari proviene da chi conserva orgogliosamente il busto di Mussolini), Francesca Albanese non si ferma agli slogan ma spiega come certe affermazioni trovino conferma nella realtà, ‘se dunque i Relatori speciali vogliono rimanere fedeli al loro mandato, devono valutare tali questioni attraverso il quadro giuridico internazionale pertinente, non attraverso le ragioni della politica. Noi ci esprimiamo in punto di diritto, che è uguale per tutti: questa è la sua forza, quando viene applicato adeguatamente’ [pag. 20].
Quando si combatte una guerra, anche se va osservato come l’Italia non sia in guerra né contro la Russia né contro Hamas, occorre disumanizzare il nemico. È così facendo che si possono giustificare i crimini che saranno compiuti, secondo l’Autrice va riconosciuta a Sharon la capacità ‘di aver spostato la narrazione pubblica e mediatica della questione palestinese da ultimo esempio di lotta di decolonizzazione e resistenza contro un’occupazione militare ad atto esplicito di terrorismo verso Israele’ [pag. 22]. I palestinesi sono quindi terroristi e tutta la popolazione è colpevole, in nome di quello che è successo il 7 ottobre tutto può essere giustificato, la rimozione di tutto quello che è successo negli ultimi 75 anni (ma potremmo dire anche 100) è funzionale a questa narrazione. Bettino Craxi, dopo Sigonella, ebbe il coraggio di affermare il Parlamento che contestava l’efficacia della scelta armata ma ‘non ne contestava la legittimità’, questa coraggiosa affermazione fu possibile perché nell’Italia delle cosiddetta Prima Repubblica la questione palestinese era inquadrata correttamente. Oggi sono poche le voci critiche che si sono levate contro la legge israeliana antiterrorismo del 2016 che ha ampliato l’elenco delle organizzazioni terroriste ‘sulla base di semplici intenzioni o comportamenti vagamente improntati ad «atti terroristici»’ [pag. 24].
Queste politiche giustificate davanti all’opinione pubblica mondiale da politici corrotti porta a una situazione che di umano non ha nulla, i numeri su Gaza che Francesca Albanese riporta sono drammatici, come spiega l’Autrice essendo questa piccola striscia di territorio nei fatti ancora occupata militarmente (non serve una presenza diretta interna alla striscia per parlare di occupazione) anche i trattamenti ospedalieri devono sottostare ai permessi militari. In questo quadro ‘la mortalità neonatale è di 9,3 su 1000, la mortalità infantile è di 12,7 su 1000 per i bambini sotto i cinque anni questo numero sale a 14,8 su 1000. In Israele, le cifre sono 1,7 su 1000 (mortalità neonatale), 2,7 su 1000 (mortalità infantile) e 3,4 su 1000 (bambini sotto i cinque anni)’ [pag. 30].
Alla discriminazione della popolazione palestinese si aggiunge l’aumento dell’occupazione israeliana, ‘all’inizio degli anni Novanta, nelle colonie in Cisgiordania vivevano poco più di centomila persone, secondo le ultime stime oggi sono oltre quattrocentomila, a cui vanno aggiunte le oltre trecentomila che vivono negli insediamenti di Gerusalemme Est’ [pag. 45]. Questi coloni sono mossi da obiettivi messianici per la costruzione della Grande Israele, è questo spiega la virata delle posizioni del governo israeliano (da non confondere con gli israeliani né tantomeno con gli ebrei) verso posizioni di destra estrema. Sono storture condannate anche da una parte della società civile israeliana, la ONG Breaking the Silence fondata da ex militari israeliani ha affermato ‘l’attacco di Hamas e gli eventi del 7 ottobre 2023 sono indescrivibili. Potremmo parlare delle loro azioni crudeli e criminali, o concentrarci sul modo in cui il mostro governo suprematista ebraico ci ha portato a questo punto’ [pag. 49].
Non è semplice capire perché se in Israele sono possibili certe considerazioni, a cui potremmo aggiungere quella di Tamir Pardo ex capo del Mossad che parla di ‘uno stato di apartheid’ [pag. 68], esse non hanno diritto di cittadinanza in Italia. La postfazione di Roberta De Monticelli affronta questo problema, in questi mesi abbiamo assistito a feroci attacchi verso chiunque provasse a difendere le ragioni palestinesi, non solo l’informazione ma anche il modo accademico non è capace di un sussulto di dignità. Occorre capire, e questo libro ci aiuta a farlo, che l’Occidente siamo noi, questo vuole dire che non possiamo continuare a subire in silenzio le ingiustizie che si consumano in Palestina e in altre zone del mondo, il mondo è sull’orlo del precipizio è nessuno può pensare che questo non lo riguardi.
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